I nuovi organismi sindacali

COERENTE DIFESA DI CLASSE E UNITA' DI LOTTA

È un aspetto che non ci stanchiamo di sottolineare, che, nonostante la violenta aggressione padronale, il peso dei colpi subiti negli anni scorsi e la sostanziale acquiescenza dei vertici sindacali, la classe operaia non abbia smesso, seppur tra mille difficoltà e ricatti, di reagire.

Segnalavamo e davamo rilievo nel precedente numero di questo giornale a tutta una serie di realtà di mobilitazione e lotta che a scala nazionale vedono la classe operaia difendersi.

Segnalavamo ancora come la frammentazione delle risposte operaie costituisse il principale fattore da aggredire, affermando nei tentativi di unificazione delle lotte operaie la strada da perseguire.

Gli anni '80, in conseguenza di fattori tanto materiali quanto politici, hanno segnato la perdita di quell'unità (nella condizione di vitae di lavoro, ma soprattutto sul piano organizzativo), che, pur sotto insegne riformiste, la classe operaia italiana aveva conservato nell'epoca precedente. Oggi, pur se l'attacco che la borghesia sta sferrando al proletariato mira ad un arretramento generale (economico e politico) della classe, il padronato è attento, per portarlo a fondo, nelle modalità con cui lo attua, a fare i n modo che esso approfondisca ulteriormente la stratificazione e la divisione all'interno della classe operaia: fra operai delle fabbriche in crisi e operai delle fabbriche che ancora "tirano"; fra operai occupati e disoccupati; fra operai del Nord e operai del Sud; fra proletari italiani e proletari immigrati; fra lavoratori dell'industria e lavoratori dei servizi.

Il progetto è quello di una vera e propria "balcanizzazione" del proletariato.

D'altro canto i vertici sindacali non hanno eretto alcuna linea di difesa contro questo attacco e contro questa azione "balcanizzatrice"; anzi, nel frattempo, il processo di irregimentazione del sindacato è andato avanti: assistiamo oramai da parte della stessa CGIL di Trentin, alla preventiva rinuncia a farsi carico quando non a sottoscrivere le esigenze aziendali) della necessità di dare battaglia nelle realtà operaie interessate dai licenziamenti. "Le vertenze in corso vengono gestite con una logica di pura emergenza: le prime a saltare sono le regole più elementari della democrazia sindacale, anche quelle decise dal congresso della CGIL. Chi lavora in fabbrica, chi lotta per il lavoro si sente solo. Mai si era raggiunta una così ampia divaricazione tra lavoratori e sindacato" (dalla bozza provvisoria della relazione al convegno nazionale di "Essere Sindacato" "Ristrutturazione e condizione di lavoro nell'industria metalmeccanica", Milano 13 marzo 1992).

È più che comprensibile allora, che la semplice resistenza immediata della classe operaia contro l'attacco padronale debba scontrarsi con l'impalcatura dell'attuale sindacato, si esponga alle frammentazioni e in qualche caso sia costretta, dalla necessità stessa di continuare la lotta, a porsi al di fuori di esso. È quanto è accaduto in alcune fabbriche di Sesto San Giovanni e alla Contraves di Roma, in cui i vertici sindacali hanno accettato come inevitabile la decisione dei padroni di smantellare gli impianti. "Essere Sindacato", l'FLMU, il coordinamento dei comitati di base che sta sorgendo attorno al COBAS dell'Alfa di Arese: non rappresentano che i vari "contenitori" interni o esterni al sindacato (in alcuni casi "contenitori" peggiori del... "contenitore" di origine, e questo è sicuramente il caso dell'FLMU) in cui va a raccogliersi la volontà di reagire del proletariato industriale.

Il fatto che la resistenza operaia all'attacco padronale si manifesti in queste forme è un dato di fatto, con il quale fare i conti non solo per l'oggi ma, per la realtà stessa dello scontro di classe nelle metropoli imperialiste, anche per il futuro, e in termini amplificati. Di fronte a ciò e di fronte alla necessità di ricostruire un'organizzazione unitaria del proletariato per le lotte immediate che lo schieri come esercito unitario e compatto contro il fronte borghese, non servono a niente le ricette "semplificatorie" del tipo: "i lavoratori che si organizzano fuori dai sindacati sono scissionisti e corporativi" o, viceversa, "i lavoratori che rimangono nelle Confederazioni sono corrotti e irrimediabilmente subalterni al padronato".

Il problema non può essere affrontato per vie formali, né in un senso, né in un altro.

La sostanza del problema è l'urgenza di un lavoro per l'unificazione della massa operaia in un unico fronte al di là dei "contenitori" in cui "pezzi di proletariato" possano essere momentaneamente dislocati.

Per quelle esperienze operaie organizzate autonomamente dal sindacato ciò significa in primo luogo il rifiuto delle "scorciatoie" che, anziché ricondurre ai "viali principali", portano lontano… dalle masse. In questo senso vanno a pennello le critiche mosse all'FLMU da parte del COBAS dell'Alfa di Arese, ad esempio, di scissionismo perla sistematica opera di boicottaggio delle iniziative sindacali "ufficiali" anche quando - com'è stato il caso dello sciopero e della manifestazione delle fabbriche in crisi indetta a Milano il 20 febbraio - è la massa operaia a mobilitarsi e a ritrovarsi nell'unico momento comune che ha visto fianco a fianco gli operai della Marelli, dell'Ansaldo, della Breda, della Pirelli, dell'ALFA, della Colombo etc.

Ma non è, quella imboccata dall' FLMU, l'unica via di fuga che si frappone sulla strada di queste esperienze. Il peso delle difficoltà dell'insieme del corpo operaio è grande e ingombrante, la strada della ripresa si presenta impervia e difficile. Di fronte a questo quadro generale e di fronte alle violazioni delle regole più elementari di democrazia nel Sindacato, è facile esser tentati dal vedere in queste violazioni l'unico ostacolo sulla strada del dispiegamento della lotta operaia e dall'individuare la chiave di volta per superare l'attuale debolezza nel recupero di norme democratiche nell'elezione degli organismi di rappresentanza sui posti di lavoro. Non che la democrazia sindacale non sia un obiettivo e una necessità per i lavoratori: ma, quale strumento per affermare le proprie esigenze, essa non può consistere che nella loro organizzazione e nella loro scesa in lotta. È dunque su questo piano che occorre lavorare. È su questo piano che sono chiamate a muoversi quelle realtà operaie di base che, per coordinarsi a livello nazionale, si sono date appuntamento il 23 maggio a Milano, al teatro di Porta Romana. Cosa significa questo in soldoni?

In primo luogo che esse sappiano guardare e lavorare assieme nella lotta alle analoghe esperienze che si vanno compiendo anche all'interno del Sindacato. Il compito è quello di non smettere neanche per un attimo di agire in direzione dell'intera massa operaia, non erigendo steccati organizzativi ma, per quanto possibile, abbattendogli steccati che attualmente dividono i lavoratori. Un lavoro che sia legato a contenuti di lotta autonomi ed unificanti; un lavoro volto a sganciare la difesa degli interessi operai dalla difesa dell'economia nazionale (perché, nella misura in cui i lavoratori si fanno carico della competitività dell'industria italiana nel mercato mondiale, attentano alla loro condizione materiale e alla loro forza e unità politica). Questo, ad esempio, non può che voler dire, sulla questione occupazione, che per la classe operaia nessun posto di lavoro è un "ramo secco"; che lo è per i padroni che devono competere con gli altri industriali sui 5 continenti; che se per essi è vitale espellere gli operai, spremere di più quelli che restano in produzione e indebolire la classe nel suo complesso, questa, all'opposto, ha tutto l'interesse ad opporsi ad ogni licenziamento, comunque mascherato, e a contrapporre alla divisione indotta dai padroni un'azione che unifichi.

Ma per erigere una linea di difesa di classe sul piano anche solo immediato che sappia favorire la scesa in campo unito del fronte proletario, non si può limitare il proprio intervento in un orizzonte prettamente sindacale e angustamente nazionale, come hanno finora fatto, francamente, queste esperienze di autorganizzazione operaia.

Da un lato l'offensiva della borghesia nelle fabbriche marcia assieme ad una riorganizzazione reazionaria e autoritaria dello Stato il cui obiettivo è quello di disporre di una macchina statale ancor più efficiente nell'attaccare e disciplinare il proletariato. Dall'altro lato essa attinge le sue risorse e la sua forza, da usare in primo luogo contro i lavoratori italiani, ovunque nel globo ci siano proletari e masse diseredate da sfruttare e opprimere.

Proprio per questo, per essere efficace, la battaglia contro l'abolizione della scala mobile, contro i licenziamenti e la mobilità deve essere coniugata con la lotta contro la ristrutturazione reazionaria dello Stato; proprio per questo gli sforzi per la ricomposizione del fronte proletario all'interno dei confini nazionali devono farsi tutt'uno con quelli per l'unificazione di esso con le altre sezioni del nostro fronte di classe internazionale.

L'assemblea del 23 maggio indetta dal coordinamento nazionale delle realtà operaie autorganizzate dell'industria si dovrà muovere entro questo quadro, al bivio: o rappresentare un fattore di stimolo per la lotta e di aiuto per la ricucitura di un'organizzazione operaia in fabbrica; contribuire a cristallizzare l'attuale stato di difficoltà e frammentazione per combattere il quale queste stesse coraggiose energie operaie si sono messe in moto.