EX-JUGOSLAVIA: IL PANE MANCA,
LE ELEZIONI ABBONDANO

Indice


Negli ultimi mesi nei vari paesi ex-jugoslavi c'è stata una vera e propria orgia elettorale. "Non hanno pane? Dategli delle elezioni." Così si potrebbe riassumere la "filosofia" delle classi al potere: mentre ai vecchi e incancreniti problemi se ne aggiungono ogni altro giorno di nuovi, e drammatici, si ricorre alla finzione di una "libera consultazione popolare" nella quale quei problemi veri non sono neppure affrontati, ma dalla quale, per converso. dovrebbe uscire la decisione su a chi demandarne... la non soluzione.

Della Croazia abbiamo già detto nel numero precedente. Aggiungiamo ora che sono alle porte nuove consultazioni. stavolta per le amministrazioni locali (in Jugoslavia e tuttora qui) tradizionalmente dotate di larghi poteri autonomi. L'oggetto della contesa elettorale sarebbe allora quella tra il tentativo dell'HDZ di l'omologare" il potere locale a quello centrale e quello dell'opposizione di fare di esso un argine al centralismo dittatoriale di Tudjman (senza mettere assolutamente in causa il senso di classe, beninteso, di quei centralismo ed ovviamente rifiutandosi di prenderlo conseguentemente di petto: le "autonomie locali" quale "rifugio (residuale) della democrazia"! Tutto da ridere).

Novità? Quella più "eclatante", come direbbero coloro che si esprimono in ostrogoto, sta nella costituzione di un "blocco delle opposizioni" che, per far fronte alle insidie del sistema maggioritario secco (tormento dei Libertini di tutto il mondo), fa di necessità "virtù" arrivando a mettere assieme in lista, ove ciò si renda "necessario", tutti coloro cui sta pesante il giogo di Tudjman. E qui tutti significa proprio tutti, dalla ex-Lega 'riformata" di Racan all'ultradestra ustascia di Paraga all'occorrenza (secondo il copione già sperimentato nella difesa parlamentare del Partito del Diritto da parte dei "progressisti" in nome dei "diritti universali della democrazia"; cosa che non ha mancato di eccitare l'ironia. una volta tanto giustificata, dei bestioni dell'HDZ). La "Slobodna Dalmacija" così motiva la faccenda: "Si tratterà. come sottolineano gli stessi rappresentanti dei partiti di opposizione, di un'alleanza elettorale e non di una coalizione. In altre parole l'operazione non coinvolgerà in alcun modo i programmi, quello a cui si tende è invece la conquista del maggior numero possibile di seggi (!!)... Le differenze di orientamento politico e di programma sono ben evidenti... (ma) si comprende come considerando proprio interesse vitale il consolidamento dell'opposizione nel suo insieme, (i nove partiti del "blocco") abbiano deciso di dar vita ad un'alleanza elettorale."

Croazia: proletari, armatevi di schede

Abbiamo qui un'ulteriore conferma di quanto dicevamo la volta scorsa: il proletariato croato, sempre più sprofondato nel baratro della fame e dell'assenza di diritti sindacali e politici, nella sua faticosa risalita da esso sempre meno potrà trovare un qualche ancoraggio, fosse pur transitorio, nella "sinistra" presente sul mercato politicantesco ed elettoralistico. Proprio mentre sarebbe più urgente chiamare a raccolta le forze di classe offrendo ad esse un programma ed un'organizzazione distinti ed antagonisti, per sconfiggere il regime di Tudjman -come sarebbe possibile- nelle fabbriche e sulle piazze (con la straordinaria opportunità di fare di un movimento di classe il punto di riferimento anche di altri strati e classi sociali rovinati dal regime attuale), ecco che la "sinistra" si restringe all'obiettivo di strappare "democraticamente" all'HDZ fette di potere entro e per il sistema vigente di oppressione e chiama i proletari (se e quando ha ancora il coraggio di evocarne la presenza) a comportarsi da semplici e leali "cittadini" del gregge elettorale, armati di... schede. E, in questo gioco, "Parigi val bene una messa" o... un Paraga! Il tutto mentre allegramente passa in Parlamento una legge che prevede per l'effettuazione degli scioperi una procedura di "arbitrato preventivo" al termine del quale, in caso di fallimento, dovrebbe rispettarsi una "pausa" di un mese e mezzo o più, un "referendum" etc. etc., salvo la facoltà da parte del potere di bloccare comunque l'iniziativa di sciopero nei casi di "emergenza nazionale" (concetto sulla cui elasticità non staremo a soffermarci ... ). Servono commenti ulteriori?

E' per noi marxisti acquisito che nell'area geo-politica che va da oltre i nostri confini orientali alla Moscovia non c'è spazio materiale per un partito riformista degno di questo (pur non molto rispettabile) nome. Questo, in ultima analisi, sta diventando vero anche nelle metropoli, ma qui le risorse dell'imperialismo sono, evidentemente, alquanto diverse e permettono potenzialmente di acquisire, sul piano della competizione di mercato (e militare) internazionale sufficiente "trippa per gatti" (sino a un certo punto almeno) per tener desta una contrapposizione tra conservatori-reazionari e "progressisti" in cui a questi ultimi sia affidata la difesa "social-imperialista" degli interessi operai. Nulla di tutto questo ad Est, dove la principale od unica risorsa di sopravvivenza del capitalismo "nazionale" risiede nella spremitura oltre ogni limite della propria forza-lavoro (sola merce concorrenziale). Qui, di conseguenza, ogni seria lotta immediata del proletariato si trova a scontrarsi assai più direttamente con l'insieme della struttura economico- sociale e di potere politico "nazionale" ed internazionale. Un terreno rifuggito dai "riformisti" locali come una vera e propria peste! Di qui una necessità ancor più stringente per il proletariato locale di costituirsi in classe e quindi in partito politico indipendente ed antagonista: obiettivo a lunga gittata e certamente qui più che altrove arduo, ma anche meno che altrove (guardiamo le cose dall'Italia, ad esempio ...) aggirabile da sirene "riformiste".

Questa prognosi ci è confermata anche dalle recenti elezioni parlamentari e presidenziali slovene.

Slovenia: il voto ingabbia la "questione sociale"

In questa sorta di banana-repubblichetta universalmente considerata "la più civile" dell'area balcanica per la sua tradizionale posizione di intermediaria di traffici e culture Nord-Sud si è nondimeno manifestata, in seguito alla raggiunta "indipendenza", un'acuta questione sociale di pari passo con il degradarsi del tessuto economico (che precedentemente si era potuto giovare proprio delle leggi dello "sviluppo combinato e diseguale" all'interno della Jugoslavia per raggiungere il suo top). Il governo a tinte austriacanti e vaticanesche di Peterle l'aveva resa del tutto insopportabile. Ora quel governo è caduto anche per i contraccolpi di una certa reattività sociale in generale, e proletaria in particolare, e si è andati a nuove elezioni. Ma con quali alternative si è andati alla contesa da parte dell'opposizione "progressista" poi uscita vittoriosa dalle urne? Quella di una timida maggior propensione a non svendere incondizionatamente la propria economia "nazionale" ai pescecani stranieri, a contrattarne il prezzo di vendita. per così dire. ad adottare di conseguenza qualche misura protezionistica, a riallacciare contatti più stretti con l'area di scambio ... balcanica (ironia della sorte!, l'economia si prende la sua rivincita sulla politica), anche forse a porre un freno all'incredibile serie di "concessioni" alla Chiesa cattolica quale potenza fondiaria e anche industriale privilegiata e protetta e, infine, a considerare con maggior attenzione la situazione delle classi lavoratrici attraverso l'avvio di una "politica sociale" (di cui staremo proprio a vedere la sostanza!).

Questo "programma" si è dimostrato, come s'è detto, elettoralmente vincente (ma sino a un certo punto, e lo vedremo subito), imprimendo un balzo al partito liberal-democratico di Drnovsek. Non abbastanza, però, da ricacciare all'opposizione i democristiani di Peterle o da cancellare dalla faccia del Parlamento o dei ministeri la torva figura di un Jansa. Tanto che il nuovo gabinetto governativo, sulle cui capacità di durata e di efficienza non c'è da scommettere un soldo bucato, si presenta come un papocchio inverecondo centro-destra-sinistra in cui a Peterle vanno gli esteri ed a Jansa la difesa.

Il fatto più vergognoso è che la "sinistra doc" del panorama slovena si è tranquillamente prestata a questo gioco facendo scendere in campo una "lista unita" composta da ex-Lega, "partito operaio" (espressione del neo-sindacalismo autonomo) e "partito dei pensionati" (in questo caso dei lavoratori salariati fuori dal ciclo produttivo e penalizzati nei loro "redditi" dalla folle corsa dell'inflazione al 116% annuo non compensata da alcuna forma di adeguamento automatico, sia pur parziale, delle pensioni). Il programma di questa lista si è distinto da quello dei liberal-democratici appena per uno spostamento d'accento più netto sulle tematiche " welfaristiche" non distinguendosi però da esso in nulla di sostanziale quanto a scelte di "libero mercato" e privatizzazione -che, casomai, si "esigono" vere ed efficienti rispetto al pericolo di una "pseudo-privatizzazione" in mano alla neo nomenclatura "politica"; il tutto con l'accettazione incondizionata di principio dell'esigenza di "sacrifici eguali per tutti" (roba da mandare in sollucchero i nostri "rifondatori"!) e previo un "patto sociale" che permetta ai lavoratori di co-determinare come e sino a qual punto debbano accettare volontariamente di farsi bastonare. Una siffatta "sinistra" può solo conseguire il duplice risultato negativo di alienarsi la simpatia delle altre classi sociali, comprese quelle non sfruttatrici che potrebbero, in tutt'altre condizioni, aderire ad un movimento di classe del proletariato e a causa del proprio "corporativismo" (e della propria inconcludenza) e di non saper coagulare attorno a sé neppure l'insieme delle forze elettorali del proletariato. In effetti proprio mentre va sempre più manifestandosi una massiccia protesta sociale dei lavoratori che si traduce in azioni di scioperi di crescente ampiezza e determinazione, ciò non riesce a tradursi efficacemente sul piano politico col risultato che persino fette rilevanti di lavoratori "incazzati" abbandonano questa slavata "sinistra", da cui sentono di non poter nulla ottenere, ma per ripiegare elettoralmente sul più affidabile blocco di potere liberal-democratico "che conta" (e un qualche utile raffronto si potrebbe stabilire con le vicende italiane, fatte salve tutte le differenze, mettendo al posto della "lista unita" slovena il PRC).

Tuttavia, rileviamo che una presenza operaia, sia pure deformata e deviata dai vecchi partiti di riferimento e in assenza di visibili immediati nuovi sbocchi politici, si fa qui ancora sentire pur entro il quadro mistificato della competizione elettorale. Nelle zone più massicciamente operaie, il voto ha fortemente emarginato democristiani ed estrema destra, se pure a crescente vantaggio non della "lista unita", ma dei liberal-democratici. E' questo il segnale di una disposizione dei lavoratori a battersi contro le forze dichiaratamente borghesi e reazionarie; un segnale che, ove accolto da una forza politica di classe, potrebbe indurre ad una decisa scesa in campo del proletariato per un programma e degli obiettivi tendenzialmente antiborghesi. Ma questa forza oggi non esiste e. per ricostituirsi, deve passare positivamente sul corpo della "sinistra" tradizionale. I presupposti. tuttora lontani. di essa consistono nella rottura del "patto sociale" che illusoriamente addirittura si "esige" in nome dei comuni interessi dell'economia nazionale" e nel parallelo superamento dei confini "sloveni" entro i quali mistificatoriamente si dà in atto lo scontro sociale.

Ad un convegno di rispettabili studiosi svoltosi a Zagabria -ed è tutto dire!- , un accademico ha potuto esprimere, data l'asetticità del luogo. una verità a noi da lungo tempo nota: i destini di queste neonate repubbliche "indipendenti" non si decidono qui, Zagabria o Ljubljana, ma altrove, in Occidente. In altre parole: abbiamo qui solo l'amministrazione nazionale", tra mille virgolette, degli interessi di cui l'Occidente chiede i rendiconti. Traducendo la questione dal punto di vista proletario abbiamo la conclusione che segue: la classe operaia "nazionale" è soggetta ad un duplice giogo, quello dei mandatari occidentali in prima istanza, quella dei commissionari "nazionali" in subordine. Se ne potrà uscire solo ricostituendo un fronte autonomo ed antagonista di classe, la cui premessa indispensabile sta nella ricomposizione dell'unità proletaria quanto meno alla scala dell'insieme della (ex)Jugoslavia. Cose che suonano bestemmia per i capoccioni della "lista unita" e dalle quali sono tuttora ben lontane le "coscienze" ed i livelli organizzativi dei lavoratori sloveni. E questo, però, è l'aut aut al quale non potrà sottrarsi il successivo sviluppo dello scontro sociale.

Antimperialismo reazionario

Accennavamo sopra alla neo-presenza in Slovenia di una destra estrema, incarnata dal Partito Nazionale dell'ex-legionario francese (due bei titoli di merito, non c'è che dire!) Zmago Jelincic. Questo fenomeno è estremamente significativo. In un paese nazionalmente omogeneo al 90% ed oltre, da dove può venire fuori un'istanza ultranazionalista, specie dopo che lo Stato ha fissato per legge la discriminazione più netta nei confronti di ognuno che non sia "sloveno puro"?

Lo spiega lo stesso Jelincic in un'intervista al "Primorske Novice" (8 dicembre '92): in Slovenia campeggia già un mezzo milione di non sloveni. di cui 120-150 mila "cosiddetti fuggiaschi" dalle zone di guerra. In realtà. però, se si eccettuano 20 mila fuggiaschi veri, si tratta di "immigrati economici", croati, bosniaci. macedoni, albanesi.... fermamente decisi a "non ritornare mai più da dove sono venuti". Si tratta di una massa destinata a pesare sulla Slovenia. Da che punto di vista? Non da quello degli imprenditori locali, ben lieti di poter sfruttare della manodopera a prezzi ancor più bassi di quelli propri al mercato interno della forza-lavoro. ma da quello del "lavoratore sloveno", che se ne vedrebbe ricattato. Nessun razzismo, quindi, nessuna xenofobia "di stampo fascista", protesta lo Jelincic (il quale addirittura professa che i valori dell'antifascismo, titoismo a parte, vanno preservati e dà del fascista all'irredentismo italiano interno), ma pura difesa degli interessi nazionali del " popolo". Una forma di sciovinismo che, se non affrontata di petto da un programma di classe (panjugoslavo per materiale, storica necessità), potrebbe un domani far breccia anche tra le fila operaie disorientate da una "sinistra" impotente. Il lepenismo insegni. (A titolo di curiosità, segnaliamo che in Friuli-Venezia Giulia usa lo stessissimo argomento per mettere in guardia contro l'ingresso nel paese di una manodopera slovena a buon mercato che "non avrà favorevoli conseguenze sui già precari livelli occupazionali esistenti nella regione" e si professa in ciò "antipadronale" e "filo-operaio"; cfr. "Fiamma Julia", gennaio '93).

Ancor più interessante quel che dice Jelincic dei rapporti con l'Occidente. Bene l'apertura ad esso da parte di una Slovenia che non vuol aver più nulla da spartire con la Balcania. bene lo sviluppo dei traffici, ma... ma stiamo attenti. "Siamo per il collegamento con l'Europa, ma contro l'entrata nella CEE. La CEE è una comunità di ricchi mentre noi siamo poveri e, stando dentro a quella comunità. ne diventeremmo i servi". Un'indiscriminata libera circolazione delle merci ci rovinerebbe. Il latte danese. le patate tedesche, il formaggio olandese costano meno dei nostri prodotti. Che ne sarebbe allora dei nostri contadini ove si aprissero liberamente le porte del mercato? Come si vede. persino il ''pericolo imperialista" può essere evocato da una destra demagogica e populista.

Lasciamo pur perdere il fatto che il rifugiarsi autarchico entro i confini del "produciamo e consumiamo sloveno" è fuori dalla storia e che ad esso ha inferto l'ultimo decisivo colpo proprio il distacco dalla Jugoslavia e la frantumazione di questa. Quello che c'interessa rilevare come pericolo, e grave, è che "anti-imperialismi" di questa fatta possano ritardare e deviare ulteriormente la ripresa di classe, nel vuoto in cui essa cerca di muovere i suoi primi passi, dal momento che il tema corrisponde ad un problema di classe reale che, se non trova una risposta acconcia da parte delle forze politiche proletarie, può vedere uno svolgimento reazionario forte anche di un consenso operaio. E sarebbe un esito fatale, di cui proprio le forze della "sinistra" slovena sarebbero le responsabili prime.

Serbia: contro l'imperialismo non è il voto che decide

Una nota, infine, sulle elezioni nella Federazione Jugoslava. stravinte. attraverso una consultazione formalmente democraticissima (checché si sbraiti qui di brogli e intimidazioni) dal (famigerato) tandem Milosevic-Seselj.

Ci teniamo a dire che le elezioni si sono svolte secondo tutti i crismi della democrazia non perchè noi ci crediamo o ce ne commuoviamo ma perché deve far sovranamente schifo la pretesa occidentale di invalidarne, sulla base di discorsi democratici. i risultati dopo che sappiamo dalla stessa "Voce del Popolo" (entusiasta della cosa!) che la campagna del fantoccio Panic era stata direttamente finanziata e diretta dagli USA. O dopo che la Comunità Europea era direttamente intervenuta nella contesa elettorale con questo esplicito messaggio: "Se Milosevic rimane al potere, hanno affermato concordi a Bruxelles i capi delle diplomazie dei Dodici, il cappio delle sanzioni attorno al collo della Serbia è destinato ad irrigidirsi... Il tempo stringe per Belgrado. Se i serbi non cambiano rotta rapidamente allora per loro saranno guai, ha assicurato il ministro degli esteri britannico Hurd".

L'opposizione "democratica", che raccoglie i suoi adepti tra la piccola-borghesia traffichina e gli aspiranti "compradores" locali, col concorso massiccio della jeunesse dorée universitaria, ha perso la battaglia elettorale proprio perché il popolo minuto serbo-montenegrino ha avvertito chiara la minaccia rivolta dall'Occidente non alla politica di Milosevic in quanto tale, ma all'autonomia ed all'indipendenza del paese. "Non siamo disposti a venderci", questo il senso dell'appoggio di massa al nazionalismo, tutto sommato moderato, di Milosevic (su cui si è riversato massiccio soprattutto il voto operaio) o a quello esagitato di Seselj (che ha raccolto soprattutto nelle campagne).

Inutile sottolineare che, per noi, l'una e l'altra via è priva di sbocchi anche sotto il semplice profilo dell'indipendenza nazionale: al cappio imperialista non ci si può sottrarre battendosi in un "fronte unico nazionale" serbo-montenegrino, ma solo rimettendo in piedi un esercito di classe che. spezzato questo "fronte" contronatura. sappia parlare un linguaggio pan-jugoslavo e internazionalista.

E' meritorio di nota che in queste elezioni ha continuato a far sentire una propria autonoma presenza (cosa di cui qui nessuno parla) una voce che afferma di muoversi in senso contrario tanto alla logica delle opposizioni "democratiche" che a quella del blocco al potere, sollevando insieme la bandiera della Jugoslavia quanto quella del proletariato e del socialismo. Parliamo della Lega dei Comunisti - Movimento per la Jugoslavia e di altre minori formazioni ad essa collegate. Questo partito, presente clandestinamente anche in Croazia e con collegamenti in Bosnia, Slovenia e Macedonia, si è presentato alle elezioni (dalle quali ha raccolto comunque poco più d'un punto per cento, con "exploit" del 2% in Montenegro) con un programma ben diverso da quelli di tutte le altre forze in campo. Cosa non da poco. Così come non è da poco che esso abbia dato una risposta positiva al nostro "Appello", di cui ha anche sintetizzato i punti salienti sul proprio organo di stampa, "Jugoslavija". E, tuttavia, temiamo che la strada da fare sia ancor molta...

Non disponiamo, disgraziatamente, di materiale sufficiente per valutare nel dettaglio l'insieme delle posizioni di questa come di altre forze "jugoslaviste" di classe e certi rilievi, che qui di seguito faremo, potrebbero anche rivelarsi frutto di semplici "sospetti". ma, da certi segnali di cui disponiamo. ci sentiamo comunque in dovere di segnalare dei pericoli oggettivi (e soggettivi) dai quali sarà bene guardarsi.

Primo: non ci scandalizziamo affatto della partecipazione a queste elezioni che, anzi. potrebbero offrire ad una forza autenticamente comunista il destro per un reale ed efficace "partecipazionismo rivoluzionario" nel senso leninista. Ci ''insospettisce", piuttosto, l'enfasi messa sul risultato elettorale e su una mobilitazione in tal senso prioritaria rispetto alla mobilitazione di classe o addirittura separata da essa. Ci "insospettisce" un discorso astratto sui criteri attraverso i quali potrebbe rinascere una nuova Jugoslavia rispettosa dei diritti nazionali di tutti i popoli svolto in termini "costituzionalistici" senza tener conto fino in fondo dei motivi di classe che hanno portato alla disintegrazione del paese e di quelli sempre di classe, di inverso segno, che potrebbero portare alla ricomposizione di una nuova Jugoslavia unitaria (che in nessun caso si darebbe come riedizione "riveduta e corretta" di quella definitivamente sepolta che ci sta alle spalle). Temiamo forte, inoltre, ed è punto decisivo, che la Lega, preoccupata (e sin qui giustamente) dell'attacco esterno alla Federativa, non riesca a saldare la prospettiva jugoslavista ad una decisa e totale rottura con la propria borghesia nazionale, con Milosevic, credendo che per questa via si finirebbe per compromettere quel poco di jugoslavismo che "comunque" sarebbe preservato e difeso dallo Stato della Federativa.

L'esempio del partito comunista di Serbia che nel '14 rifiutò di votare i crediti di guerra non sarà mai abbastanza ricordato al proposito quale esempio cui, oggi più che mai. occorre riferirsi.

Potessimo dare dei consigli, questo diremmo: l'organizzazione comunista sappia di dover pagare oggi. quando si muova su un rigoroso terreno di classe. il prezzo di un provvisorio isolamento: sappia che ogni tentativo di sottrarsi ad esso allargando o costruendo "fronti popolari" interclassisti sarà destinato a produrre solo delle bolle di sapone. mentre andrà a minare in profondità i fattori di coerenza e continuità d'azione comuniste e, con esse, il successo futuro del movimento. Diremmo: proprio mentre tutti i dati della situazione sembrerebbero consigliare di concentrarsi sull'immediato "salviamo il salvabile", con una "prudente" concentrazione di energie entro i propri confini statuali. un'organizzazione comunista deve saper trovare la forza di proiettarsi al massimo al di fuori di questi confini, verso i proletari di ogni altra regione ex-jugoslava ed in direzione del proletariato occidentale.

Su questo aspettiamo delle risposte concrete. Dall'insieme della Lega? Nulla ci autorizza a sperarlo, anche perché siamo convinti che lo scarso risultato "concreto" conseguito alle elezioni aprirà al suo interno processi di differenziazione, scontri ed abiure, a maggior ragione nella misura in cui su di esse si era tutto puntato. Ogni "rifondazione" che non sappia capitalizzare sino in fondo le ragioni della sconfitta, le lezioni della contro rivoluzione, è destinata ad arretramenti continui. La vecchia Lega titoista non era cosa che si potesse né preservare né rifondare. Le forze che alla sua dissoluzione hanno reagito con sentimento ed istinto comunisti possono trovar posto solo in un riallacciamento inequivoco ed integrale al marxismo di sempre.

Queste forze esistono certamente nella LC-PZJ come, presumibilmente. in altre organizzazioni o atomizzate. E' venuto per esse il momento di trarre dall'esame di tutta la storia precedente della Jugoslavia e del movimento operaio internazionale le lezioni che vanno tirate.

Ad esse noi non sapremmo offrire altro che la nostra più fraterna ed incondizionata solidarietà nella comune battaglia per il socialismo internazionale.