Somalia

DIETRO LA MASCHERA UMANITARIA:
I SIGNORI DELLA GUERRA OCCIDENTALI

Indice

Vi ricordate della missione umanitaria in Albania ?


Una regione strategica

I primi morti e l'aperta ostilità della popolazione somala verso l'occupante occidentale hanno rapidamente svelato il carattere dell'intervento imperialista in Somalia. Lì alle prime iniziali aspettative, soprattutto verso gli USA e un presunto "piano Marshall" per il paese, è subentrata ben presto la disillusione e una crescente avversione. Qui una propaganda sistematica cerca di presentare la spedizione militare come una missione "strettamente umanitaria" al fine di mettere "finalmente pace tra dei selvaggi che si scannano per accaparrarsi gli aiuti umanitari del civile Occidente". E a questa operazione "disinteressata" i lavoratori sono chiamati, da questa propaganda, a dare il loro consenso e appoggio.

Diciamolo subito chiaramente: non si tratta né di salvataggio dallo sterminio per fame, né di soluzione delle "rivalità tribali". Nell'esangue Somalia l'imperialismo si presenta militarmente in forze contro gli sfruttati per:

  1. mettere sotto controllo e neutralizzare un focolaio in cui nell'intero Corno d'Africa fino al Sudan sta accumulandosi un potenziale esplosivo. tentando così di bloccare il grave pericolo che l'"infezione islamica" si propaghi fino a minacciare. accerchiandolo. lo stesso Egitto, dove peraltro essa è già ben sviluppata;
  2. correre ai ripari di fronte al rischio che in questa arca avvenga la completa disgregazione di quel minimo di tessuto politico e sociale "moderno" esistente, disgregazione prodotta dalla rapina e dallo sfruttamento selvaggio e che mette in pericolo la "stabilità" dei propri traffici;
  3. giocarvi una prima resa dei conti tra paesi imperialisti, dove fra imperialismi messi sulla difensiva o "cacciati" (quello inglese e quello italiano) e imperialismi "vincenti" (quello americano) è guerra a coltello, una guerra a coltello per mettere i propri rapaci artigli sul potenziale petrolifero e delle materie prime in generale, nonché su carne umana da impiegare al proprio servizio.

A questo riguardo, anche se si tratta di un tema sottaciuto non a caso (con la propaganda a sfondo umanitario certi temi stonano), val la pena ricordare il potenziale che dal punto di vista dello sfruttamento delle materie prime la Somalia rappresenta. Senza voler certo equiparare la Somalia al Kuwait, nondimeno, e nonostante le condizioni di enorme miseria del paese, la Coneco, la Elf e l'Agip hanno già avviato dei progetti di ricerca in questo senso. "Chi azzecca il "cavallo" giusto nello scontro tra fazioni e tribù, si troverà in posizione di vantaggio nella ricostruzione del Paese e nello sfruttamento delle sue notevoli potenzialità: petrolio, gas naturale, persino uranio." (da "Corsera" del 24.1.93).

I veri fomentatori della guerra e della fame sono i paesi imperialisti!

Alla fame la Somalia -e con essa le sterminate masse del Sud del mondo- è stata ridotta non da eventi naturali, né per responsabilità prioritariamente interne ma dalla sistematica opera di rapina delle risorse e di sovrasfruttamento ad opera di quegli stessi paesi imperialisti che reggono le fila del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, dell'ONU e che ora si vorrebbero presentare come i salvatori dei somali affamati.

L'Italia poi ha una precisa e diretta responsabilità nell'attuale tragedia del popolo somalo, che è sempre stato oggetto di attenzioni tutt'altro che disinteressate e pacifiche per il "nostro" imperialismo, il cui intervento risale già alla fine del secolo scorso con il cosiddetto colonialismo "tardivo" di Crispi, per continuare sotto il fascismo e poi ancora, in regime "democratico" con il mandato fiduciario ONU all'inizio degli anni'50, fino alla più recente politica di "aiuti" al regime di Siad Barre, tanto più quando a questi venne meno l'appoggio dell'URSS. Un intervento che ha sempre attizzato e sfruttato le rivalità locali per consolidare la propria presenza nel Corno d'Africa. Una presenza economica e militare che ha costituito un grande affare per il "nostro" capitalismo, mentre per la popolazione somala ha rappresentato una dura e selvaggia oppressione.

L'esplodere dei conflitti tra clan, la frantumazione tribale, il "collasso" della stessa struttura statale, il blocco di ogni autentico moto di autodeterminazione nazionale, il crollo dell'economia fino al prorompere della fame generalizzata sono il frutto del "pacifico" intervento dei paesi imperialisti.

Sempre più l'imperialismo si presenta in armi contro gli sfruttati

Questa ennesima aggressione si colloca all'interno della più generale necessità per il sistema imperialista di garantirsi ovunque le condizioni ottimali per continuare a succhiare il sangue dei proletari e delle masse oppresse del Sud del mondo. Oggi, a fronte di una crisi capitalistica talmente profonda da non poter risparmiare le stesse "ricche metropoli" il saccheggio di risorse umane e naturali, lo strangolamento delle economie attraverso il debito estero devono -se possibile- approfondirsi. Per questo ad essi si accompagna sempre più sovente l'aggressione militare diretta. Per questo la catena degli interventi in anni si fa sempre più fitta ed estesa. E' tutta la periferia ad esplodere, da Algeri a Il Cairo, da Tripoli alla Palestina, dal Venezuela al Sudafrica, e gli effetti già ritornano nel centro del sistema. E anche quando l'imperialismo non si trova di fronte la forza organizzata delle masse in rivolta, è contro il potenziale dirompente di questa che si annuncia che deve correre ai ripari.

L'intervento in Somalia rappresenta anche una sorta di "esperimento" militare da estendere ovunque nel mondo sia in pericolo la "pace" imperialista.

Se il precedente "ordine" è saltato, è la crisi stessa che rende difficile l'affermarsi di un "nuovo ordine". La pressione imperialista è tale che o le strutture statali borghesi del Terzo Mondo vengono costrette ad alzare la testa contro i diktat imperialisti -vedi un Saddam Hussein costretto ad evocare le aspirazioni di riscatto dell'intero mondo arabo- salvo poi subire le rappresaglie più violente, oppure, quando la propria debolezza non consente "sfide", si decompongono e scompongono di fronte all'opera disgregatrice dell'imperialismo.

Una crisi che costringe l'imperialismo a mordere e a non mollare la presa non solo nel canonico "Terzo Mondo" ma a portare la sua opera distruttrice fino ai confini di casa (intervento umanitario per sedare uno scontro inter-etnico anche quello nella ex-Jugoslavia'?)

Si acuisce a tutti i livelli la concorrenza inter-imperialistica

Nello stesso tempo la crisi generale del sistema capitalistico esaspera a tutti i livelli anche i contrasti inter-imperialistici. In Somalia l'intervento militare si presenta, ed effettivamente è, "unitario" contro gli sfruttati, ma ogni imperialismo difende in ciò i suoi specifici interessi di rapina. Si può dire che con la guerra all'Irak è iniziato un livello di contesa inter-imperialista in cui la forza delle armi è sempre più decisiva.

In tale scontro gli americani partono evidentemente avvantaggiati, grazie alla loro potenza militare. Ne sanno qualcosa gli alleati della guerra del Golfo, che dopo aver preso parte alle operazioni belliche, hanno poi dovuto subire la confisca pressoché totale dei vantaggi della guerra da parte degli USA.

Lo scontro si va comunque approfondendo in ogni parte del globo ed ogni conquista per l'uno va direttamente a discapito del concorrente. La necessità di un "nuovo ordine" non fa che polarizzare il conflitto di interessi tra gli stessi paesi imperialisti, tra paesi oppressi e oppressori, tra proletariato e borghesia.

Per l'unità tra gli sfruttati del Sud del mondo e il proletariato delle metropoli

Ad appena due anni dalla criminale guerra del Golfo, l'imperialismo lancia così nuove pesanti minacce alle masse sfruttate dell'area arabo-islamica. E' facile comprendere a partire da questo ulteriore giro di vite contro gli sfruttati (dall'Irak al Mozambico ... ) perché in tutta questa ampia regione stia riemergendo in maniera esplosiva la questione islamica. Anche in Somalia, nonostante la moderazione dei capi locali e nonostante non sia mai esistita una forte tradizione islamica, il fondamentalismo dilaga a nord come a sud.

Non ci stancheremo mai di ripetere che ciò avviene non per questioni di ordine religioso, ma perché esso rappresenta (tantopiù chiaramente in Africa nera) una bandiera di raccolta -al momento l'unica- delle masse povere per rispondere all'esigenza ineludibile di lotta all'imperialismo, che si afferma in modo sempre più pressante. Se questa istanza vitale di lotta è oggi provvisoriamente incanalata dall'islamismo (che non può certo essere una direzione coerente di questa lotta!) è "solo" perché da qui, dal proletariato delle metropoli, mancano dei chiari segnali di classe. di appoggio e solidarietà incondizionati ad essa.

E quando pure una certa generica solidarietà viene espressa, essa è condizionata ad una netta condanna e presa di distanza da questa ala radicale plebea del movimento di lotta e da tutti gli "estremismi". Con ciò vengono disattesi -o peggio...- proprio quei compiti di riunificazione tra masse sfruttate e proletariato delle metropoli, unica strada per uno sbocco vincente della lotta antimperialista.

In una situazione di aggressivizzazione dell'imperialismo -e quello di "casa nostra" è sempre più attivo sullo scenario internazionale- gravissima è la responsabilità dei vertici dei partiti riformisti e dell'arcipelago pacifista, che hanno avallato tutte le recenti imprese militari del "nostro" governo (dall'Albania... al Mozambico). Queste forze hanno espresso un giudizio sostanzialmente favorevole all'intervento in Somalia per la sua presunta "valenza umanitaria". Al più viene criticato il fatto che questa operazione avvenga sotto l'egida USA anziché ONU, ciò che danneggerebbe gli specifici interessi della "nostra" nazione. Si ignora e si tace, così, lo stretto legame tra le forme dell'oppressione coloniale e le disastrose conseguenze materiali di ciò sulla popolazione somala. Con qualche banale distinguo si legittima in tal modo un intervento a difesa degli "interessi vitali" dell'imperialismo. Mistificando sulle vere responsabilità e sui reali interessi dei briganti imperialisti, si disarma il proletariato. seminando illusioni, confusione e disorganizzazione tra i lavoratori.

Ma anche tra chi -in maniera del tutto contraddittoria- ha detto no all'intervento italiano. lo ha fatto a tutela degli interessi nazionali propugnando un supposto ruolo "autonomo e diverso" del "nostro" paese nei rapporti internazionali. Ma così si disattende il compito di denuncia del ruolo imperialista dell'Italia e, dunque, si è completamente fuori da ogni prospettiva internazionalista di classe. Non si tratta, infatti, di chiedere al governo di non interessarsi di ciò che succede là, di rimanere a casa propria e di lasciare "la Somalia ai somali". No! La strada non è quella: "ognuno per sé", con un pizzico di generica solidarietà. I fatti di Somalia ci riguardano, riguardano il proletariato. L'aggressione esterna rappresenta l'altra faccia dell'attacco interno. Laggiù miseria, fame, morte e oppressione; qui una stretta senza precedenti contro la classe operaia - al salario, all'occupazione ai suoi diritti sindacali e politici.

Difendersi efficacemente in "casa propria" comporta necessariamente mettere il naso negli affari esteri della "nostra" borghesia... per tagliarle gli artigli, e non per mutarne gli atteggiamenti... imperialisti. Lottare contro l'intervento militare è, dunque, una necessità della classe operaia.

Il proletariato, allora, deve opporsi a questo falso "intervento umanitario", perché questa operazione rafforzando il ruolo imperialista dell'Italia non può che accrescere l'aggressività di padroni e governo anche sul piano interno. Si tratta di sostenere incondizionatamente la lotta antimperialista delle masse oppresse e di battersi contro le aggressioni esterne della "nostra" borghesia.


Vi ricordate della missione umanitaria in Albania?

Ci sembra superfluo ogni commento agli stralci che riportiamo qui di seguito da quotidiani insospettabili di simpatie "sovversive". Si tratta di estratti che meglio di qualsiasi commento rendono l'idea di quelli che, e da un punto di vista economico, e da un punto di vista militare, sono i veri motivi che sottostanno alle imprese "umanitarie

Aspetti economici:

"Chi ci crede la definisce l'ultima frontiera, l'ultimo territorio vergine e inesplorato dove chi ha fegato è ancora in tempo per partecipare a una grande corsa all'oro. I più entusiasti la consideriamo già la ventunesima regione d'Italia. "Ha presente cosa ha fatto la locomotiva Germania con la DDR? Ha presente cosa sta succedendo oggi nei cinque Laender dell'Est ? Nessuno avrà il coraggio di dirlo apertamente, ma mi dia retta: l'Albania è la DDR dell'Italia. E noi siamo qui per fare la riunificazione. Solo quella economica, s'intende.

Quella politica non è affar nostro. " ... l'imprenditore leccese parla con solennità da statista...". La Germania si sta prendendo la Boemia e l'Ungheria, per Slovenia e Croazia siamo arrivati troppo tardi, come al solito. In Russia ci hanno provato tutti ma è andata quasi sempre male. La Polonia è un terreno molto difficile. A noi italiani resta l'Albania. e anche qui dobbiamo fare in fretta prima che ce la soffino " A 47 anni dalla fine dell'Impero sabaudo, la presenza italiana è tornata ad essere così massiccia da ricordare una nuova colonizzazione. I carabinieri anche se disarmati (ancora per quanto?, ndr.) - pattugliano Tirana e il porto di Durazzo proprio come negli anni trenta. La nostra Aeronautica militare sorvola lo spazio aereo albanese. Le coste sono sorvegliate dalla nostra Marina Militare. E un docente dell'Università di Trento, Gianmaria Gianni, ha appena finito di scrivere il primo volume del Codice civile albanese." ("Corsera" del 11.11.92).

Aspetti militari:

" ... si parla apertamente di una occulta ma ben precisa regia che vorrebbe ricreare in Macedonia la stessa situazione che sta insanguinando la Bosnia-Erzegovina. Anche le notizie che giungono da Tirana non sono tra le più rassicuranti. Fonti albanesi, infatti, parlano di 40.000 soldati che con carri armati e altri armamenti pesanti si stanno schierando sul confine con la Jugoslavia. Ma ancora più interessante è quanto scrive il quotidiano 'Vecerneje Novosti" secondo il quale proprio sul confine jugoslavo-albanese sono stati scoperti giorni fa cinque tunnel segreti sotterranei, uno dei quali è lungo qualcosa come 10 chilometri, attraverso i quali i "terroristi" transitavano da un Paese all'altro. Il quotidiano ha anche riportato la testimonianza di uno dei cosiddetti "terroristi" anche lui istruito in Albania, secondo il quale i separatisti del Kosovo vengono preparati in Albania dove operano circa 3.500 "istruttori" italiani, tedeschi, austriaci e statunitensi." Anche il quotidiano Politika nel suo commento politico-militare parla di istruttori italiani che operano in Albania, i quali in due o tre mesi sarebbero in grado di preparare alla guerra circa 400 appartenenti a unità speciali ("Il Piccolo" del 10.11.92).

No comment, appunto.