Classe operaia e nuovo governo

NON ASPETTARE CIAMPI ALLA PROVA.
PREPARARSI ALLA LOTTA

Indice

A partire dall'estate dello scorso anno il capitalismo italiano ha sferrato contro il proprio proletariato un attacco generale sul piano economico e sociale. La violenza di quell'attacco è stata direttamente proporzionale al crescere delle difficoltà economiche e politiche con cui esso è costretto a fare i conti e all'urgenza con cui deve risolverle per presentarsi, con tutte le carte in regola, sull'arena della contesa internazionale, sia sul piano della "competitività" commerciale che su quello, persino più decisivo, della generale potenza (economica, politica e militare) necessaria per rivendicare una propria fetta di dominio nell'ambito della rispartizione del mondo riapertasi a partire dall'89 e dalla guerra del Golfo.

Il governo Amato, fedele esecutore di quella necessità, ha ingaggiato con la classe operaia uno scontro dai caratteri di durezza sconosciuti a tutti i precedenti governi democristiani o di centro-sinistra. Parallelamente all'attacco sul piano economico, la borghesia ha continuato l'opera, iniziata da vari anni, di ristrutturazione dei proprio Stato, con 'obiettivo di eliminare ogni possibilità di influire su di esso da parte della classe operaia attraverso le sue lotte e le sue organizzazioni politiche e sindacali. All'attacco sul piano economico e sociale il proletariato ha risposto con un movimento di scioperi e manifestazioni articolatosi in maniera molto intensa lungo un arco di circa sette mesi (settembre '92/aprile '93). A quello sul piano politico, invece, la risposta è stata molto più debole, a conferma di come, per la classe operaia, non sia ancora affatto chiaro neanche di essere il vero oggetto di esso. La borghesia può vantare a tutto suo vantaggio questa inconsapevolezza del suo avversario. ma non può evitare di fare i conti con la grande forza che, almeno sul piano delle rivendicazioni economiche, il proletariato ha messo in campo.

Il primo a dare prova di questa necessità è stato lo stesso Amato, che, circa all'inizio di quest'anno, ha mutato, in qualche misura, il suo atteggiamento nei confronti delle rivendicazioni operaie e dei sindacati: ritiro dei decreti sul mercato del lavoro, aumento dei bollini sanitari, mobilità lunga per alcune categorie, interventi in alcuni settori di crisi con relativa riapertura dell'impegno delle finanze dello Stato a sostegno dell'occupazione, tentativo di assecondare -nella maxi-trattativa con la Confindustria- le richieste sindacali di mantenere due livelli contrattuali. Non che Amato abbia mai accettato di rimettere mano ai suoi precedenti provvedimenti, ma, certamente, ha cambiato il suo da un atteggiamento di completo rifiuto verso le rivendicazioni operaie e sindacali a un altro improntato a una dichiarata volontà di ricucire dei tavoli di trattativa e discussione.

Il governo Ciampi, succeduto ad Amato e al referendum del 18 aprile, ha preso il testimone esattamente in quel punto e ha cercato di continuare a correre sulla stessa corsia su cui si era, nell'ultimo periodo, collocato il suo predecessore, rispetto al quale era sembrato persino favorito per la opportunità che gli era data di imbarcare finalmente al governo anche il Pds, obiettivo per cui lo stesso Amato si era battuto.

Governo Ciampi e "patto sociale".

Il governo Ciampi ha assunto, dunque, il compito di sancire la chiusura di una tornata di attacco generale, sul piano economico e sociale, al proletariato. Le motivazioni delle scelte dell'ex-governatore e dello schieramento (con Confindustria in prima fila) che lo sostiene sono varie e complesse, ma tutte, come sempre, riconducibili, in ultima istanza, ai rapporti -e allo scontro- tra le classi.

1. Innanzitutto la borghesia può ritenersi soddisfatta dei risultati ottenuti dal 31 luglio in poi, non perchè le possano consentire di superare definitivamente tutti i suoi problemi, ma perchè sono stati un notevole passo avanti nel ridimensionamento -su tutti i piani- della classe operaia. Molte di quelle misure, inoltre, porteranno con il tempo benefici ancora maggiori. Nullaosta, dunque, a rallentare la pressione anti-operaia nell'attesa che quei risultati si consolidino (anche nel senso che la classe operaia li digerisca fino in fondo!).

2. Col referendum del 18 aprile la borghesia ha ottenuto il necessario consenso di massa a una maggiore centralizzazione dello Stato. Ora deve, però, dare un assetto stabile al potere politico e trovare il personale adatto a ciò, con un tentativo di ricucitura tra il meglio del "vecchio" e del "nuovo", operazione che si sta rivelando quanto mai complicata.

3. Un nuovo attacco generale alla classe operaia, riproducendo una risposta di lotta analoga alla precedente (e ce ne sono ancora le possibilità, non avendo la classe operaia introiettato ancora -al contrario di Rifondazione, Bertinotti o Ingrao- un senso di sconfitta) acuirebbe i rischi di instabilità economica, sociale e politica. E in questo momento l'instabilità sarebbe, per il capitale, una pessima compagnia, sia perchè deve avere il tempo di organizzare la sua rappresentanza politica, sia perchè deve riconquistare il suo ruolo, a scala internazionale, sul piano commerciale, finanziario e politico-militare.

Queste motivazioni immediate trovano la loro ragione profonda in una contraddizione perenne in cui si dibatte il capitale, costretto da un lato a spremere i suoi operai, e dall'altro a doverne tenere, in qualche modo. conto per presentarsi come nazione (o paese) il Più possibile coesa e stabile nell'arena dello scontro internazionale, il che presuppone la necessità di contenere il "fronte interno" con un consenso attivo o, per lo meno, una benevola passivizzazione del grosso del proletariato.

Questa è, quindi, la base di classe su cui fondano le avances di "patto sociale" fatte balenare, in particolare, da Ciampi e Giugni, e concretizzatesi fino al punto di invitare nel governo il Pds.

In ogni caso non si sarebbe trattato, né si tratta, di alcuna riedizione del "patto sociale" conosciuto negli ultimi 50 anni. Alle viste non era, e non è, nei programmi della borghesia, alcuna restituzione o reintegrazione di quanto alla classe operaia è stato tolto neanche con la più recente "manovra". Quanto la borghesia sembrerebbe disposta a "concedere" è soltanto un rallentamento della pressione anti-operaia, un qualche ripristino assai parziale e momentaneo di qualche vecchia "garanzia" un leggero ridimensionamento di alcune sue pretese (per esempio, forse, il mantenimento di due livelli di contrattazione invece della immediata, secca, riduzione a uno). In cambio di queste "concessioni" e di qualche altra più secondaria, rivolge al proletariato l'essenziale richiesta di una tregua sociale, quella di introdurre una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro, mentre continuerà a tenere in piedi l'attacco all'occupazione e quello sulla produttività nelle singole fabbriche. Nessuna delle richieste è di poco conto. In particolare con la seconda il capitale punta a minare ulteriormente le condizioni di unità materiale, e quindi di organizzazione e di lotta, dell'intero proletariato.

Sul piatto della bilancia di questo patto" (comunque svantaggioso per il proletariato) il governo Ciampi avrebbe dovuto mettere, dal lato delle "concessioni" agli operai anche il perseguimento di una maggiore Il equità fiscale", che, tradotto in soldoni, vuol dire aumentare la pressione tributaria sui ceti medi, quelli abituati ad arricchirsi tramite elusioni ed evasioni più o meno legalizzate. Non a caso il più importante ministero affidato al Pds era quello delle Finanze. In tal modo erano poste anche le premesse per scaricare sul Pds e, in fondo, sulla classe operaia, la rabbia dei ceti medi eventualmente più colpiti dal fisco.

E' stato sufficiente soltanto che queste intenzioni fossero appena esplicitate per indurre le forze politiche che meglio rappresentano le Il classi intermedie" più incarognite contro il proletariato (Lega Nord e MSI) a sparare contro il governo Ciampi tutto il loro risentimento, riuscendo, nel giro di poche ore -e grazie ai molti NO depositati nel segreto dell'urna al l'autorizzazione a procedere contro Craxi- a espellere il Pds dal governo e a ridurre lo stesso Ciampi a più concilianti propositi, stando, per lo meno, alla soddisfazione con cui Bossi ha commentato il suo colloquio con colui che solo il giorno prima aveva accusato di essere stato iscritto alla P2.

Sulla proposta di "patto sociale" avanzata dalla borghesia pesa, dunque, anche il "terzo incomodo" dei Il ceti medi", che sollecitati, dal grande capitale e dalla sua stampa, a mobilitarsi in funzione anti-operaia, sia sul tema della lotta al "consociativismo" con relativa ristrutturazione dello Stato, che su quello di far fronte comune con Amato per imporre al proletariato le contro-riforme economiche e sociali, hanno risposto con entusiasmo e non sono disposti, ora, a recedere dalle posizioni conquistate.

La richiesta principale di questi settori è che si proceda in modo accelerato al ricambio del "ceto politico", con elezioni anticipate e ravvicinate, in modo da portare a fondo l'attacco contro il "vecchio" sistema, per essi eccessivamente cedevole verso il proletariato.

La Confindustria non ha apprezzato questo siluro a Ciampi. Il capitale teme che elezioni troppo ravvicinate rafforzino le ipotesi di radicalismo di destra piccolo-borghese, preoccupanti non tanto per gli accenti populistici "contro il grande capitale" quanto perchè rischiano di scatenare "irresponsabilmente" un nuovo e più acuto conflitto sociale e politico, cui la borghesia non si sente ancora sufficientemente preparata (preferisce, prioritariamente, assestare altri colpi ai fianchi a Pds e sindacati), e che le condizioni economiche generali, pur gravi, non giustificano ancora del tutto.

La classe operaia e il governo Ciampi.

Una certa "sinistra" già confusa per carattere genetico, e resa del tutto frastornata dalla batosta del 18 aprile, ha reagito al governo Ciampi quasi fosse la continuazione in peggio dell'attacco anti-operaio di Amato. Da parte operaia, invece, sono stati molti i segnali di consapevolezza che l'operazione-Ciampi era un modo di venire a patti con il movimento di lotta espresso negli ultimi mesi. E, di conseguenza, se da un lato l'auto-esclusione del Pds dal governo è stata salutata come una scelta obbligata per non confondersi con i difensori del "vecchio" e della "corruzione", dall'altro essa è stata percepita anche come risultato di un feroce sgambetto organizzato proprio da chi temeva l'eccessiva vicinanza al governo di Pds e operai.

Ma, se la presenza diretta del Pds non avrebbe, probabilmente, comportato un'assunzione del governo Ciampi come il "proprio" governo, la fuoriuscita di quel partito non ha comportato una posizione di ostilità preconcetta. Più coerentemente dei vertici del Pds, il senso comune operaio attende di vedere il governo alla prova.

Quella convinzione e questa posizione della massa operaia sono da ritenersi del tutto legittime e naturali. Pensare di estirparle a forza di paroloni contro Ciampi avrebbe ben poco senso, oltre che poco rapporto con la realtà Quel che conta -e che deve vedere i comunisti impegnati è di non concedere alcuna tregua al governo Ciampi, ma di incalzarlo su tutte le rivendicazioni già sostenute dall'autunno a oggi, e di tenere sempre in vita e rinforzare la propria organizzazione e pronta la disponibilità alla lotta.

Il primo obiettivo da porre è che le possibilità fatte balenare da Ciampi siano, innanzitutto, concretizzate, e lo siano al modo rivendicato dal movimento di lotta: riconquista della scala mobile, restituzione dei fiscal drag, abolizione delle norme di Amato su sanità e pensioni, rifiuto di ogni ulteriore modifica del *mercato dei lavoro e di ogni peggioramento contrattuale proposto nella maxi-trattativa.

E strettamente legato a quello va tenuto, e anzi assolutamente rinforzato, un fronte di lotta in grado di battersi unitariamente contro tutte le minacce all'occupazione, evitando di affrontare le situazioni di "crisi occupazionali" come fatti che riguardino solo i settori operai direttamente coinvolti, e assumendole come problemi che riguardano l'intera classe, e ai quali bisogna rispondere con lotte unitarie e obiettivi unificanti come la difesa e l'estensione degli "ammortizzatori sociali" l'indennità di disoccupazione pari al salario e per tutti i disoccupati, la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario.

La "correzione di rotta" (per ora, solo a parole) di Ciampi è frutto della capacità di lotta messa in campo dal proletariato. Essa, ed essa soltanto, può garantire che gli obiettivi rivendicativi siano concretamente realizzati. Questa è la lezione principale che l'autunno-inverno consegna alla massa operaia: un movimento di lotta, unitario, esteso, organizzato può consentire -pur nelle condizioni generali di maggior difficoltà della classe- di predisporre una difesa credibile delle condizioni di vita e di lavoro. Ed è questa la strada su cui bisogna insistere, facendo, tramite essa, anche i conti fino in fondo con la linea e le prospettive di cedimento in nome dell' "economia nazionale" propugnate dai sindacati e, in genere, da tutto il riformismo.