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Dossier Internazionale

 

GIU' LE MANI DALLA SOMALIA!

Indice

Riformismo, agit-prop del colonialismo


Diventa ogni giorno più chiaro come in Somalia sia l'Occidente il vero "signore della guerra", affamatore e assassino delle masse sfruttate di questo paese e di tutto il Sud del mondo. La presunta "diversità" italiana ha per unico obiettivo quello di coprire le mire di rapina del "nostro" imperialismo contro le masse somale. Dalla cui lotta sale un grido di rivolta che sta a noi, proletariato d'Occidente, saper raccogliere contro il comune nemico: l'imperialismo!


"Una lezione non solo ad Aidid, ma a chiunque abbia orecchie per intendere": cioè alle "teste calde" e alla massa di disperati del Terzo Mondo che "osano" sollevarsi contro le spedizioni di "pace" dell'Occidente. Così Clinton all'indomani dei bombardamenti americani di metà giugno su Mogadiscio e dell'eccidio della folla somala manifestante contro l'Onu ad opera dei caschi blu. Il presidente ha il merito di parlar chiaro. L'obiettivo comune a tutti gli imperialismi intervenuti in armi in Somalia è infatti quello di bloccare e neutralizzare un nuovo focolaio di ribellione delle masse sfruttate dall'Occidente, passibile di esplodere ed estendersi in collegamento con la più vasta sollevazione del proletariato e delle masse arabo-islamiche.

L' "esperimento" Somalia indica con chiarezza la direzione in cui l'imperialismo intende muoversi per imporre il proprio ordine in quei paesi già a pezzi a causa della politica di rapina del Fondo Monetario. La sorte riservata a questo come ad altri paesi del Sud e dell'Est (dalla Cambogia alla Jugoslavia, dall'Angola al Mozambico) è quella di un protettorato Onu (per iniziare) capace di garantire con il ritorno in armi delle potenze occidentali quelle condizioni di sovrasfruttamento e di rapina delle risorse umane e materiali che devono, se possibile, ulteriormente perfezionarsi. Si tratta per i paesi imperialisti di approfondire così l'opera di disarticolazione e balcanizzazione di interi stati extra-metropolitani in cui gli argini protettivi a difesa dei mercati così come la resistenza del proletariato e delle masse diseredate vanno abbattuti senza pietà. Gli "aiuti alimentari", l'opera di "pacificazione" di fazioni rivali non servono ad altro che a nascondere dietro la maschera della "ingerenza umanitaria" questi obiettivi!

Il caso Somalia ne è un esempio eloquente. Questo paese ha dovuto subire negli ultimi dieci anni - per non parlare della secolare dominazione italiana - una pressione vieppiù pesante da parte della finanza imperialista. Con uno dei suoi famigerati piani di "aggiustamento strutturale" il FMI ha manomesso completamente l'economia somala, indirizzandone le risorse all'unico fine del rimborso del debito accumulato con l'estero (cioè con i paesi rappresentati dallo stesso FMI). Successive svalutazione della moneta con crollo del potere d'acquisto della popolazione, imposizione di tagli ai bilanci statali (drastiche riduzioni delle sovvenzioni all'agricoltura e all'allevamento e ai fondi per i piani di sviluppo economico e disintegrazione dei programmi di sanità ed educazione), privatizzazione dei servizi dismessi dallo stato: tutto ciò , supportato dalla politica occidentale di "aiuti alimentari" e di orientamento dell'agricoltura verso prodotti di esportazione (esposti al crollo dei prezzi sul mercato mondiale) ha da un lato rovinato la piccola produzione agricola e l'allevamento, riducendo la Somalia alla più completa dipendenza alimentare (facilmente convertibile, si è visto, nella fame nuda e cruda); dall'altro ha completato la messa sotto tutela della politica governativa e dell'amministrazione statale da parte dei "donatori" occidentali. Dalla rovina economica alla disintegrazione dell'unità statale il passo è stato breve allorché il regime di Siad Barre - divenuto un fantoccio degli emissari imperialisti, Italia in primis - non è stato più in grado di garantire a questi ultimi le condizioni di usura da imporre ad una popolazione stremata e sempre più in rivolta .

E' a questo punto che l'Onu decide di intervenire in Somalia con "tutti i mezzi necessari". A dire delle "anime belle" d'Occidente, per salvarla dal baratro in cui sarebbe caduta a causa del "dittatore" e poi dei "signori della guerra" locali. In realtà per imporre il proprio ordine armato (quale che sia la forma del previsto protettorato) in una regione economicamente e strategicamente importante quale il Corno d'Africa, affacciantesi sul Mar Rosso, arteria primaria della via del petrolio.

L'imperialismo italiano ritorna in Somalia

Qui, come in altre regioni, assistiamo a una prima resa dei conti tra imperialismi, a un livello in cui la forza delle armi è sempre più decisiva. Gli USA, colpiti da un processo di decadenza economica irreversibile, stanno lanciando una violenta controffensiva anche in regioni storicamente non di loro influenza preponderante, sottraendole direttamente ai rivali. In questa nuova ripartizione armata i rivali imperialisti degli Stati Uniti, seppur più deboli sul piano militare, non per questo sono meno rapaci e assassini.

E' il caso dell'Italia che sta cercando di presentare la sua relativa debolezza come presunta "diversità" nei mezzi e nei fini della sua presenza in Somalia. In realtà si tratta di una propaganda ben orchestrata allo scopo di mascherare i medesimi interessi imperialisti di rapina e asservimento delle masse somale e di ottenere l'avallo o perlomeno il tacito consenso dei lavoratori rispetto a questa spedizione militare. Andiamo a vedere, infatti, in cosa consiste questa presunta "diversità".

Senza riandare alla sua secolare presenza coloniale nella regione, basti ricordare come l'Italia, praticamente estromessa dalla Somalia a seguito della caduta di Barre, ha tenacemente spinto, prima e durante Restore Hope, per rimettervi piede nonostante i veti più o meno espliciti dell'Onu e i contrasti con gli americani. Tutto questo per contribuire all'opera "umanitaria" valendosi della "conoscenza dei luoghi" e delle "relazioni" sviluppate precedentemente? Agli "ingenui" risponde il Corriere della Sera: "i nostri interessi (compresi quelli economici) dovranno sempre più spesso essere tutelati con atti di presenza politico -militare".

E' quanto sta tentando di fare l'Italia nonostante lo scontro aperto con gli Usa e l'Onu. Non si tratta in nessun caso di uno scontro tra opzione "umanitaria" e opzione "militare", come vorrebbero far credere il governo italiano e i suoi reggicoda pacifisti e di "sinistra". La posta in gioco è in realtà ben altra ed è riconducibile al problema di chi deve "normalizzare" le masse somale e sul come farlo. In ciò l'imperialismo italiano punta da un lato sul ruolo "mediatore" (in realtà attizzatore di divisioni pro domo sua) tra le diverse fazioni somale alla ricerca del cavallo giusto da azzeccare (ciò da cui, del resto, neanche gli americani si astengono). Dall'altro lato, occupando militarmente, disarmando, rastrellando e uccidendo, rivendica sulla pelle dei somali un "maggior ruolo" nell'operazione in vista delle spoglie da spartire.

Così, a suggello dell'opera avviata nei sei mesi precedenti i militari italiani sparano su una folla che oppone resistenza ad un rastrellamento (scontro del 2/7 al check-point "Pasta") per poi intimare: "se si ripeterà quanto accaduto faremo fuoco". Nel frattempo riorganizzano e riarmano il corpo di polizia somalo atto a "garantire la sicurezza" a Mogadiscio (agli ordini dei vecchi padroni). Né guerra senza politica né politica senza guerra, appunto!

Ciò che comunque va coperto è che la dissociazione dagli Usa non è affatto tale rispetto alle finalità imperialiste di controllo sulla Somalia che stanno alla base dell'intervento italiano, ma solo rispetto al ruolo esclusivo che gli americani intendono assumere nella "nostra" ex-zona d'influenza. L'annunciato ritiro delle truppe da Mogadiscio, se sarà attuato, non contraddice ciò: solo i fessi (e gli interessati) possono credere a preoccupazioni "umanitarie" e non piuttosto a un sonoro schiaffo di parte americana in uno con le crescenti difficoltà ad aver ragione della sollevazione antioccidentale.

Questa linea di accreditamento del "volto umano" dell'Italia non si può dire che stia passando tra le masse somale e comunque prelude non ad un allentamento della pressione italiana, bensì ad un nuovo giro di vite contro di esse. Essa va dunque denunciata per quello che è: una politica di guerra al popolo somalo e al proletariato di qui, le cui ragioni di lotta contro la propria borghesia dovrebbero nella levata di scudi nazionalista risultare annegate e cancellate.

Riformismo complice

Nel mentre l'imperialismo italiano va aggressivizzandosi all'esterno (e all'interno), il riformismo mostra di abbracciarne sempre più l'essenziale: la difesa della "nazione" ovunque siano in gioco i "nostri" interessi vitali, salvo differenziarsi sui metodi ritenuti più adatti per questa difesa e ritrarsi di fronte ad alcune delle sue conseguenze più "vistose". Vediamone le posizioni nei passaggi più importanti della vicenda somala.

Compatta all'inizio nell'avallare la necessità dell'intervento "umanitario", la "sinistra" avanza al limite qualche timido dubbio sul ruolo americano che comprometterebbe un'effettiva direzione da parte dell'Onu. Essa contribuisce così a mistificare la natura imperialista della missione e appoggia di fatto la politica della propria borghesia che ritorna in armi nella ex-colonia. Inizia a fare dei distinguo allorché gli Usa mostrano di andarci con la mano pesante, ma, di nuovo, per denunciare non il carattere dell'intervento occidentale e italiano in primis, bensì il rischio di "stravolgimento" della missione. E se il Pds continua ad appoggiare apertamente il governo chiedendo anzi un "più forte ruolo dell'Italia", il Prc avanza timidamente e contraddittoriamente la richiesta del ritiro del contingente, ma al di fuori di ogni prospettiva di denuncia e di lotta all'imperialismo italiano e di unità tra gli sfruttati somali e la classe operaia occidentale, al contrario rivendicando un ruolo "autonomo" e "diverso" dell'Italia.

Ma è in occasione dello scontro tra Italia e Stati Uniti che si manifesta quanto in profondità il riformismo abbia fatto proprio il punto di vista dei "supremi interessi della nazione". Il Pds, invitando il governo a "non indietreggiare" di fronte agli Usa, rei di aver trasformato la missione umanitaria in azione di guerra (!), rivendica all'Italia il ruolo di "pace", mistificandone così le vere intenzioni e chiamando a raccolta la nazione (e i lavoratori) contro il nemico esterno. "Lo strappo di Roma da Washington" - scrive L'Unità all'annuncio del ritiro italiano da Mogadiscio - è l'atto ufficiale di nascita della prima libera politica estera italiana", che ha il solo neo di mostrarsi "impotente di fronte alle scelte americane". Rifondazione da parte sua, non vedendo il ruolo imperialista dell'Italia (che non è dato da una certa "politica estera" ma dal livello di sviluppo raggiunto dal capitalismo italiano), ne reclama un cambiamento di politica, quasi fosse possibile un suo intervento "umanitario", "disinteressato" ...se solo si determinasse una politica estera veramente nazionale, indipendente e autonoma dagli USA. In tal modo, anche la richiesta di ritiro dei militari non fuoriesce dall'ottica della "difesa dell'interesse nazionale" che, comunque lo si rigiri e abbellisca, è e resta imperialista.

Così l'anti-americanismo (per noi male non in sé, sia chiaro), al di fuori della denuncia del "nostro" imperialismo e staccato da ogni prospettiva internazionalista di classe, finisce per coprire l' opera di rapina dell'Italia e contribuisce così a confondere e immobilizzare il proletariato, accorpandolo in nome della difesa degli interessi nazionali sulla politica del suo nemico di classe.

Antimperialismo e proletariato: che fare?

Nonostante le criminali posizioni dei capi "operai" d'Occidente e lo stato tuttora di fiacchezza del proletariato di qui, la rivolta antimperialista in Somalia e in tutto il Sud sale, si approfondisce, si estende. Con l'intervento ONU e la risposta di lotta delle masse somale, anche questo paese entra nel più generale moto di sollevazione dell'area arabo-islamica, ormai in permanente ebollizione contro i predoni occidentali e sempre più in rotta di collisione anche con i loro burattini locali. Questa sollevazione - quali che ne siano le forme - dilaga dall'Algeria alla Palestina, dal Libano all'Irak, fino a far traballare l'Egitto, fedele pedina dell'Occidente, e ad intaccare la Turchia.

Questa rivolta è segno di un inestinguibile, non pacificabile odio antioccidentale. Un odio che innesca nelle masse sfruttate processi di primaria importanza, di cui le vicende somale sono chiaro esempio. Sono infatti bastati pochi mesi perché le ingenue aspettative iniziali dei somali lasciassero il posto ad una reazione determinata e generalizzata all'occupazione occidentale, tanto più significativa in quanto si è bruciato in brevissimo tempo il "capitale di fiducia" dell'ONU e della sua politica "umanitaria".

L'avversione si è presto trasformata in un'aperta rivolta che rappresenta un potenziale terreno di riunificazione delle masse in lotta, in controtendenza con la frammentazione clanica che si stava affermando anche e soprattutto grazie alle strumentalizzazioni e alle manovre degli occidentali (atte a scompaginare il fronte di lotta anti-Barre, già di per se' non unito). Controprova ne è il fatto che il crescente consenso di massa verso Aidid - bandiera al momento della lotta anti-Onu - è il meno caratterizzato in senso cabilico. Le sue forze sono costituite principalmente da quei giovani combattenti che, abbattuto il regime di Siad Barre, sono rimasti ostili ai compromessi con gli italiani e, da ultimo, ai nuovi padroni americani, con i quali invece il vecchio notabilato era pronto a venire a patti.

E' oramai condizione costante degli interventi imperialisti nel Terzo Mondo la preventiva fabbricazione dei "signori della guerra" di turno da abbattere in nome della pace e della democrazia. Che Aidid sia diventato il nemico numero uno dell'Occidente proprio a causa di quello che raccoglie ed esprime di reazione di massa all'occupazione militare e al dominio imperialista, è dunque fuori discussione. Altro discorso è l'inconseguenza di tale direzione nazionale borghese.

Nel caso poi che la rivolta delle masse povere dia luogo anche in Somalia ad una presa del fondamentalismo islamico, come parecchi segnali vanno indicando, si tratterebbe di un fenomeno, come andiamo spiegando da tempo, non irreversibile né catastrofico. La radice materiale del dilagare dell'integralismo sta nel fatto che, di fronte a un proletariato occidentale indifferente (o peggio...) alla barbarie perpetrata dai "suoi" padroni contro i popoli oppressi, l'Islam rappresenta al momento l'unica bandiera e forza organizzata - certo, reazionaria per direzione e programma - intorno alla quale si raccoglie l'istanza di lotta antimperialista, di unificazione, di emancipazione reale delle masse povere della regione. Le quali si illudono, è chiaro, sulle prospettive che l'islamismo può loro offrire, ma intanto lottano. E' il corso di questa lotta di classe - determinata in ultima istanza a livello internazionale - che dovrà indicare l'unica direzione vincente, quella della sua riunificazione e fusione con la lotta del proletariato metropolitano.

Le masse somale nella loro lotta contro i responsabili del proprio affamamento sono state costrette a risalire dai servi locali ai veri padroni. A loro il compito ulteriore di rilanciare la lotta antimperialista in tutta l'area, per l'unificazione delle masse sfruttate del Corno d'Africa e di tutto il Medio Oriente. A noi, proletariato d'Occidente, il compito di dare piena solidarietà alla lotta dei nostri fratelli di classe della Somalia e di tutto il Sud del mondo qualunque ne sia l'attuale direzione. Questa solidarietà passa innanzitutto per la denuncia inequivoca della "nostra" borghesia, del "nostro" governo, e dell'imperialismo intero, primi responsabili dell'affamamento, dell'oppressione, dell'assassinio del popolo somalo. Il nemico è comune, la loro lotta deve diventare la nostra lotta!


Riformismo, agit-prop del colonialismo
Ieri

Nenni, in un discorso del 13 ottobre '46, parla del "problema della nostra necessaria presenza in Africa per l'opera di civiltà e di progresso alle quali i nostri coloni hanno dato il sudore della loro fronte, a volte il sangue, sempre l'intelligenza".

Oggi

Da un editoriale de L'Unità del 13/8: "... se siamo intervenuti nella crisi somala, Onu o non Onu, è stato perché abbiamo sempre considerato la Somalia come cosa nostra ... nessuno - diciamoci la verità - ha mai messo in dubbio che non dovessimo intervenire a quelle latitudini, per di più a scopo umanitario".

* * *
Ieri

Togliatti in un discorso elettorale del '48: "Il governo inglese, se proprio vuole dimostrarsi nostro amico, perché non comincia col dichiarare di essere d'accordo che rimangano all'Italia le sue vecchie colonie?". (L'Unità, 26 marzo '48).

Oggi

Dichiarazione di Occhetto: "Vogliamo che la missione prosegua, ma siamo anche profondamente critici nei confronti degli americani... Per questo chiediamo un cambio nella gestione dell'intervento che tra l'altro riconosca un più forte ruolo dell'Italia". (Intervista a Repubblica del 4/7).

Per finire, da un editoriale di Liberazione, giornale di Rifondazione Comunista, del 23/7: "... Quando il generale Loi dichiara che "noi" (l'Italia), in Somalia, "continueremo a perseguire la nostra linea basata sul dialogo, il colloquio, il contatto, l'incontro" e su questo si scontra con gli Stati Uniti e con l'Onu... fuori legge non è lui, ma chi glielo vorrebbe impedire e costringerlo alla guerra".



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