Dalla Palestina

PRIMI SEGNALI DI UNA LETTURA CLASSISTA
DELLA QUESTIONE NAZIONALE

Indice


Fin da subito abbiamo denunciato il carattere pro-imperialista dell'accordo Israele-OLP, chiarendo come questo non solo non avrebbe rappresentato una qualche soluzione alla questione palestinese ma, al contrario, sarebbe stato una premessa ad un escalation di guerra in Palestina e in tutto il Medio Oriente. In realtà, dopo l'accordo "prima Gaza e Gerico" tutte le contraddizioni della lotta rivoluzionaria delle masse palestinesi si sono spostate ad un più alto livello. Quel blocco nazionale tra classi sfruttate e sfruttatrici (e quindi con interessi contrapposti anche nella lotta nazionale), che è stato alla base dell'OLP, è giunto oramai definitivamente al capolinea.

L'intesa Rabin-Arafat rappresenta un punto di svolta, che approfondirà la rottura tra classi proprietarie e classi sfruttate. Da un lato il ruolo dipendente della borghesia palestinese (e araba tutta) e la sua incapacità a portare fino in fondo la stessa lotta di liberazione nazionale; dall'altro l'indissolubile intreccio tra lotta nazionale antimperialista e lotta di classe anticapitalista si rendono sempre più evidenti. Maturano così le condizioni per un più aperto rilancio della lotta di classe e con essa per una direzione proletaria della stessa lotta per l'autodeterminazione.

Lo scritto, apparso su "Al Hadaf" del 12 settembre 1993 a firma di Adel Samarah, di cui pubblichiamo ampi stralci, rappresenta un preciso segnale su come nei Territori occupati e nel movimento palestinese vada maturando anche soggettivamente uno sforzo per conquistare una visione di classe degli avvenimenti in corso. L'articolo è di estremo interesse, perchè è un primo serio bilancio sui limiti del nazionalismo interclassista della stessa sinistra palestinese. In esso si riconosce apertamente la necessità di superare quel blocco nazionale tra classi con interessi contrapposti e, quindi, di "ridefinire un programma alternativo,...che non sia solo di liberazione nazionale".

Salutiamo con entusiasmo segnali come questo. Naturalmente, siamo consapevoli dei limiti ancora presenti in queste prese di posizione, soprattutto per ciò che concerne le prospettive della lotta rivoluzionaria palestinese e il suo collegamento con la lotta per il socialismo internazionale. Ma sono limiti che potranno essere realmente superati solo se, qui da noi, il proletariato farà sentire la propria voce e la propria incondizionata solidarietà.


"Lo storico conflitto fra il progetto nazionale arabo e il progetto imperialista sionista alleato della borghesia commerciale e imprenditoriale araba entra, dopo l'accordo "prima Gaza-Gerico" in una nuova fase su vari livelli nazionali e di classe: questa fase copre l'intero mondo arabo, anche se è basata in particolare sulla causa palestinese.

(...)

Che il capitalismo raccolga i frutti della lotta della massa popolare non è un paradosso, ma c'è una particolarità palestinese, evidenziata da come il capitalismo possa svendere i diritti nazionali a un altro "popolo", dicendo sempre di rappresentarla, e nella maggior parte delle volte senza sollevare un'esplosione popolare contrastante. (...)

L'OLP cambia se stessa

L'OLP sin dalla metà degli anni '60, quando iniziò la sua lotta, ebbe come fondamentale lo slogan "lotta armata per liberare la Palestina"; tale impostazione le garantì un forte appoggio popolare, che si rafforzò in particolare dopo la sconfitta del giugno 1967, in seguito alla quale l'OLP apparve decisamente come una forza combattiva contro l'occupazione israeliana. In quel periodo esisteva sintonia, pur se non in termini assoluti, tra la forma e il contenuto dell'OLP, perchè l'organizzazione rappresentava le aspirazioni delle varie classi del popolo palestinese, per la liberazione e il ritorno.

Ma gli anni del conflitto hanno convinto il settore borghese pragmatico della dirigenza dell'OLP di non essere in grado di raggiungere l'obiettivo della liberazione, e si è così imboccata la strada di una serie di deviazioni sia sulla posizione politica che nella tattica, e per tale via si è giunti a quel cambiamento totale della strategia rappresentato dall'autonomia parziale e sperimentale a Gaza e Gerico.

Durante questo periodo, varie forze di classe sono entrate, o uscite, dall'OLP, e altre si sono rafforzate: all'inizio l'OLP appariva come rappresentante dell'ideologia dei profughi che avevano nostalgia della loro terra e aspiravano a ritornarvi, quindi fondamentalmente come rappresentante dei contadini ai quali erano state tolte le terre. Però la classe dirigente finì per rappresentare e per difendere gli interessi del capitale palestinese, in tutti i suoi strati commerciali e imprenditoriali, che erano tesi a trovare lo spazio per quegli investimenti che permettessero il maggiore dei guadagni. E non importa se questo avveniva a scapito della terra o meno; questo è un piccolo capitalismo che non ha capito l'esperienza e il significato storici delle borghesie nazionalistiche, che hanno avuto uno scopo produttivo e di liberazione. Questa borghesia è limitata nel suo svilupparsi, ma convive con questa limitazione. Perciò non può candidarsi per lo sviluppo produttivo e la protezione, nel contempo, del mercato nazionale. (...)

I diversi settori borghesi

(...) Questo strato sociale [il capitalismo burocratico della dirigenza dell'OLP], che ha esercitato la sua autorità sui palestinesi, ha praticato con assiduità l'investimento all'estero, e non aveva bisogno di uno stato per praticare l'investimento. A livello di lotta, questo settore della dirigenza palestinese era consapevole, sin dal settembre del '90, che si sarebbe imboccata presto o tardi la strada del compromesso secondo la visione israelo-americana.

(...) il capitalismo finanziario palestinese nella diaspora rappresenta il capitalismo imprenditoriale e il terziario; da questi settori la borghesia palestinese ha raccolto le sue ricchezze, senza con ciò riuscire ad acquisire una propria autonomia. E' a livello pratico l'interpretazione palestinese del capitale finanziario, dove la patria o la geografia non rappresentano altro che il guadagno possibile, o il più rapido arricchimento. In questo caso il capitale finanziario non ha la sua identità nazionale, anzi acquisisce l'identità del centro imperialista. (...)

(...) il capitalismo sviluppatosi nei territori occupati è uno strato che ha avuto la sua importanza senza avere l'indipendenza e nonostante sia sotto occupazione. E' quello strato che lavora dal 1967, in imprese miste, assieme al capitale israeliano, quindi è un ceto che ha fortissimi e diretti interessi nel continuare i suoi rapporti con l'occupante.

(...) gli intellettuali palestinesi occidentalizzati e rinnegati sono gruppi che si trovano sia nella diaspora che nei territori occupati. La loro cultura si basa sul sostenere l'ideologia borghese capitalistica, per quel che in particolare riguarda il progetto economico, e il concetto che li domina, quasi li ossessiona, è quello della "centralità della civiltà europea". (...)...e sono loro i costituenti centrali del gruppo di negoziatori palestinesi che attualmente favoriscono e propagandano il progetto su Gaza e Gerico. (...)

Il capitale si organizza nell'ambito della pacificazione imperialista

In questo contesto, la trattativa di Madrid (...) ha l'obiettivo di organizzare il movimento del capitale nella regione, organizzare gli investimenti attraverso le multinazionali nei territori, e cercare di garantire il continuo afflusso del petrolio, oltre che smantellare le resistenze dei mercati arabi di fronte alla produzione imperialista, fra le altre quella israeliana.

In questo contesto il capitalismo palestinese ha trovato un ruolo e uno spazio, anche se modesto, così come le borghesie arabe, per non parlare di quelle occidentali e israeliane.

(...) quello che è successo è dovuto alla maturazione degli interessi del capitale palestinese, spinto a integrarsi pur in modo subordinato e dipendente nel capitalismo della regione, e integrarsi nel tessuto dipendente dal centro imperialista. (...)

Gli eventuali sviluppi dell'accordo

(...) L'accordo Gaza-Gerico significa in particolare la legittimazione del dominio e della sovranità di Israele sui palestinesi, intesi come minoranza etnica; significa altresì il tentativo di eliminare le peculiarità politico-nazionali della questione palestinese. (...) Questo tentativo è la continuazione dello slogan di George Shultz, "migliorare le condizioni di vita nei territori occupati".

(...) L'economia dei territori palestinesi sarà un'economia dei cantoni (bantustan), conservando la sola funzione di essere il cavallo di Troia nei confronti delle altre economie arabe.

La valutazione della posizione delle masse

Nonostante la repressione delle autorità israeliane, e l'isolamento economico dei territori occupati, l'orientamento delle masse palestinesi si è spostato, in particolare nelle ultime tre tornate delle trattative, contro la trattativa e contro i negoziatori. A questo spostamento contro i negoziati hanno contribuito anche alcune precise operazioni militari realizzate dal movimento islamico.

Di fronte a questa situazione, per chi stava trattando era divenuto indispensabile dare un'accellerata ai negoziati, altrimenti la situazione sarebbe sfuggita dalle mani della dirigenza palestinese: inoltre le parti negozianti erano consapevoli del fatto che era adesso il momento più opportuno per far passare l'intesa, poiché il livello della resistenza popolare era in questa fase ai suoi minimi.

Fino a questo momento, la risposta popolare all'accordo di "prima Gaza-Gerico" non è arrivato a livello di poter fronteggiare il piano stesso, e questo non solo a causa della situazione difficile in cui versa il popolo, ma anche perchè in campo palestinese manca un programma alternativo capace di contrastare la destra; questo programma avrebbe dovuto esserci almeno dall'82. (...)

Il rapporto con l'intera regione

Gli accordi e la pacificazione causeranno una ridefinizione diversa del conflitto tra il progetto nazionale arabo e il progetto imperialista sionista, una ridefinizione più netta e chiara di prima. (...)

Solo in questo nuovo scenario il conflitto arabo-israeliano potrà assumere il suo vero carattere: quello di scontro fra il progetto sionista, che non è cambiato, e i popoli arabi. Tale lotta diventerà diretta, perchè durante il periodo passato lo scontro era stato fra gli eserciti, i regimi arabi e Israele. (...)

Inoltre, in questa fase che vedrà il dominio del modello di produzione capitalistico occidentale e mondiale, non sarà più la questione nazionale a giustificare lo sfruttamento della manodopera da parte del capitale, anzi ogni classe (sia come classe vera e propria che i vari strati sociali) affronterà le altre classi. Forse ciò risulterà valido anche per i vari paesi arabi e Israele: ma questo significa nuovi orizzonti del conflitto sociale in sostituzione a quello nazionale. Per meglio dire, il mondo arabo sarà lo scenario di un nuovo conflitto sociale (all'interno della società araba) e di un nuovo conflitto nazionale, che avrà come promotore le classi più diseredate, contro Israele e i regimi arabi, tutti insieme.

Intendiamo dire che le borghesie arabe erano e sono tuttora il rappresentante del nazionalismo arabo nella sua forma borghese governante, mentre le masse arabe diseredate e sfruttate rappresentano il nazionalismo arabo nella sua forma quiescente, che non ha espresso ancora il suo ruolo: quindi alla luce dei nuovi sviluppi questo nazionalismo si scontrerà, in uno scontro di classe, con le borghesie governanti nei loro paesi, mentre sarà uno scontro nazionalistico quello con il capitalismo israeliano, perchè quest'ultimo si sostituirà all'imperialismo nell'impedire lo sviluppo arabo, compreso quello palestinese.

Forse è giusto dire che la sinistra palestinese è priva di un programma dal 1978: da allora la sinistra è una parte del programma della destra, un settore disobbediente, contestatore in modo continuo, ma che non ha tracciato per sé un programma politico. Lo stato palestinese è diventato il programma di questa sinistra come lo è per il programma della destra, e questo implica il riconoscimento nei confronti di Israele con tutto quello che comporta per quanto riguarda il ruolo sionista nella regione e il mantenimento dell'occupazione della terra di Palestina. (...)

(...) Nella fase attuale la sinistra deve mirare a conseguire questi obiettivi:

- sottolineare e riaffermare che i firmatari degli accordi "prima Gaza e Gerico" non rappresentano il popolo palestinese, ma chi firma rappresenta solo se stesso perchè nessuno lo ha delegato; ma è ancor più importante che la sinistra sia consapevole del fatto che si tratta di una fase nuova, da affrontare non con spontaneità ed emotività, ma con un programma sociale economico e politico, ovvero con un programma che non sia solo di liberazione nazionale.

- la lotta per la classe operaia e i suoi diritti, la difesa dei contadini come produttori indipendenti, sono compiti della sinistra per l'aggregazione sociale. Lo stesso si può dire della lotta per costruire strutture della società civile e democratica: la sinistra è l'unica in grado di lottare, in questo contesto, per i diritti della donna e la sua libertà.

- la battaglia della sinistra oggi è lunga e dura, e gli scacchi subiti in 50 anni di conflitto non sono una sconfitta ma una disfatta completa (...).

- resta da dire che in un'eventuale alleanza tra le forze nazionalistiche radicali, le forze comuniste rivoluzionarie e l'Islam radicale a livello arabo, con il necessario appoggio delle classi popolari arabe, è necessario che tutti siano consapevoli della necessità di rilanciare il boicottaggio generale, in particolare quello economico, contro la nuova alleanza capitalistica israelo-palestinese.(...)".