Governo di destra

CONTINUA E SI INASPRISCE L'ATTACCO ALLA
ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI LAVORATORI.

Indice

La formazione del Governo Berlusconi, il suo programma di "liberalizzazione" dell' economia e del mercato del lavoro, costituiscono un passo avanti verso l'attacco complessivo alle condizioni di vita ed all'organizzazione sindacale della classe operaia. Un passo avanti con il quale Berlusconi si appresta, non già ad innovare o stravolgere le direttrici di fondo della politica verso l'organizzazione sindacale operaia, che il padronato ha già indicato ai democratici governi che lo hanno preceduto, ma a dare ad esse più coerente applicazione sulla spinta di un agguerrito movimento dei settori della piccola e media borghesia, colpiti dalla crisi, e delle sempre più pressanti esigenze del capitale tutto (unico ed indivisibile in parti buone e cattive).

Al centro di queste indicazioni c'è la necessità di disgregare l'organizzazione unitaria della classe operaia e "superare" definitivamente gli intralci posti al capitale dalla "concertazione sindacale".

Giustamente la parte più avvertita della classe operaia ha percepito nella vittoria della destra il segno di un incrudimento della politica complessiva dello Stato verso il sindacato e le condizioni di vita operaie ed ha preso parte alle manifestazioni che hanno seguito lo scontro elettorale, a cominciare da quelle del 25 aprile e del primo maggio. Ciò che risulta meno chiaro, però, all'interno delle nostre fila è come questo incrudimento non sia il frutto di una artificiosa ed improvvisa svolta politica dei settori padronali e sociali "più intransigenti", ma il primo punto di approdo di una riorganizzazione complessiva del capitale contro la classe operaia, sollecitata negli ultimi anni e proseguita durante l'"interregno" del "disponibile" governo Ciampi. Una riorganizzazione a cui non si può contrapporre la speranza di un ritorno ad una nuova stagione di intese tra capitale e lavoro.

Uno degli equivoci che sia i vertici sindacali che quelli dei partiti riformisti hanno contribuito a creare nelle fila operaie è stato proprio quello di considerare il Governo Ciampi, e la "ripresa della concertazione" che ha condotto all'accordo del luglio scorso, come segni della disponibilità della parte "sana" e "progressista" del padronato e del suo schieramento politico a riprendere il "patto sociale". Su questo equivoco sono state indirizzate le aspettative operaie sia sul piano politico (elezioni), sia su quello sindacale. In realtà sia la vittoria elettorale della destra che l'annunciata politica economica del governo attuale non sono stati e non sono fulmini a ciel sereno in un panorama di concordia e di "sviluppo delle esigenze comuni" delle classi sociali.

Le intemperanze dei settori della media e piccola industria dopo l'accordo di luglio, i segnali sempre più chiari della Confindustria verso la necessità di una completa liberalizzazione della gestione della forza lavoro, e sopratutto il materiale rafforzamento di tutti gli strumenti padronali per imporre la dittatura del profitto in fabbrica e nella società, hanno sempre accompagnato quella "apparente disponibilità" al dialogo con il sindacato su cui si è rinnovata la proposta di un patto tra produttori della CGIL.

Le recenti dichiarazioni della Confindustria e di Agnelli, di incoraggiamento alla politica economica di Berlusconi non sono casuali. Le simpatie progressiste (se mai sono esistite al di fuori dei "sogni" di Occhetto) del fronte padronale cadono non certo perchè i risultati elettorali costringono la borghesia "progressista" a voltare bandiera e subire la politica "liberista" di Berlusconi. Al contrario, sono proprio le istituzioni statali e Berlusconi ad allinearsi ai dettami confindustriali, così come per altri aspetti lo stesso Ciampi ha fatto, con mezzi solo parzialmente differenti, e così come la stessa Confindustria esigeva dal "fronte progressista".

La necessità di ridimensionare ed, alla lunga, di eliminare l'influenza dell'organizzazione sindacale operaia nei rapporti tra capitale e lavoro era e rimane il perno della politica padronale.

Oggi, che la classe operaia si trova a contrastare gli effetti concreti dell'inasprimento dell'attacco alle proprie condizioni di lavoro ed alla propria organizzazione sindacale, è più che mai necessario, unitamente alla ripresa della lotta, definire con chiarezza cause e contenuti dell'offensiva padronale e sconfiggere quella linea di adesione ai supremi interessi del mercato e del capitale, che non solo non ha fermato l'avanzata padronale, ma ha prodotto non pochi guasti nella stessa organizzazione e capacità di difesa del proletariato, ed altri ancora maggiori ne può produrre.

La fine della "concertazione": una necessità padronale che viene da lontano.

Durante tutto il corso della "prima repubblica" la "concertazione" (ossia la politica del "dialogo tra le parti" ed il riconoscimento delle rappresentanze unitarie con cui la classe operaia esprimeva le proprie esigenze) è sembrata essere lo strumento naturale per "incanalare lo scontro sociale" nell'ambito di una conflittuale convivenza tra le esigenze del profitto e del lavoro. Lo sviluppo economico di un quarantennio ha fatto sì che la lotta del proletariato abbia potuto strappare conquiste e posizioni di forza, a patto -però- di non intaccare il complessivo sistema di sfruttamento capitalistico. Ed anche i primi momenti di crisi hanno contribuito a ribadire (da parte sindacale con la "svolta" dell'Eur) questo patto; un patto pagato fin da allora dalla classe operaia con la perdita parziale delle conquiste precedenti e con una ulteriore subordinazione alle esigenze del profitto, fino al punto di sostenere il sistema produttivo che la crisi minacciava, impegnandosi in prima persona a sostenerne i costi con propri sacrifici. Ma la profonda crisi economica del capitalismo ha posto con sempre maggiore urgenza all' ordine del giorno del padronato la ridefinizione degli spazi concessi alla classe operaia e l'eliminazione dell'"ingerenza" della sua organizzazione unitaria nelle "ricette per risollevare la caduta di profitti". La stessa esistenza della forza organizzata della classe operaia ha cominciato ad essere una "minaccia" da neutralizzare. Nonostante la politica dei vertici sindacali sposasse in pieno le "esigenze dell'economia nazionale", è divenuto sempre più importante per il padronato annullare il peso della "cogestione".

I continui arretramenti nella difesa delle condizioni di vita dei lavoratori, che nella strategia dei vertici sindacali dovevano determinare un rinnovo del patto, seppure al ribasso, tra operai ed imprenditori, non hanno (e non potevano) soddisfare le richieste del capitale.

Il governo Amato per primo ha cominciato (riprendendo il decisionismo craxiano dei " 4 punti di contingenza") a mettere sul tappeto apertamente la necessità di dare avvio alle politiche antioperaie senza previa "consultazione delle parti sociali".

Nonostante la disastrosa politica sindacale (il cui ultimo prodotto era stato l'accordo sulla contingenza), le piazze si sono riempite per dare una risposta unitaria e centralizzata a quella vera e propria "prima sanzione della nuova politica sindacale" che il padronato intendeva adottare. Il governo Ciampi ha dovuto prendere atto che la demolizione delle conquiste operaie e della capacità di contrattazione dei lavoratori non era così facile. Ma l'accordo del luglio scorso, con cui si concludeva la breve fase di "ripresa del dialogo" tra le parti, e che Trentin ha sventolato come sigillo indelebile di una nuova stagione di accordi ed intese con il fronte padronale, in realtà frenava (per merito della lotta e non certo delle disponibilità di governo e padroni) le spinte e le richieste della Confindustria solo fino ad un certo punto. Introduceva, anzi, con l'ulteriore "liberalizzazione del mercato del lavoro", elementi materiali di indebolimento della contrattazione, varando nuove forme di frantumazione della classe operaia (proprio nel pieno di una nuova ondata di ristrutturazioni e licenziamenti). E soprattutto, già all'indomani della sua formulazione i padroni facevano chiaramente intendere che quell'accordo era solo la base di partenza per ulteriori passi in avanti. "La concertazione fra le parti" veniva solo formalmente sancita dall'accordo, ma, nei fatti, l'accordo stesso indeboliva la forza operaia che poteva contrattarne l'applicazione, e nello stesso tempo le supreme esigenze dell'economia e del mercato, a cui i vertici sindacali si erano per l'ennesima volta inchinati, già reclamavano future rotture dei contenuti della "concertazione".

A ben vedere, dunque, la svolta che l'attuale governo di destra ha promesso nel campo dei rapporti sindacali, il primato totale delle esigenze del profitto in questi rapporti, non sono novità dell'oggi e frutto di un disgraziato esito elettorale.

Questi obiettivi sono stati ben preparati dai governi precedenti e rispondono ad un'esigenza complessiva del padronato.

L'impegno di Berlusconi a riconoscere i contenuti dell'accordo di luglio, oltre a sancire il timore che la borghesia nutre di una risposta dei lavoratori e prefigurare una strategia non non immediatamente frontale del governo per completare l'opera di attacco all'organizzazione operaia, dimostra quanta continuità vi sia in questa opera da parte dei governi della prima e seconda Repubblica; e quanto sia illusoria l'idea che la classe operaia possa difendersi reclamando rapporti sindacali da prima repubblica sulla base di un rinnovato patto sociale che salvaguardi contemporaneamente profitti e lavoro.

La borghesia continua l'attacco: si ricomincia da Ciampi...

Non a caso, dunque, Berlusconi e la sua squadra, divisa da mille contraddizioni, ritrovano unanime e concorde intento nell'annunciare l'urgenza di maggiore flessibilità del mercato del lavoro, partendo proprio dalle brecce aperte dall'accordo di luglio. Nel mentre si intende rappresentare una rinnovata veste super-partes dell'Esecutivo e la volontà di accreditare "un ruolo" dei sindacati (a condizione che il ruolo sia di massima collaborazione con il profitto), si valorizzano quegli aspetti dell'accordo di luglio che sanciscono "la libertà di impresa" di assumere e licenziare a piacimento nelle forme volute, corollario di un sostanziale ridimensionamento del peso della contrattazione sindacale. Si richiede la sanzione definitiva della "chiamata nominativa", dell'utilizzo dei contratti di formazione lavoro, del lavoro in affitto etc.. Queste richieste (vere e proprie bandiere politiche del nuovo governo) non solo mirano a svalorizzare la contrattazione sindacale, soprattutto nelle piccole aziende (laddove di fatto aumenta il numero di lavoratori sottoposti ad un regime normativo e salariale svincolato dalla tutela contrattuale), ma producono una ulteriore divisione strutturale della classe operaia, accrescono la ricattabilità e la sottomissione dei lavoratori tutti. Se a ciò si aggiunge la forte campagna, con toni populistici ed aggressivi, con cui si paventa all'esercito dei disoccupati la possibilità di nuovi posti di lavoro a patto che si aboliscano le "rigidità operaie", si comprende che, dietro il formale riconoscimento del sindacato, si cela il deliberato intento di indebolire l'unità e la capacità organizzativa del proletariato.

...per dividere il fronte sindacale...

Per far questo il Governo Berlusconi e le forze che lo sostengono non disdegnano di utilizzare l'organica incapacità dei vertici sindacali nel dare una risposta di lotta al peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Da una parte, attraverso il ricatto continuo delle supreme esigenze dell'economia nazionale, si ingabbia l'operato sindacale negli ambiti di una "formale concertazione" e sostanziale subordinazione agli interessi del profitto, dall'altra le formazioni di destra (CISNAL o anche il nascente sindacato di "Forza Italia") si incaricano di gettare discredito sulla possibilità di difendersi attraverso il sindacato unitario ed una strategia complessiva del proletariato. Esse lanciano il proprio messaggio corporativo e disgregatore fin nelle fila della classe operaia organizzata e tentano di predisporre le condizioni per cui un attacco frontale all'organizzazione sindacale unitaria trovi il fronte proletario privo di una propria identità di classe. Questo fenomeno si accompagna al rinascere di una "strategia sociale della destra" che, pericolosamente, cerca di insinuarsi negli strati meno organizzati del proletariato, sensibili, in assenza di una forte presenza organizzativa della classe operaia, agli appelli ad una rinascita ed un riscatto nazional popolare, che sia anche riscatto degli strati sociali più "deboli". E se è vero che, al momento, sia la tenuta del fronte operaio, sia la non avvenuta ricomposizione del fronte borghese non consentono agli appelli al corporativismo sociale ed al populismo di coniugarsi con una attivizzazione sciovinistica e nazionalistica di compiuta strategia, è pur vero che la capacità disgregativa di questo fenomeno ed i suoi futuri sviluppi non possono essere sottovalutati dall'avanguardia operaia. Essa, d'altronde, si trova a fare i conti con una spinta localistica e regionalista dei movimenti sociali, politici e sindacali ed al tentativo di compattarsi delle organizzazioni sindacali autonome, soprattutto nel pubblico impiego. Queste formazioni sfruttano l'insofferenza dei dipendenti dell'Amministrazione Pubblica nei confronti delle prime manovre restrittive per inquadrare le loro rivendicazioni in senso corporativo ed antioperaio. Alcune di queste, come la CISAL, si ripropongono più o meno esplicitamente (forti di settori di più fidata propensione corporativa ed antioperaia) come supporto sociale al nuovo Governo in cambio di sconti nella manovra "risanatrice". E perfino certe dichiarazioni di (molto) benevola neutralità della UIL e della CISL nei confronti del governo hanno lo stesso sapore, in perfetta sintonia con la funzione di "guastatori" all'interno del movimento operaio che i vertici e gli apparati di queste organizzazioni hanno sempre avuto.

...e spezzare l'organizzazione unitaria dei lavoratori.

Questo complesso concorso di azioni politiche deliberate e di frantumazione oggettiva della situazione sindacale e sociale concorre, quindi, attivamente all'attacco all'unità della classe operaia. L'azione del governo Berlusconi (e del padronato tutto) per indebolire la forza operaia ed attaccare l'organizzazione sindacale non risulta affatto meno pericolosa perchè non si manifesta con aperte censure anti-sindacali. Non solo, infatti, il problema di eliminare la "pratica consociativa" della "concertazione" non è accantonato, ma si sviluppano tutti gli elementi materiali e politici per andare verso la sterilizzazione dell'organizzazione sindacale e un più deciso attacco contro di essa.

La risposta della CGIL e le necessità della classe operaia

Di fronte a ciò la risposta che i vertici sindacali danno alla preoccupazione che serpeggia nella parte più consapevole della classe operaia all'indomani dell'insediamento di Berlusconi è totalmente disastrosa su tutti i piani e contribuisce a smantellare proprio quell'unità e quella "identità" che Trentin dice di voler salvaguardare. All'indomani della dichiarazione del direttivo che riteneva impensabile avere un atteggiamento di "neutralità ed attesa" nei confronti del governo, prevale ora un atteggiamento proprio di "neutralità ed attesa", rotto da una recente intervista di Trentin sull'"Unità" nella quale, dopo aver espresso "preoccupazioni" sulle misure del governo in materia di flessibilità, egli rimprovera a Berlusconi il silenzio (!!!) nei confronti dei grandi temi economici e dell'occupazione e lamenta il ritardo con cui il governo disattende alle promesse di coinvolgere i sindacati nella discussione sui temi sociali. Ma in tutte le prese di posizioni dei vertici della CGIL sulla prospettiva dello scontro sindacale rimane perfettamente costante l'idea del primato degli interessi economici nazionali. Le giuste preoccupazioni per gli effetti della politica liberista di Berlusconi si risolvono nel contrapporre a questa prospettiva la falsa ed illusoria aspettativa di ritornare alla politica di concertazione degli anni precedenti. In realtà il punto nodale che gli operai d'avanguardia devono sciogliere nei confronti della propria organizzazione di difesa è proprio il prendere atto che lo scontro sociale e gli interessi della borghesia non consentono questo ritorno. Non ha nessun senso (o meglio ha un senso decisamente sfavorevole alla classe operaia) lanciare l'allarme per la svolta di destra e poi disattrezzare completamente le fila operaie nei confronti dello scontro che questa comporta (o peggio ancora far intravvedere che in qualche modo Berlusconi possa svolgere un reale ruolo super partes). Proprio mentre la borghesia utilizza ogni strumento a disposizione per concentrare la sua forza e dividere la classe operaia, quest'ultima dovrebbe affidare le sue sorti e gli sbocchi della sua lotta alla prospettiva di una nuova concertazione con chi è nato proprio per eliminare la concertazione (!!!)? Per la classe operaia la sfida lanciata dal padronato contro la sua stessa esistenza organizzata, non può che basarsi sulla massima concentrazione della sua forza a difesa dei propri interessi di classe, contro l'intera manovra padronale che la vorrebbe divisa e debole. Ma per attrezzare gli strumenti della lotta e dell'organizzazione, ed è quello che Trentin non potrà mai fare, occorre riconoscere che la svolta a destra è il frutto della necessità complessiva (ed incompatibile con gli interessi operai) del profitto e del capitalismo. Occorre riconoscere che ben al di là della formale disponibilità dei suoi predecessori, e dello stesso Berlusconi, il padronato stà riorganizzando le sue armi economiche, politiche e finanziarie per infliggere una sconfitta alla stessa capacità della classe operaia di difendersi; che non esiste nessuna forza oltre a quella della riorganizzazione del movimento operaio sui propri interessi di classe in grado di combattere questa offensiva. Una risposta di classe che produrrebbe effetti contrari a ciò che i vertici sindacali mettono al primo punto della propria azione: e cioè il buon andamento dell'azienda ed il dialogo tra le parti.

Il fronte dei continui arretramenti sindacali sulle compatibilità dell'economia si sposta sempre più indietro e produce disastrosi effetti sulle condizioni di vita operaie. Consente, soprattutto, ai padroni di dividere materialmente le sorti e le condizioni di vita dei vari settori del proletariato. Incoraggia quell'opera di sfiducia verso l'organizzazione unitaria che gli stessi padroni intendono sfruttare per colpire più a fondo quelle stesse strutture (CGIL in primo luogo) che ora gli rendono il favore di inchinarsi agli interessi del profitto.

A tale proposito suona come una beffa nei confronti della classe operaia la sacrosanta levata di scudi di Trentin contro il sindacalismo autonomo e corporativo. Se anche nelle fila operaie fanno breccia le sirene del regionalismo, del localismo, del corporativismo, ciò è dovuto proprio alla sempre più completa dismissione dei vertici sindacali da una politica unitaria di difesa degli interessi di classe del proletariato. E gli ultimi svolti del dibattito all'interno della CGIL vanno ancora più avanti, proponendo una riorganizzazione regionalista del sindacato e facendo più di una concessione al federalismo.

La classe operaia, nonostante la sua disastrosa direzione attuale, ha nel complesso mantenuto tuttora un certo grado di unità e tenuta organizzativa (motivo fondamentale per cui il padronato ed i suoi rappresentanti al governo non portano più direttamente l'attacco al sindacato), ma i passi in avanti della crisi e le urgenze e le modalità dello scontro che ne consegue tendono proprio a mettere in discussione questa tenuta. La necessaria ripresa della lotta contro il governo Berlusconi ed i suoi provvedimenti in materia di flessibilità del lavoro, la stagione contrattuale che si apre, il dibattito sulle RSU e l'organizzazione del sindacato, non possono che rimettere al centro della nostra attenzione la necessità di una strategia complessiva della classe operaia contro il padronato. La risalita dell'attuale china passa anche attraverso la ripresa, in tutti i momenti in cui lo scontro di classe vive, di quel sindacalismo di classe, di quella riaffermazione dei necessari contenuti anticapitalistici che la nostra lotta deve avere, sui quali la classe operaia può realmente riorganizzare la propria difesa, mettendo al bando il disfattismo che consegue all'aver riposto le aspettative di riscatto nella tenuta del sistema di sfruttamento che ci opprime e nella fiducia nel dialogo tra le classi.