SUDAFRICA: LA LOTTA CONTINUA

Ci risiamo, ecco i soliti estremisti.

All'indomani di quello che dovrebbe essere un giorno di festa, all'indomani della vittoria in libere elezioni dell'ANC, all'indomani della pacifica caduta dell'odioso regime dell'apartheid in Sudafrica, siete già pronti a sputare veleno sul nuovo processo democratico che si apre per l'intero mondo africano.

Processo democratico che si apre per l'intero mondo africano?

Sembrerebbe quasi vero a sentire i commenti delle candide anime pacifiste e progressiste nostrane: alla fine, come nella più classica delle favole, vince il bene (la democrazia? la pace?) e il male (l'apartheid?) viene sconfitto.

Il mondo dei fatti parla invece un'altra lingua.

Altro che elezioni! Ci sono voluti decenni e decenni di lotte perchè l'imperialismo fosse costretto a cambiare l'assetto istituzionale in Sudafrica, per evitare rischi maggiori. L'apartheid, infatti, da perfetto strumento di sfruttamento e dominazione in quella parte di mondo, rischiava di divenire, in conseguenza dell'indomita battaglia delle masse sfruttate nere, un grave pericolo per lo stesso imperialismo.

Negli ultimi anni la pressione della crisi capitalistica mondiale e del calo del prezzo delle materie prime avevano dato forza e alimento nuovi alla "tradizionale" lotta degli sfruttati sudafricani, intrecciando sempre più strettamente la battaglia contro le discriminazioni razziali a quella di classe. La lotta contro l'apartheid rischiava di trascrescere e chiamare in causa la radice stessa di questa particolare forma di sfruttamento: la dominazione imperialista.

Già da tempo le più importanti multinazionali operanti in Sudafrica avvertivano questo pericolo.

Con l'intero mondo africano in fiamme, distrutto e disgregato da uno sfruttamento senza soste portato da tutti i maggiori paesi imperialisti, un paese come il Sudafrica, con una classe operaia forte, fortemente sindacalizzata, impiegata in produzioni strategiche per l'intera impalcatura capitalista, con un fondamentale ruolo militare che riveste per tutta l'Africa, rischiava di divenire il volano di una ripresa di combattività e una speranza per l'intero continente.

Folle di senegalesi si sono riversate nelle vie di Dakar in febbraio contro il raddoppio dei prezzi dei principali generi alimentari. Nello Zimbabwe sono scoppiate sommosse contro l'aumento del prezzo amministrato del pane. In Nigeria potenti scioperi degli operai del settore petrolifero (quarto produttore mondiale) hanno costretto per ben due volte il governo a tornare indietro sulle misure "consigliate" dall'FMI per lo smantellamento dei sussidi statali all'estrazione petrolifera. In Somalia e Rwanda la situazione è divenuta incontrollabile.

Di fronte a questo processo e a questi rischi, l'imperialismo ha accettato, come male minore, di mollare (dopo aver strappato molte garanzie dall'ANC) il suo apartheid. Ciò non significa però che abbia mollato la presa, né sul Sudafrica né sul continente africano. Sull'uno e sull'altro continuerà la sua stretta economica asfissiante e disgregante, così come la sua perenne politica di intromissione. Diventerà ancor più raffinata e schifosa l'arte dell'attizzamento degli odi razziali e tribali che le potenze occidentali (strumentalizzando le contraddizioni reali connesse alle varie forme di organizzazione pre-capitalistiche dei rapporti sociali) hanno da sempre coltivato in Africa per dividere e ostacolare una resistenza e una ripresa unitaria di lotta.

I (formali) festeggiamenti e i balletti che qui nelle metropoli salutano la "nuova era" che si apre per il Sudafrica hanno tutt'altro segno e tutt'altro senso da quelli che si sono tenuti nelle townships sudafricane. Là, per tutti quei lavoratori che hanno visto i propri padri, i propri figli ed i propri compagni morire combattendo l'apartheid e, con esso, lo sfruttamento del capitalismo, quei festeggiamenti hanno un senso ben preciso; e seppur sono accompagnati da una illusione, l'illusione degli sfruttati neri di potersi liberare dalla loro oppressione pacificamente mediante le conquistate libere elezioni, sarà lo stesso imperialismo che si incaricherà di bruciarla sul campo.

Ma perchè questa illusione non si traduca in tragedia, sarà necessario non dimenticare che gli interessi delle società multinazionali sono rimasti intoccati, e non considerare il nuovo governo come il proprio governo, perchè esso, vuoi per la presenza in dicasteri-chiave di ministri del passato regime vuoi per l'organica inconseguenza dell'ANC, rimane largamente condizionato dal capitalismo internazionale. La tutela degli interessi della classe operaia e degli sfruttati sarà, perciò, necessariamente affidata, pur in questo mutato quadro politico, alla lotta di classe, al massimo di unità tra sfruttati, che richiede di contrastare da subito quella politica "federalista", delle "autonomie regionali", del "rispetto delle diverse lingue e delle diverse culture", attraverso la quale l'imperialismo e i capitalisti sudafricani mirano a dividere e balcanizzare il proletariato. E sarà affidata alla più stretta solidarietà tra i movimenti di lotta antimperialisti dell'intera area.

Solo in questo modo le masse lavoratrici sudafricane potranno spingersi avanti nella loro battaglia contro lo sfruttamento capitalista imperialista, mettendo in discussione e liberandosi di una direzione politica, quella dell'ANC, che ne frena e disarma la lotta dall'interno.

Ma affinché il proletariato in Sudafrica e le masse diseredate dell'intera Africa possano liberarsi della duplice oppressione a cui sono sottoposte, da qui, dalle metropoli si deve lavorare perchè arrivi un segnale chiaro e forte di ripresa di lotta, di organizzazione, di solidarietà di classe. Un segnale che, tanto nel Sudafrica quanto nelle metropoli, non potrà mai essere lanciato dalle direzioni riformiste.