LA GRANDE FORZA DELLA CLASSE OPERAIA E DEI LAVORATORI

Indice


La risposta di lotta del proletariato è stata la più massiccia e determinata degli ultimi anni. Dapprima un'avanguardia, poi, a seguire, tutta intera la classe. Così la classe operaia ha reagito ai "tagli" del governo Berlusconi.
La sua lotta ha bloccato la tendenza alla frammentazione e alla divisione. Da Nord e Sud è partito un unico messaggio di difesa di classe  sulla base di una nuova unità di lotta.
Quell'unità e la fermezza della classe hanno trascinato in campo un vasto schieramento di lavoratori, di disoccupati e di giovani. La partecipazione al movimento e il rapporto con la classe operaia possono, per i giovani, essere l'occasione per cominciare a porre sulle gambe giuste la loro "questione" .
La ricostruzione nella lotta dei legami di unità che si andavano affievolendo deve essere la base per debellare il pericoloso virus del federalismo.


Contro la manovra finanziaria del governo Berlusconi la classe operaia è scesa in lotta senza esitazioni. Ancor prima che il governo mettesse nero su bianco le sue misure, e mentre ancora si attardava nella trattativa coi sindacati, nelle fabbriche più importanti iniziavano fermate, scioperi, manifestazioni. Ancora una volta l'avvio alla mobilitazione era dato da una avanguardia operaia, quella che per condizioni oggettive, storia politica e organizzazione sindacale ha sempre preso su di sé il compito di iniziare la mobilitazione. Questa volta, inoltre, era anche quella colpita più direttamente, sia perchè più vicina alla pensione, sia perchè vedeva svanire innanzi a sé alcuni degli obiettivi per i quali si era più spesa negli anni "caldi" delle lotte: certezza e congruità delle pensioni, dimensione collettiva e organizzata di difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro.

Le prime iniziative di lotta richiamavano in campo l'insieme della classe e delle organizzazioni sindacali. Da allora la mobilitazione si è andata estendendo a macchia d'olio ad altre fabbriche, intere zone e intere categorie. I sindacati fin dall'inizio sono stati promotori attivi delle mobilitazioni e hanno anzi dato un contributo acchè il movimento andasse via via crescendo fino allo sciopero generale del 14 ottobre, con l'impegno a proseguire oltre la lotta. Anche per loro la partita è molto seria. Sanno che se la perdessero il loro ruolo subirebbe un drastico ridimensionamento: non sarebbero più interlocutori obbligati del governo, ma dovrebbero riconquistarsi ogni volta quel ruolo, spendendovi molte più lotte di quelle spese finora e senza avere la certezza di riconquistarlo: la sconfitta nello scontro in atto sarebbe un colpo durissimo a ogni pratica di "concertazione" o di "codeterminazione". Già molti esponenti della maggioranza hanno dichiarato che la "concertazione" col sindacato deve fare la stessa fine del "consociativismo" con l'opposizione. Il solito porco Pannella ha perfino indetto una manifestazione di piazza contro sindacato e "concertazione".

Generalizzazione della lotta

La fermezza con cui l'avanguardia della classe è scesa in lotta e con cui i sindacati hanno indetto le successive mobilitazioni hanno dato un contributo decisivo all'estensione del movimento. Così, in campo non è scesa soltanto la "solita" classe operaia delle aziende con forte organizzazione sindacale, ma è scesa, compatta come non mai, la classe operaia di tutte le dimensioni produttive, anche di quelle tradizionalmente ai margini delle lotte a far unicamente tifo per i compagni impegnati in esse. E, trascinati dalla mobilitazione operaia, sono scesi in lotta anche i lavoratori non industriali (del commercio, bancari, del pubblico impiego, ecc.), nonché disoccupati e tantissimi giovani, lavoratori o studenti.

La grande partecipazione allo sciopero e alle manifestazioni non era affatto scontata. Da anni la borghesia lavora a isolare la classe operaia dagli strati sociali che potrebbero essere influenzati da essa. Lo stesso Berlusconi ha cercato in ogni modo di mettere, per esempio, giovani e disoccupati contro operai. Se la generalizzazione del movimento di lotta ha potuto verificarsi è stato solo grazie al fatto che la classe operaia ha assunto una posizione netta contro la finanziaria e contro il governo, e ha mosso a sostegno della sua opposizione tutta la sua forza organizzata.

Per ogni altro strato di lavoro dipendente e per la parte più povera e precaria di quello autonomo, la forza della classe operaia è come un'attrattiva obbligata, un alleato imprescindibile nella lotta per la propria difesa dagli attacchi di un capitalismo reso dalla crisi sempre più famelico. Questa alleanza, o, meglio, questo disciplinamento dietro la classe operaia, può avvenire, però, soltanto in presenza di due condizioni: 1. che la classe operaia renda visibile, eserciti la sua forza; 2. che la metta al servizio esclusivamente di sé stessa, la eserciti, cioè, in piena autonomia e senza cedimenti verso l'avversario.

Il fatto che si sia realizzata una così vasta estensione del fronte di lotta non può, però, essere ritenuta un'acquisizione permanente. Ognuno di quei settori richiamati oggi dalla forza operaia a schierarsi con essa, potrebbero già domani abbandonarla, ripescati, magari, da qualche esca lanciata dal governo (come i segnali ai pubblici dipendenti di Mastella, AN e qualche forzitalista). L'abbandono sarebbe, però, ancora più certo e radicale se la classe operaia smettesse di reagire con decisione e compattezza all'iniziativa borghese, affievolendo le sue lotte e indebolendo la sua organizzazione. La linea di condotta della "sinistra" (ormai tutta, Rifondazione compresa) che rincorre il "centro" può svolgere, in questo, un ruolo suicida. Per conquistare il mitico "centro" si tende a diluire sempre di più l'identità operaia in confusi programmi colorati col verde degli "ambientalisti" o col bianco dei "popolari". In tal modo non solo non si conquista il "centro", ma, rinunciando all'autonomia di classe e all'esercizio della propria forza, si rinuncia all'unica possibilità di attrarre alla classe operaia le simpatie e l'unità di lotta dei ceti che del "centro" costituiscono i referenti principali.

Sacrifici e "scambio politico"

Sotto l'attacco dei vari governi, a partire da Craxi, e del padronato nelle aziende, il proletariato ha subìto una serie di arretramenti. Ogni volta ha cercato, più o meno riuscendoci, con la lotta di limitare i danni. Ogni arretramento era, alfine, sempre accettato come un contributo necessario al risanamento dell'economia nazionale. La classe operaia vi si è sempre sentita partecipe e, non a caso, ha sempre impostato le sue lotte contro le varie finanziarie non solo per limitare i prezzi a lei imposti, ma anche per ottenere "eque" ripartizioni dei sacrifici fra tutte le classi. Le rinunce sul piano economico venivano, insomma, in qualche modo compensate, tramite uno "scambio politico", con il riconoscimento di un ruolo "di governo" anche se sempre dall'opposizione.

Un ruolo di governo dall'opposizione non è certo la più agevole delle situazioni, tanto più difronte a governi che chiedevano alla classe contributi crescenti al risanamento economico e finanziario di Stato e imprese. Meglio, insomma, governare... dal governo. Il grosso della classe operaia ha guardato, quindi, con interesse profondo ai tentativi del PCI di andare al governo. E, con interesse ha guardato anche alla possibilità di utilizzare, a tal fine, il sistema elettorale maggioritario. La sconfitta elettorale dei "progressisti" il 27 marzo ha inferto un duro colpo a questa possibilità, inducendo una maggiore sfiducia nelle proprie forze e un maggior disorientamento sul come utilizzarle. Dopo di essa hanno preso a diffondersi con ancora maggior peso le tendenze "federaliste".

Classe operaia e federalismo

Tale diffusione è stata favorita da una tendenza spontanea a ritenere di poter far pesare di più la propria forza entro confini geografici più ristretti. I continui arretramenti hanno, infatti, indotto, qui e là nella classe, punti di caduta e perplessità sull'utilità dell'arma della lotta generale. Ma soprattutto è stata favorita dall'affermarsi a "sinistra" del tentativo di strappare l'alleato leghista a Berlusconi, prospettiva ritenuta da tutti i "progressiti" come l'unica realmente perseguibile per sostituire il governo delle destre con uno "democratico". Bossi non ha finora sottoscritto l'alleanza, ma non ha lasciato cadere le avances "progressiste", facendo balenare la disponibilità a una comune battaglia contro le misure più "impopolari" della finanziaria a condizione di una accettazione sempre più marcata del federalismo da parte dei "progressiti". Non a caso, mentre monta lo scontro sociale Bossi alza il tiro sul federalismo, lasciando trapelare la disponibilità ad allearsi con la "sinistra" se questa gli offrirà su quel piano più di Berlusconi e AN.

Il diffondersi degli elementi di sfiducia e disgregazione al seguito delle sirene federaliste è stato bloccato dal movimento di lotta contro la finanziaria. Il proletariato vi ha riscoperto l'importanza della lotta generale, della sua unità, e l'utilità di contrapporre a un nemico forte e aggressivo tutte assieme le sue sezioni, del Nord e del Sud, dell'Est e dell'Ovest.

Anche questa non è acquisizione definitiva e dipende da come procederà e si risolverà lo scontro attuale. Una sconfitta del proletariato farebbe incrementare ulteriormente la diffusione del virus federalista nelle sue fila.