JUGOSLAVIA: LA GUERRA CONTINUA...

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Chi ha messo a ferro e fuoco la ex-Jugoslavia? Gli "odi atavici" tra le popolazioni slave o il sistema imperialista d'Occidente? E chi sono i lupi che si battono per azzannarne le spoglie? Come proletari, la partita ci riguarda, e così pure la guerra alle porte di casa. Ne parliamo nelle note che seguono, tratte da un articolo pubblicato nel n.32 del Che fare.

Cominciamo quest'aggiornamento sui casi della ex-Jugoslavia con un breve riassunto delle puntate precedenti.

Videogiochi balcanici: il mouse è in mani occidentali

Alcune repubbliche ex-jugoslave (Slovenia, Croazia), che hanno potuto sfruttare il gioco dello sviluppo ineguale e combinato all'interno della Federazione "agganciandosi" così (come il cane con la sua catena al padrone) alle metropli europeo-occidentali, Germania in primis, s'immaginano di poter utilmente recidere i legami con essa dichiarandosi indipendenti. Tutto bene, fin qui, tanto per i nostri borghesi, felici di aver trovato dei cani di razza a disposizione gratuita (e con la speranza di accedere al più presto alla proprietà della muta restante), che per le nostre "sinistre" che, all'uopo, riscoprono persino il "diritto all'autodeterminazione nazionale" (ed anche Rifondazione dà il suo contributo).

Da parte sua, la Serbia, politicamente capeggiata da non meno balordi arsenali borghesi nazionali, chiede di poter fare altrettanto, enunciando lo "stesso" diritto al conclamato principio di autodeterminazione. "I serbi coi serbi": squallido passo indietro rispetto alla giovane e borghesemente risorgimentale Serbia del passato, che ambiva almeno ad un suo ruolo da Piemonte balcanico; comunque, con le stesse carte "di principio" dei diritti nazionali in mano rispetto alla Slovenia ed alla Croazia. Ma, chissà perché, il due di briscola sloveno-croato val più del quattro di briscola serbo per i "nostri" giudici di gara.

(Il perché crediamo di averlo spiegato in lungo e in largo nel corso di questi anni: l'arretrata -economicamente- Serbia si dimostra meno disposta ad una diretta manomissione occidentale, e in ciò attesta uno scarso savoir faire..., perciò deve essere "disciplinata" coi mezzi che ben conosce ed amministra la "democrazia" occidentale).

L'Occidente le tenta tutte e pare ad un passo dalla realizzazione dei suoi piani col catapultamento a Belgrado del fantoccio Panic, confezionato in un batter d'occhio negli States. Senonché, i serbi non abboccano e, sia pure piazzandosi su trincee nazionalistiche, quindi reazionarie, rilanciano la propria sfida pan-serba contro tutti i tentativi occidentali di mettere ad essi la museruola.

Apriti cielo! L'Occidente, nel suo tentativo di bruciare la tappe verso un pieno e incontrollato dominio sui Balcani (con più d'un contendente attorno all'osso), apre la "questione macedone", che immediatamente si proietta oltre i confini dell'(ex)-Jugoslavia, e quella bosniaca, mentre, manovrando dai neo-conquistati avamposti albanesi, non cessa un istante di fomentare la rivolta nel Kossovo.

Si sa benissimo (tutto calcolato!) che la riconosciuta "indipendenza" bosniaca sotto l'egida "mussulmana" ed etnocentrica di Izetbegovic trascina con sé una serie inevitabile di nuovi conflitti: serbo-bosniaci, ma anche croato-bosniaci e persino inter-"mussulmani". E questo alle spalle e sulla pelle di una massa imponente di bosniaci irriducibili ai contrapposti disegni etnicamente "puliti". Non è proprio questo l'affare?

Arriviamo a quest'inizio estate. La guerra langue. Tra le masse bosniache, comunque connotate per nazionalità o religione, crescono la disaffezione e la ribellione. "Oasi" plurietniche resistono e, con l'affievolirsi del canto delle armi, sembrano diffondere un proprio contromessaggio rilevante non solo per la Bosnia.

Di fronte a ciò, i padroni dell'ONU si affrettano a dichiarare "indiscutibile" un piano di spartizione del paese su base etnica disegnato apposta per penalizzare nella spartizione i serbi gettando, insieme, le basi dei nuovi inevitabili conflitti a venire tra croati erzegovesi e "mussulmani" ed ignorando il problema aggiuntivo delle spaccature all'interno dello stesso "fronte mussulmano": ma, soprattutto, per impedire un ricompattamento -in nuce nella popolazione, soprattutto a Sarajevo- al di là degli steccati etnici (per "risolvere" quest'ultimo problema sarebbe sufficiente un'"amministrazione ONU" della città, ridotta ad una riserva da cui non possa trasmigrare il virus dell'affratellamento "jugoslavista": così come già realizzato a Mostar, dove il sindaco è... tedesco: e quale miglior garanzia?).

Il parlamento di Pale si potrà dire espressione di una banda di nazionalisti, ma, in questo almeno, dotato di una sua fierezza balcanica (che, ripetiamolo!, noi reputiamo come tale indifendibile e reazionaria anche in quanto ad una prospettiva, storicamente tramontata, "risorgimentale", ma che comunque manifesta l'esistenza di un'opposizione popolare, di massa alla neocolonizzazione imperialista che solo il marasma del movimento operaio occidentale impedisce sia mutata di segno e si converta in un reale potenziale classista di risposta conseguente all'imperialismo). Pale non cede.

Partono, allora, dalle "nostre" basi aeree i voli punitivi anti-serbi, e qui nessuno si chiede neppure più quali siano i "nostri" residui margini di azione "nazionale" in proprio. Dai berlusconiani alla "sinistra", la libidine di servire i vari padroni (USA e Germania) fa da premio su tutto il resto. Solo qualche sparuto manipolo di Rifondazione protesta: ma non per l'atto di guerra imperialista o in nome di un programma anti-imperialista comune tra i proletari di qui e quelli di là; no, in nome di un'azione più vincolata ad un'ONU "riformata" che ai soli USA-Germania, in nome di una maggior "autonomia" (imperialista) dell'Italia. La coscienza critica dei "nostri interessi nazionali": più in là non si va...

Nel frattempo, milioni di dollari sono affluiti nelle tasche dell'intemerato Izetbegovic da parte dei "fratelli mussulmani" medio-orientali. L'Occidente calcola che non esista un pericolo di influenza islamica nella regione (o, da parte degli USA, si può anche contare su un certo sviluppo di essa sotto controllo, ma intanto sufficiente a creare complicazioni alla concorrenza europea sul fronte Sud su cui poter lucrare, tanto per mettere un bastone tra le ruote dei propri partner quanto per guadagnar spazio in proprio in Medio Oriente). Questi milioncini devono rientrare nelle casse dell'Occidente. "Basta con l'embargo sulle armi ai bosniaci!", è l'accorato appello di Clinton. Noi abbiamo armi da vendervi in abbondanza. Vu cumprà?

Milosevic, da lupo cattivo a buon agnellino ubbidiente

Quel che l'Occidente non è riuscito a strappare a Pale è riuscito però a farlo con Belgrado. Il "terribile" Milosevic -colpevole in passato di chiedere per sé gli stessi diritti riservati ad un Tudjman: la riunificazione dei serbi in un solo stato e per via pacifica- ha ceduto ignomignosamente all'Occidente, soffocato dagli effetti dell'embargo imposto al paese, ed ha così deciso "volontariamente" di tagliare i ponti coi "fratelli serbi" di Bosnia, embargandoli a propria volta.

Questo fatto sta a dimostrazione di quanto sin dall'inizio abbiamo sempre detto. E, cioè, che il progetto pan-serbista, oltre a segnare un rinculo a precipizio rispetto alle passate tradizioni borghesi risorgimentali e cioè, per forza di cose, jugoslaviste, della Serbia, non aveva in sé alcuna possibilità di portarsi a compimento nel quadro attuale dei rapporti inter-imperialistici. Il restringersi della borghesia miloseviciana ad un "proprio" ambito serbo era, sin dall'inizio, destinato a tanto.

Ne possono derivare due conseguenze.

La prima (quella per cui ci battiamo) è che agli occhi dei miliziani serbi appaia evidente che la difesa dei propri "interessi nazionali" è incompatibile con il permanere al potere delle attuali forze borghesi a Belgrado, per loro natura disposte ad ogni sorta di meretricio, e da qui si risalga ad una ricompattazione degli interessi e dell'organizzazione "popolari" per opporsi all'imperialismo: il che porterebbe, però, ad un'istanza di classe su basi non più nazionalistiche bensì plurietniche, pan-jugoslave -perlomeno- in prima battuta. Inutile dire che non si tratterebbe allora di una migliore continuazione di questa guerra, ma di un completo ribaltamento di essa.

La seconda (cui tutti gli altri concorrono) porterebbe ad un ulteriore intrappolamento delle forze serbe "fuori della casa madre" lungo vie di fuga sotto-nazionali (ed iper-nazionalistiche), insieme all'emergere a Belgrado di spinte pan-serbiste di estrema destra, di tipo "cetnico" (la contestazione a Milosevic sotto queste insegne è già cominciata e proprio ad opera degli "oppositori del regime" qui in precedenza coccolati dai nostri mass-media). Un vero e proprio cancro per l'organismo vitale del "popolo" serbo e per tutta la Balcania, e si capisce perché da Occidente esso venga accuratamente coltivato in laboratorio e sul vivo.

S.O.S.: communisme

Inutile dire che per scongiurare questa seconda ipotesi e far avanzare la prima occorrerebbe una ben altra presenza sul territorio jugoslavo di forze autenticamente comuniste, al momento del tutto assenti, anche quando esistono organizzazioni a tale denominazione che certamente hanno avuto ed hanno il merito di opporsi alla guerra fratricida, di denunziare le responsabilità di tutte le parti di potere in causa e di proclamare la necessità di una via d'uscita jugoslava al conflitto. Disgraziatamente, tali forze non sanno andare più in là di un patetico ed inane richiamo alle virtù perdute del titoismo, cioè del regime da cui sono rampollate le contraddizioni che hanno irrimediabilmente minato dall'interno l'organismo "unitario" precedente.

Ed occorrerebbe altresì un'analoga presenza qui, nelle cittadelle dell'imperialismo, dove, al contrario, non resiste neppure un siffatto genere di passatismo sì, ma militante, in piedi. Sotto questo profilo pare davvero di non poter antivedere troppe risorse positive per l'avvenire immediato.

Senonché, come abbiamo in numeri precedenti rilevato, l'esperienza di questi anni di guerra e, quasi peggio, di raggiunta "pace" in vasti territori della (ex)-Jugoslavia sta insegnando qualcosa ai diretti interessati. In Slovenia e in Croazia sta crescendo un'opposizione sociale e, più lentamente ed in modo necessariamente confuso, politica. La Macedonia "indipendente" ha potuto saggiare nel frattempo le virtù della propria "indipendenza": "L'applicazione delle sanzioni della comunità internazionale nei confronti della Serbia e del Montenegro... ha causato all'economia macedone un danno stimato pari a quasi tre miliardi di dollari... Circa centomila lavoratori attendono ancora le paghe dovute e si moltiplicano gli scioperi" (La Voce del Popolo, 27 luglio); il tutto mentre nel paese stazionano gli esperti (esperti sì!) USA.

Non è pensabile che questi primi elementi di ripresa classista siano destinati a stagnare senza porsi il problema del perché dello sfracello attuale e senza, quindi, passare alla definizione di un programma ed alla creazione di un tessuto organizzativo proletario.

La primissima condizione della ripresa, consistente nella lotta per un miglioramento dei propri livelli di vita, già di per sé richiama necessariamente il tema: chi ci sfrutta?, chi detiene il potere politico ed economico diretto contro di noi? E già a questo punto si individuano di fronte non solo le sagome dei potentati interni, ma quelle dei super papponi occidentali. L'ammaestramento politico che ne risulta é inequivoco.

La favola dello sfruttamento della "propria nazione" ad opera di uno o più degli altri stati ex-jugoslavi non è destinata a reggere molto oltre. Tant'è: gli stessi dirigenti politici "nazionali" cominciano a rendersi conto dell'insopportabilità del giogo occidentale (che, riducendo le terre "liberate" allo stato di neo-colonie, provoca rovina, scontento, ribellione domani e, quindi, delegittimazione potenziale del loro stesso potere) e, contemporaneamente, dell'urgenza di ristabilire un minimo di tessuto economico comune tra i vari "soggetti" della ex-Jugoslavia al fine di ristabilire un trend di sviluppo meno disarmonico e più profittevole.

Oggi, non solo il macedone Gligorov invoca questa ripresa di contatti a scala (ex)-jugoslava, ma se ne sente l'urgenza anche da parte di Slovenia e Croazia, costrette, in qualche modo, a tornare a guardare alla Serbia stessa come partner commerciale. Un movimento anche embrionale di classe non può che spingere l'acceleratore in questa direzione, mirando a ricomporre -questo è ovvio- un ben altro tessuto di rapporti tra le frazioni di classe attualmente divise.

A questi primi sintomi di ripresa di contatti economici sta, d'altra parte, già facendo seguito quella dei contatti, diciamo così, "culturali". Già oggi, giornali serbi possono leggersi in Slovenia e Croazia e viceversa e stenta meno che ieri la circolazione dei rispettivi prodotti intellettuali. Piccola cosa, sinché quel che circola appartiene ancora al bagaglio delle classi dominanti, ma, in prospettiva, non insignificante. Il proletariato dovrà battersi perché questo processo si allarghi, sino a mettere tra di loro in contatto i vari "punti di vista operai" (significherebbero o no qualcosa scambi di materiali ed incontri tra sindacati e partiti "operai" delle varie nazionalità?).

Quest'ultimo punto, d'altra parte, non può neppure più limitarsi alle terre (ex)-jugoslave. E' estremamente significativa l'iniziativa della IGM-Metal germanica per concertare delle linee d'azione comuni con i fratelli operai dell'area... sud-tedesca ed offrire ad essi dei concreti aiuti (tecnici e finanziari) per rilanciare laggiù una decisa lotta salariale. Sappiamo benissimo, in questo caso, cos'è che spinge a tanto i sindacati tedeschi: la preoccupazione (non propriamente internazionalista) che, potendo liberamente attingere in Slovenia e Croazia ad una manodopera a basso prezzo, il "proprio" capitale vada a ricattare e colpire i "patrii" operai; la cosa non ci sorprende né imbarazza; beccatevi intanto questa che per fare del riformismo in casa dovete mettere in moto una lotta di classe fuori di essa. Il resto, quello che noi ci aspettiamo, verrà poi (a determinate condizioni, va da sé, incompatibili coi punti di partenza ed i paletti nazionalistici e social-sciovinisti che si pretende di piantare invalicabili).

Il punto più basso della frantumazione nazionale e classista in Jugoslavia è già stato toccato. La ripresa incomincia di qui, per lenta e dolorosa che possa essere. Le potenze imperialistiche, col loro docile seguito di cani da guardia riformisti, sta facendo l'impossibile per impedirla, attizzando sempre nuove occasioni di conflitto, ma, intanto, la nostra partita si è riaperta.

Crediamo di avere in mano delle buone carte per giocarcela. Le migliori ce le sta passando, non volendolo, il nostro stesso avversario. Se ne riparlerà, se ne riparlerà...