Conversando con i lettori

"PACE" PRECARIA NELLE METROPOLI,
GUERRA APERTA AL DI FUORI

Indice


Le fiamme di guerra stanno dilagando ovunque nel mondo attuale sino alle porte delle metropoli (vedi il caso jugoslavo), ma queste ultime ne sembrano risparmiate.

Il sentimento comune che ne deriva può essere il seguente: "Va bene, tuonano le armi, ma qui, perlomeno, si vive in pace". E si potrebbe anche pensare che se "là" c'è la guerra è perché si tratta di popoli e stati non toccati, come noi saremmo, dalla grazia della "civiltà".

Ma è davvero così? Davvero le guerre extra-metropolitane riflettono degli scontri spiegabili solo con le "particolari condizioni" di quei popoli e stati o non coinvolgono, invece, la presenza dei "nostri", "civilissimi", paesi imperialisti? E davvero siamo sicuri che la guerra si fermerà "là", lasciandocene indenni?

Con le parole di un vecchio poeta diremmo: non chiederti per chi suona la campana, essa suona anche per te. L'incendio di guerra è suscitato da qui, corrisponde agli interessi borghesi di qui e qui finirà per ritornare, se ad esso noi proletari non sapremo rispondere prima, prendendo sin d'ora posizione aperta sulle guerre per procura imperialiste che altrove si consumano.

Primo test: il Medio Oriente

Ricordate la guerra contro l'Iraq? Si era detto che a scatenarla era stato il mostro Saddam con l'invasione del Kuwait e che unicamente per difendere quest'ultimo stato "sovrano" le grandi potenze imperialiste erano dovute intervenire.

Come siano poi intervenute lo si è visto: montagne di distruzioni e cadaveri procurate senza (quasi) colpo ferire e poi, in sovrappiù, un embargo che affama e stermina la popolazione irachena (non Saddam e i suoi generali), in particolare tra l'infanzia.

Però il Kuwait è "libero". Libero di fare da colonia statunitense assieme all'Arabia Saudita e gli altri regimi reazionari dell'area. Liberi tutti di pompare gratis petrolio per le multinazionali imperialiste in cambio della "protezione" da esse accordata ai regimi feudali degli sceicchi.

C'è chi oggi non veda che si è trattato di una guerra per gli interessi della borghesia metropolitana? Di una guerra condotta spietatamente contro gli interessi dell'insieme delle masse arabe? Che il Kuwait, creazione artificiale dell'imperialismo, non ne è stato che il fragilissimo pretesto "legale"?

Ma si tratta anche di due altre cose.

Questa è stata una guerra per la ridefinizione del controllo dell'area tra le diverse potenze imperialiste coinvoltevi. Una ridefinizione che è andata a pressoché esclusivo vantaggio degli USA e, in quanto tale, andrà ad esacerbare i processi di scontro d'interessi all'interno delle varie potenze in oggetto ed ai rispettivi "blocchi".

Ed è stata una guerra, per quanto pochissimi se ne siano accorti, contro il proletariato internazionale. Il proletariato occidentale è stato in essa chiamato a solidarizzare con la "causa" degli industriali e banchieri di casa propria in cambio (i trenta denari di Giuda...) di ipotetici vantaggi di rimando. Il proletariato e le classi povere del Medio Oriente sono state contrapposte ad esso. Il gioco, sin qui, ha funzionato a meraviglia: il potenziale fronte comune proletario si è andato vieppiù divaricando e persino contrapponendo. Sembra che ad Occidente i proletari non riescano tuttora a svincolarsi da questo mortifero abbraccio col "proprio" capitalismo; in Medio Oriente le masse sfruttate, orfane della solidarietà dei propri fratelli d'Occidente, si rivolgono all'Islam ed alle sue promesse di "guerra santa". Questa pretesa "guerra santa" non piace? Non piace neanche a noi, ma esclusivamente perché da essa non può venire la soluzione del problema di classe autentico che vi sottostà (epperò, intanto, la salutiamo come un segnale prepotente destinato a smuovere lo stagno di quest'immonda "pace" imperialista, là e qui).

(Il conflitto con l'Iraq ha ultimamente conosciuto una sua coda con la messa in atto di un secondo intervento "preventivo" -significativamente, stavolta, ad opera dei soli padroni USA-, a causa, s'è detto, di manovra militari irachene troppo vicine ai confini USA-kuwaitiani. Che sfrontato questo Saddam! E' come se le nostre armate compissero delle esercitazioni militari troppo vicino al territorio della (ex)-Jugoslavia! No, da noi queste cose non si fanno. Da noi ad Aviano manovrano solo gli USA od, al massimo, ci è dato di fornire ad essi il "nostro" appoggio!)

Altrove, l'imperialismo si è presentato col volto della "pacificazione", come nel caso del conflitto arabo-israeliano. Grazie a Clinton lì s'è siglata la "pace". Di che pace si tratta? Della solita: la sanzione di un'ulteriore controllo imperialista sull'area con la riduzione dei nuovi e "sovrani" poteri statuali palestinesi al ruolo di cani da guardia dell'"ordine" telecomandato da Washington. Con che risultati? Con l'insopprimibile rivolta delle masse sfruttate palestinesi contro padroni e cani. Vergogna!, Hamas uccide degli innocenti e quelle "masse brute" applaudono e partecipano al massacro. La stessa cosa avviene in Algeria, in Egitto e altrove (e non finirà lì) sotto le bandiere dell'Islam. Non piace? Idem come sopra. Noi vi diciamo: prima di condannare quegli atti, ricordatevi che essi sono il frutto ("disperato e irresponsabile" si potrebbe anche dire, ma altrettanto comprensibile e storicamente necessario) dell'isolamento e dell'ostilità drizzati da qui contro queste masse oppresse, della complicità dello stesso proletariato occidentale col "proprio" imperialismo. Ricordatevi che da qui nessuna mano si è alzata a fermare gli aerei che -dalle "nostre" basi- partivano a massacrare non singoli individui, ma popolazioni intere. Spezziamo questo muro divisorio, e vedrete che la lotta degli sfruttati del Medio Oriente non avrà bisogno delle ingannatrici bandiere dell'Islam, a condizione che vera lotta unitaria, internazionalista, di classe ci sia ed offra ad esse una concreta prospettiva di emancipazione.

Secondo test: l'Africa

Qualcuno ha dimenticato i bombardamenti sulla Libia? Chi e come minacciava Gheddafi? Difficile inventarsi qualcosa di concreto in questo caso, salvo il "nostro diritto" di spezzare le reni a chiunque non si metta diligentemente in riga. Ad ogni buon conto, il mostro-Gheddafi è sempre ben tenuto in naftalina per sbandierarlo a giustificazione di ulteriori interventi "normalizzatori". E vorreste, magari, che laggiù ci amassero?

Altro punto caldo: la Somalia. C'eravamo e ci ritorneremo, potrebbe dire un buon fascista. Intanto ci siamo ritornati sì, ma ancora una volta al seguito degli USA. Siamo intervenuti (ed oggi vi siamo richiamati) perché, s'era detto, c'erano laggiù dapprima la fame e poi una guerra intestina tra forze tribali da "pacificare". Non si sa che fine vi abbia fatto la fame. In compenso, sappiamo perfettamente come dietro le pretese contese tribali ci siano le mani e gli interessi delle potenze occidentali che le fomentano e le armano, lucrandovi abbondantemente sopra, così come vi avevan già lucrato al tempo dei cosiddetti interventi "per promuovere lo sviluppo" di quel paese (anche Craxi e Pannella ne sanno qualcosa...). Per mano di chi, tra l'altro, sono caduti Ilaria Alpi e Milan Krovatin? Che traffici avevano scoperto? Traffici somali o traffici...?

E il Ruanda? Proprio nell'ultimo numero abbiamo mostrato cosa c'è dietro quella che viene qui presentata come un'ulteriore carneficina "tribale" Tutsi-Hutu. Sempre la stessa mano, sempre gli stessi portafogli, compresi quelli Santa Sede (non è il Ruanda il paese più "cristianizzato" dell'Africa? E infatti...)

E per l'Africa ci fermiamo qui. Ma andatevi a guardare la mappa delle altre guerre in atto o potenziali: la troverete molto più estesa e pur sempre con gli stessi tessitori dietro, di pelle non proprio nera.

Terzo test: Asia e America Latina

Che ci fanno truppe occidentali in Cambogia?

Perché si agitano tanto gli USA ai confini della Corea del Nord?

Cosa significano certi ammonimenti e certe ventilate manovre commerciali, sempre degli USA, rispetto alla Cina quando questa dimostra di non aprirsi abbastanza al capitale USA? Che vuol dire il coniglietto della "strage di Tien-An-Men" tirato puntualmente fuori dal cilindro quando serve?

Cosa significa poi l'embargo stretto attorno a Cuba se non il tentativo di strangolare un paese reo di essersi, grazie ad una rivoluzione vera, dichiarato indipendente dai diktat di Washington proprio nel "giardino di casa" degli Stati Uniti? O potete credere che si tratti di una rivendicazione di "maggiori libertà democratiche" per Cuba? Ci provino, intanto, a dare queste libertà al proprio neo-possedimento kuwaitiano dove esse sono tranquillamente e sistematicamente calpestate!

Ed a quali imperativi ha ubbidito l'intervento a Grenada costato a quelle popolazioni decine di morti civili bersagliati "per sbaglio" dalle "liberatrici" truppe USA? E che ne è successo di Panama una volta catturatovi il narcotrafficante che vi stava a capo? Tutti più liberi e denarcotizzati? O è stata restituita a Panama la sovranità sul proprio canale? Non ci sembra proprio. Ed ancora: davvero ad Haiti si è fatta opera di "democratizzazione" del paese risbarcandovi Aristide? O non si è preventivamente stabilito anche qui un potere di "tutela" statunitense che viene semplicemente ad aggiungersi al potere (rimasto indenne ed intoccabile) delle grandi famiglie sfruttatrici limitandosi, a tal fine, a licenziare (ma che licenziamento dorato!) i vecchi e più immediatamente odiosi arnesi della vecchia giunta militare? Lo vedremo poi che vorrà e potrà fare questo redivivo Aristide tenuto a guinzaglio dagli USA...

Quarto test: alle porte di casa

Abbiamo percorso per brevi (e parzialissimi) esempi il quadro infuocato del mondo extra-europeo, ma solo per accorgerci che l'incendio si sta propagando alle nostre stesse porte di casa, smentendo tutte le favole su un possibile mantenimento della pace "almeno qui".

Gli accadimenti nella (ex)-Jugoslavia ne sono la più evidente conferma.

Anche in questo caso si parla di "conflitti intestini" originati da "odi secolari" tra poco più che incivili tribù. Ma gli stessi borghesi, sempre più impudentemente, s'incaricano di spiegare a chi non se ne fosse accorto prima che alla base del conflitto jugoslavo è stata proprio ed innanzitutto la necessità imperialista di allargare la propria sfera di influenza e dominio nella regione, ridefinendo così al proprio interno i rapporti di forza tra potenza e potenza. Oggi si ammette placidamente che alla base della "secessione" slovena e croata prima, dell'apertura del fronte bosniaco poi, c'è stata l'opera di condizionamento e pressione sulle borghesie locali disposte ad "entrare" (si vedrà poi come!) in Europa, il finanziamento (da ripagare con interessi da strozzino) e l'armamento materiale della guerra di "liberazione nazionale".

La Germania ha fatto la parte del leone a nord, gli USA si stanno piazzando a sud. L'Italia ha partecipato all'operazione senza ricavarne un gran che, ed oggi punta i piedi con la Slovenia (d'accordo anche il PDS) nel tentativo di riguadagnarsi una fetta del bottino ricontrattando -non con la Slovenia, ma con la Germania- la sua parte di "spazio vitale". Un gioco sporco sulla pelle di quei popoli, di quel proletariato e del nostro proletariato insieme, come sempre.

Nel generale incasinamento che ne è derivato, tutte le pedine dell'area si stanno muovendo, dalla Grecia alla Turchia all'Albania etc. con "proprie" rivendicazioni "nazionali" del tutto illusorie, ma perfettamente funzionali al gioco delle grandi potenze.

Intanto, dall'altra parte dell'Adriatico, l'Albania "liberata dal comunismo" si riduce sempre più al ruolo di una ritrovata colonia italiana, in mano a poteri "legali" ed illegali del nostro paese, e l'unico problema che qui sembra porsi nei suoi confronti è di evitare che masse di disperati albanesi traghettino alle nostre sponde. Meglio se si lasceranno da noi sfruttare ed affamare in casa "propria"...

Il quadro potrebbe svolgersi più estesamente, perché tutto il marasma ad Est (sino al dissolvimento dell'URSS) si piega come conseguenza dell'impatto tra il crollo di quel sistema (incapace di reggere alla forza di pressione imperialista occidentale) e l'opera di devastazione e rapina su di esso svolta dall'Occidente. E sarebbe anche bene tener d'occhio i primi segni evidenti di influenza diretta delle maggiori potenze imperialistiche sui destini dei "partner" minori (Italia compresa) sino a condizionarne gli stessi assetti territoriali.

Ora: è pensabile che le fiamme di un tale incendio rimangano chiuse al di fuori dei nostri confini? Non lo è, per due ragioni fondamentali. Primo: la necessità insopprimibile delle grandi potenze di espandere il proprio raggio d'azione e potere infischiandosene d'ogni confine, per quanto imperialista esso stesso. Secondo: l'altrettanto insopprimibile esigenza da parte delle masse sfruttate dei paesi messi sotto controllo di reagire alla doppia rapina ai loro danni da parte delle locali borghesie-serve e della grande borghesia imperialista. Di entrambi i punti abbiamo già degli esempi eloquenti.

Per impedire che l'incendio arrivi "anche qui", una sola è la strada: il rifiuto da parte del proletariato di qui di appoggiare od anche "solo" lasciar passare l'opera devastatrice dell'imperialismo, non cadendo nella trappola delle sue giustificazioni "ideali" o della lusinga -peggio!- di vantaggi che ce ne verrebbero; il collegamento materiale tra le forze proletarie di qui e quelle che si muovono di là perché uno è il nemico, e una dev'essere la battaglia. Se queste due condizioni fossero state rispettate, non assisteremmo alle attuali guerre tra "etnie", ma ad una unitaria guerra di classe. Così non è stato. Così dovrà essere. Facciamo che non sia tardi.

Un piccolo esempio premonitore di quel che si dovrà fare. L'IG Metal tedesco ha sperimentato come l'espansione a sud e ad est del "proprio" capitalismo si sta traducendo in uno sfruttamento della manodopera a basso costo ivi presente per ricattare la classe operaia tedesca, ed è perciò arrivato alla conclusione che spetta ad esso offrire un aiuto tangibile alla formazione di combattivi sindacati fuori dai propri confini statuali per "riequilibrare" la situazione. Il tutto, ancora, in un'ottica "riformistica" e nazionale, ma è significativo che, proprio per difendere i propri spazi, così definiti, esso debba varcare i confini della Germania e fare dell'"internazionalismo", sia pure di un certo tipo. Tanto più dovrà essere internazionalista sul serio un proletariato cui non potrà più bastare il richiamo "riformista".

Su questo, compagni!, vi chiamiamo a riflettere e ad agire. Noi, che -dallo sciopero dei minatori inglesi ai recenti avvenimenti jugoslavi- siamo sempre stati presenti, per quel che le nostre forze ce lo consentivano, sul campo, vi diciamo: abbiamo bisogno del vostro appoggio a questa nostra, a questa vostra, battaglia internazionalista, perché da essa dipende il destino futuro dell'umanità intera: non se vi sarà guerra o pace "anche qui", ma se, anche qui e dappertutto, vi sarà guerra imperialista o guerra di classe.

Non chiederti per chi suona la campana. Essa suona anche per te!