IL PDS E L’AGGRESSIONE
IMPERIALISTA AL TERZO MONDO

Indice


Ancora una volta sul Pds. E la ragione è quella di sempre: il peso che la collocazione e l’azione del Pci ieri, del Pds (e di Rifondazione) oggi, hanno sull’ideologia, la politica e la organizzazione del proletariato. Ci soffermiamo, questa volta, su un aspetto tra i più rilevanti, e i meno rilevati, della muta in senso socialdemocratico della Quercia: la sua crescente aggressività nei confronti dei paesi del Terzo Mondo.

Con ciò non scantoniamo affatto dai problemi quotidiani e immediati di "casa nostra" per rifugiarci nell’"astratto" della prospettiva avvenire dell’universo mondo, perché i due ordini di questioni, interno-"esterno", immediato-storico, sono assolutamente inseparabili.

Le forze agenti nella situazione internazionale incidono a fondo sulla situazione interna e sui "quotidiani" conflitti di classe. Per la sua offensiva antiproletaria la nostra borghesia attinge di continuo "fuori dai confini patrii" alle forze sovra-nazionali dei mercati internazionali, così come allo sfruttamento dei proletari dei paesi della "periferia". Basta pensare a quanto le "aspettative" della finanza mondiale condizionano la redazione delle leggi finanziarie; o al fatto che appena pochi giorni fa la Fiat ha annunciato che la sua nuova world car sarà prodotta in Brasile, Argentina, Messico, Turchia e Cina, facendo intendere -e non solo agli operai di Termoli- che in futuro gli stabilimenti italiani dovranno concorrere in produttività e orari di lavoro (e salari, no?) con quelli del "Sud" del mondo; o al refrain, che gli operai tessili e dell’elettronica così ben conoscono, della necessità di misurarsi con la competitività delle "tigri asiatiche". Occupandoci della politica del Pds verso i paesi e le masse lavoratrici del Terzo Mondo, restiamo dunque perfettamente in tema, nel tema del conflitto di classe tra capitale e lavoro, tra borghesia e proletariato, tra capitalismo e socialismo, inteso in tutto il suo reale spessore.

Quel che intendiamo sottolineare è che nel suo cammino alla liberal- democrazia il partito "riformista", dopo essersi purgato di ogni residuo terzomondismo, sta facendosi esso stesso parte attiva dell’aggressione imperialista alle indisciplinate e "fanatiche" masse sfruttate del Sud del mondo. Ogni occasione è buona per tessere le lodi dell’incivilimento, del progresso, della democrazia che l’Italia e le altre potenze d’Occidente apportano alle aree "arretrate". Ogni occasione è buona per denigrare queste sventurate aree come il ricettacolo naturale di ogni umana, sociale e politica turpitudine (da cui invece i paesi occidentali, il vero e proprio centro della reazione mondiale, sarebbero indenni). E per reclamare la messa in riga di quanti, in esse, si oppongono alle potenze imperialiste benefattrici. Una ideologia ed una politica, queste, che si mettono di traverso rispetto alla necessità del proletariato italiano e mondiale di riunificare il proprio fronte di classe, e dei cui disastrosi effetti è indispensabile che i proletari più avanzati si sforzino finalmente di prendere avviso.

Qualche esempio relativo al solo ultimo anno.

Nel mondo slavo

Albania. A fine ’93 si conclude la missione Pellicano. In un paio d’anni, alcune centinaia di soldati italiani "hanno percorso più di dieci milioni di chilometri lungo le polverose strade" dell’ex-colonia. Sospettate che vi abbian fatto da apripista e da vigilantes per i "nostri" banchieri, i "nostri" imprenditori, i "nostri" mafiosi, perché potessero metter le mani sulle acque, le terre, il petrolio, i porti, le coste, il pescato, le mandrie, le vie della droga, le donne, la gioventù albanesi? o per consentire ai "nostri" servizi segreti d’installarvi una testa di ponte anti-serba (ed anti-slava) a ridosso del Kosovo? Non sia mai detto! Vi smentisce da Durazzo l’entusiasta cronista de L’Unità (1), con un classico quadretto da propaganda colonialista: i soldati italiani che "se ne vanno tra gli applausi dei bambini delle scuole schierati dalle suore". E sapete perché? Perché hanno fatto un’"ottimo lavoro" "umanitario", "portando enormi quantità di aiuti" (a pagamento...) ad un paese affamato dal "totalitarismo" ma, se il dio d’Occidente vuole, alfine in marcia "verso la democrazia". "Grazie Italia", vociano ignari gli scolaretti pensando ai cioccolatini. "Forza Italia", grida il patriottico milite pidiessino pensando ai ritorni materiali e "d’immagine" per la sua patria, in gara, quanto a sciovinismo, con i pennivendoli dei fogli della destra. (Immaginate di quale stampa potrà godere domani, a sinistra, la resistenza alla ri-colonizzazione del paese delle aquile?)

Restiamo nei Balcani. Italia e Slovenia trattano sull’ingresso di quest’ultima nell’Unione europea. Il rifiuto sloveno di accordare agli italiani d’Istria una tutela speciale ed agli "esuli italiani" un diritto di prelazione sui "beni abbandonati", fa scattare l’ira di Fassino. E’ necessario intendersi, dice il responsabile esteri del Pds; ma sulla base di "precise garanzie" che Roma deve chiedere a Lubiana e "ancor più a Zagabria", per ottenere le quali "al nostro paese non mancheranno le sedi". Le sedi comunitarie, prima di tutto, dove siamo i padroni di casa; e poi Slovenia e Croazia non debbono dimenticare che "il nostro paese ha tecnologie, know-how, imprese, risorse, finanziarie, capacità professionali ed umane in grado di offrire ai paesi dell’Europa centrale" e danubiana, etc. etc., non debbono dimenticare, cioè, che siamo in grado di imporre quel che ci aggrada ai paesi che non dispongono di altrettanti mezzi di produzione e capitali. Compreso? Paesi, popolazioni, lavoratori, di serie B o di serie C, quand’anche di pelle bianca (ma non europea al 100%: come sta allargandosi giorno dopo giorno il "Terzo Mondo"!), se non volete uscirne stracciati, non permettetevi di alzare la voce con "noi", che apparteniamo alla serie di eccellenza, e deteniamo il potere di decidere "valori, principi e regole dell’Europa comunitaria" a cui voi dovrete sottostare. L’ultima parola negli accordi tra stati "indipendenti" e "sovrani" spetta sempre a noi, che siamo più indipendenti, sovrani e civili degli altri.

Che per ottenere il rispetto da parte dei paesi del Terzo (e del secondo) Mondo dei codici, scritti e non scritti, posti a presidio della rapina imperialista, gli stati ricchi possano all’occorrenza ricorrere alla guerra, il Pds fa sempre meno per nasconderlo. Valga il caso dei serbi di Bosnia. Qui L’Unità è riuscita ad oltrepassare a destra, e in scemenza, la stampa di destra. Davanti alla vittoria sul campo (che non va scambiata, comunque, per una nostra vittoria!) dell’unica tra le parti in guerra che ha potuto contare su un’effettiva mobilitazione popolare, si sono letti sulla stampa pidiessina editoriali traboccanti fiele contro i "muri di parole" dell’ONU e contro le "colombe" ed i "conigli" dei -udite bene!- comandi NATO, rei di non avere adoperato la necessaria "umana fermezza" contro i serbi-"nazisti". Eccone un campione: "La NATO che avrebbe dovuto impedire, grazie ai voli dei suoi aerei, ogni possibile incursione dei caccia serbi, la NATO che avrebbe dovuto costituire, con il suo potenziale militare, un vero e proprio deterrente nei confronti di chi punta solo sulla soluzione militare, la NATO che avrebbe dovuto rappresentare l’architrave d’una politica comune dell’Occidente"..., ebbene questa NATO è stata così imbelle, si lamenta R. Foa, da lasciarsi prendere (e lasciarci prendere, a "noi" Italia che in essa fidavamo) a sberle dai serbi.

Dopo aver fatto tutto quanto poteva per disgregare e portare alla guerra la Jugoslavia, la sinistra progressista vorrebbe ora, in nome di quei "diritti umani" che per prime le democrazie occidentali hanno calpestato spazzando via mezzo secolo di pacifica convivenza inter-etnica, spezzare le reni al "fondamentalismo serbo" che la guerra ha vinto, a costo di reinfiammare ed estendere un conflitto che langue. E, come nella migliore tradizione del combattentismo italiano, vorrebbe farlo con le armi, gli uomini, i soldi altrui. Ed in questo cieco furore di riconquista del "nostro spazio vitale" nei Balcani, neppure si avvede che meglio s’addice agl’interessi del capitalismo nazionale una Serbia e dei serbi accerchiati ma in piedi e non in ginocchio, la cui forza possa essere usata quale credibile deterrente per indurre Croazia e Slovenia a riconoscere le "nostre ragioni" in Istria e Dalmazia (e per contenere lo sfondamento tedesco a sud). Brutto affare diventare più realisti del re.

Nel mondo arabo-islamico

Passiamo al Medio Oriente ed al mondo islamico.

Ottobre ’94: gli USA montano ad arte un nuovo pericolo di invasione irachena del Kuwait assolutamente inesistente. Mirano palsemente ad imporre al governo di Baghdad le proprie condizioni per l’abolizione dell’embargo sul petrolio iracheno (le compagnie petrolifere statunitensi e francesi sono in aspra contesa al riguardo). E che ti fa L’Unità? Ti spara due pezzi, l’uno più stomacante dell’altro. L’uno è intitolato: "Saddam ricatta gli iracheni e noi". Qualcosa sul ricatto "sugli iracheni e su noi" (vero) delle multinazionali e del Pentagono? Come sarebbe a dire: esistono interessi imperialisti in Medio Oriente (e nel mondo)? Questa stessa astratta nozione vetero-marxista è sconosciuta ai modernisti clintoniani di Via dei due macelli (a meno che non la si debba applicare ai serbi, agli islamici, alla Russia, etc.). Loro hanno tutt'altro per la testa. Chiedono al caro Bill che "esca dai pantani del tentennamento per ritrovare un piglio consono al suo ruolo". Ahiloro, però, "oggi come oggi, la sua (degli USA di Clinton) credibilità di ‘gendarme’ internazionale è assai debole". E questo perché quando, nella primavera del ’91, gli USA "potevano dare la spallata al dittatore iracheno", non lo fecero. Ah, sospira L’Unità, se almeno stavolta "gli americani andassero fino in fondo" nell’attacco a Saddam: "il mondo non avrebbe nulla da perdere". Dove per "il mondo" s’intende il nostro putrescente mondo metropolitano, l’Occidente gendarme del capitalismo mondiale (operai e capitalisti appassionatamente insieme? Lo vedremo dopo).

Come vola il tempo! Appena quattro anni fa l’avanguardista (e filo-sionista) Flores D’Arcais si ritrovò quasi solo ad impetrare Schwarzkopf affinché spingesse le proprie truppe in profondità nel territorio iracheno, a macellare e maciullare Baghdad. Oggi questa è diventata la posizione semi-ufficiale del Pds! Con la grande sodisfazione da parte nostra, di non doverci più sorbire, come controcanto ai falchi, le nenie "pacifiste" dei collitorti alla Ingrao (padre, figliuola e spiriti di santarelli varii) sul modo più efficace per far fuori il dittatore Saddam senza le bombe, come se di questo davvero si fosse mai trattato.

Il minimo accento "pacifistico" (di rispetto verso le altre "culture", e balle varie) è scomparso pure da tutte le prese di posizione pidiessine contro il "fondamentalismo islamico". Che per foraggiare la propria civiltà, il totalitarismo imperialista di Occidente stia affogando nella miseria e nel sangue le genti arabo-islamiche con l’azione congiunta delle leggi del mercato mondiale, della diplomazia e dello scientifico terrorismo di stato di regimi quali quelli di Rabin, Mubarak, Zeroual, etc., non conta nulla. Per i neo-diffusori dell’evangelo del profitto, a seminare la morte in Medio Oriente è sempre e solo la risposta "islamica" all’oppressione imperialista-capitalista, per noi giustificata in quanto lotta di oppressi, pur se strategicamente impotente. Ed è proprio contro di essa che il Pds, che non rammenta più una sola parola del suo storico lessico "anti-imperialista", invoca la massima decisione. E se, come nel caso dell’Airbus dirottato dal Gia a Marsiglia, la "minaccia islamica" arriva a sbarcare su suolo europeo, ecco L’Unità scoprirsi un animus da riviste-spazzatura per born to kill: "Non ci si può che congratulare con le teste di cuoio francesi", scrive, dopo l’uccisione dei quattro dirottatori algerini. I "magnifici 87 Rambo di Francia" sì, "non saranno famosi come le unità antiterrorismo isrealiane o inglesi" ma, statene sicuri, "sono altrettanto abili e duri, superaddestrati e dotati di armi sofisticatissime", ed "i loro meriti (!) se li sono conquistati sul campo", in vent’anni di interventi "chirurgici" anti-terzomondiali, a cominciare da quelli contro i palestinesi dell’OLP.

A proposito di palestinesi. Qual è lo scoglio contro cui s’infrange la "pace"? Hamas, ovvio. E se in tal caso il Pds si spinge ad invocare, a complemento della repressione, le elezioni, è soltanto nella speranza che possano essere uno strumento utile per "isolare il fondamentalismo". Il rischio che a vincerle siano gli islamici c’è, dice Fassino; stiamo accorti a che non abbia a succedere (male che vada, è il retropensiero, ci si potrà regolare come in Algeria: le si annulla, con tanti saluti agli elettori e alla democrazia: si tratta pur sempre di arabi, dopotutto, e se non sono in grado di usare a dovere, e cioè come "noi" vogliamo, la democrazia, peggio per loro).

Comunque, sostiene L’Unità, non potranno essere le elezioni la soluzione dei problemi tra israeliani e palestinesi. Essenziale sarà anzitutto che gli stati della regione si coordinino tra loro e con "noi" Occidente, riconoscendoci il ruolo di governo mondiale che "ci" spetta. E i mezzi d’azione? "I dollari e il potere di deterrenza" degli USA, tanto per cominciare. Poi, accanto ad essi, anche la ricerca di "una soluzione politica" che metta fuori gioco il "fondamentalismo islamico". Già, trovarla l’agognata soluzione! Ad essercene, di reale e definitiva, ce n’è una sola, la nostra, comunista rivoluzionaria: saldare la lotta degli sfruttati arabo-islamici con quella della classe operaia metropolitana per distruggere il sistema sociale capitalista-imperialista. Ma scommettiamo che i prodi progressisti del Pds la considerano la più intollerabile di tutte?

Più ad Est ancora

Spostiamoci in Asia. Chi credete che vi detenga "il record negativo in fatto di diritti umani"? L’Indonesia di Suharto, edificata sul massacro di 500.000 comunisti? i regimi del triangolo d’oro della droga, della prostituzione e del lavoro minorile? l’India con le sue legioni di poveri sradicati che crepano d’inedia? le militarizzate Corea del sud e Singapore? la fabbrica-caserma Giappone? Quando mai! E’ la Cina popolare, cioè il paese, vedicaso, che più "ci" -a noi stati civili d’Europa e d’America, che dai tempi delle guerre dell’oppio cerchiamo invano di assoggettarla e smembrarla- infastidisce col suo numero, la sua grandeggiante forza commerciale, la sua indipendenza nell’arena internazionale. E a cosa si deve il suo record negativo? alle bestiali condizioni di lavoro cui sono astretti milioni di proletari che nelle sue "zone speciali" lavorano per le "nostre" imprese? Ingenui. Si deve alle dure condanne che "il bastone di Pechino" ha inflitto a nove democratici e undici dissidenti (pochini, d’accordo, su oltre un miliardo e passa, per dare un alto tasso di repressione, epperò, signori miei, fior d’intellettuali e professori universitari "amici della libertà"!). Anche in questa circostanza il giornale del sereno Veltroni (sereno verso i nemici di classe del polo delle libertà) deplora irato il "silenzio complice delle cancellerie occidentali" e il polso-debole Clinton contro i "gialli", pardon contro la mancanza di democrazia in Cina. Dallo stesso articolo venite poi a sapere che "i due principali accusati per i fatti della Tian An Men", condannati a tredici anni, "sono già stati rilasciati": quando si dice l’impero del bastone...

Perfino in un’America Latina imprigionata -dal nord messicano al sud cileno- da regimi iper-liberisti di dura oppressione poliziesca, tra i quali c’è veramente l’imbarazzo della scelta ad assegnare la maglia nera (tanto per dire, c'è qualcuno che ricorda a sinistra che a capo dell'esercito del Cile, paese governato dal "popolare" di turno, c'è ancora un tal Pinochet?), a chi L’Unità sembra attibuire il primato dell’"anti-democraticità"? Alla Cuba dell’ingombrante "patriarca" Castro, cui si rimprovera sia la pervicace difesa del "partito unico" (benché oramai un semplice fantasma di partito, lasciando da parte qualsiasi considerazione sulla sua linea), sia di non aver ascoltato vent’anni fa l’offerta di compromesso politico fatta da Kissinger (sta a vedere quale), e di non inchinarsi a squadra oggi davanti alla profferta di mediazione vaticana...

Riformismo=socialsciovinismo

Un filo nero, o se si vuole tricolore, collega tra loro queste prese di posizione (ed altre analoghe sulla Somalia, sulla Corea del Nord, sulla Cecenia, etc.): la piena adesione del Pds alle necessità del capitalismo nazionale.

Questa adesione viene da lontano. Da quel congresso di Lione (1926) che è l’atto di fondazione del "comunismo italiano", il capitolo italiano della degenerazione nazionalista e riformista della III Internazionale. Che per un complicato gioco di fattori storici, politici ed economici, si è materializzata, per quel che riguarda i rapporti con i "popoli di colore", in politiche formalmente antitetiche.

Come per lo stalinismo nel suo complesso, il settantennale cammino di integrale nazionalizzazione del "comunismo" e, per altro verso, del proletariato italiano, è iniziato all’insegna del sostegno "internazionalista" ai movimenti di liberazione nazionale e coloniale. Un sostegno non certo finalizzato alla promozione della rivoluzione proletaria mondiale, bensì rigidamente circoscritto sul piano sociale, politico e militare, come la prospettiva del "socialismo in un solo paese" prevedeva, agli obiettivi ed alle direzioni borghesi di quei moti. Moti, la cui ricaduta era ritenuta positiva per l’Italia democratica, antifascista ed "anti-colonialista" (salvo si trattasse delle "nostre" colonie), perché indebolivano le fu-grandi potenze coloniali concorrenti e arginavano il soffocante predominio yankee. Era un sostegno alla rivoluzione "anti-coloniale" in chiave nazionalistica, di un nazional-sciovinismo che, data la situazione in cui versava l’Italia, poteva ancora tingersi di "internazionalismo" con un paio di mani di via via più stinta vernice terzomondista.

Fintantoché lo slancio legato alla ricostruzione ed all’impetuoso dissodamento di nuove terre vergini dal mercantilismo ha garantito possibilità di crescita per "tutti" i paesi -salva la polarizzazione tra la metropoli affluente che scoppia di capitali ed il mondo dei paesi dominati destinati, al meglio, allo sviluppo del "sottosviluppo"-; e fintantoché la triplogiochista Italia ha potuto utilizzare per sé la sponda dello schieramento "socialista" per farsi spazio nei continenti colorati; il Pci si è limitato a progressivi, lenti aggiustamenti al "centro" (il centro degli interessi imperialistici nazionali) della propria originaria ispirazione "anticoloniale". Ma da quando quella sponda ha ceduto di schianto e, sopratutto, è diventato chiaro che la continuazione di una crescita (stentata) nel Nord del mondo dipende dallo schiacciamento -anche bellico- delle masse sfruttate "di colore", il riformismo ha cessato ogni flirt con le stesse direzioni borghesi dei "movimenti di liberazione nazionale", e si è sempre più omogeneizzato con gli indirizzi e le iniziative della "nostra" borghesia e dell’imperialismo occidentale tutto (UE, NATO, ONU, etc.), segnalandosi non di rado per degli eccessi "estremistici". Del resto, per riconoscimento del ministro degli esteri Martino, la convergenza del Pds (ed in certi casi, vedi Slovenia, anche di Rifondazione!) sulla politica estera del governo Berlusconi-Fini è stata larghissima.

Questo ennesimo cambiamento (all’insegna della continuità del nazionalismo) non significa: il Pds è diventato la stessa cosa degli altri partiti borghesi. L’arruolamento toto corde della sua dirigenza nella catena delle aggressioni occidentali alle masse super-sfruttate del Sud ha pur sempre una motivazione particolare, legata al suo essere un partito borghese a base operaia: nasce dal terrore che possa venire a mancare quel tanto (per sempre meno che sia) di grasso che permetta una soluzione (peraltro, sempre meno) "equa" dei conflitti di classe qui. Social-sciovinismo, appunto: attivo sostegno agli interessi ed alle iniziative "esterne" del capitalismo nazionale (imperialista), combinato con, e finalizzato a, la difesa degli interessi immediati del proletariato. Senonché, più aumentano i giri di vite del torchio della crisi capitalistica, più la combinazione di queste due politiche risulta di difficile realizzazione, essendo evidente che il primato dell’interesse nazionale erode di continuo terreno alle più modeste rivendicazioni operaie.

Attacco interno, attacco "esterno": una sola cosa

In realtà, una realtà che il riformismo farà sempre più fatica ad occultare, l’attacco agli sfruttati del Terzo Mondo è una sola cosa con quello che la borghesia italiana (e le borghesie imperialiste) portano al "proprio" proletariato. Il cappio dei debiti, il crollo dei prezzi delle materie prime, le carestie, la decomposizione degli stati, le guerre, etc. deprimono il costo della forza-lavoro "colorata" e ne disperdono le fragili organizzazioni, sì da rendere altamente remunerativi gli investimenti occidentali in date zone del Sud del mondo? Se -come fa il riformismo politico e sindacale- si consente e implementa questi processi, essendo il mercato mondiale un sistema di vasi comunicanti, si ha voglia poi ad impedirne il ritorno negativo per i salari, le condizioni di lavoro e l’organizzazione operaia qui.

Davanti al carattere "diseguale e combinato" dell’attacco borghese, per la classe operaia della metropoli, non c’è che un modo efficace per difendersi: contrapporre ad esso una iniziativa internazionale ed internazionalista, volta a stringere a sé le classi sfruttate dei paesi dipendenti.

Arrivarci sarà tutt’altro che facile. Perché nei passati decenni anche il proletariato, e non soltanto il Pci-Pds, si è adattato progressivamente al capitalismo e alla logica capitalistica, diventando difesista nei confronti del "proprio" capitalismo. Classe nazionale, perché spera, difendendo la "propria" economia nazionale, il "proprio" paese, il "proprio" stato, di difendere sé stessa e perché teme che se date caratteristiche dell’"ordine mondiale", di cui l’Italia non è l’ultima ruota del carro, vengono minacciate, ne deriverà necessariamente un peggioramento delle proprie condizioni di esistenza. Teme, per l’appunto, di precipitare negli abissi di povertà e di bestiale oppressione in cui vivono i lavoratori del Terzo Mondo. E, come vorrebbe conservare -ma non può- il "consociativismo" e i meccanismi di concertazione della prima repubblica, così vorrebbe conservare l’attuale status quo mondiale -altro miraggio!- con le sue "briciole" (sempre più sbriciolate) per il proletariato metropolitano, curandosi ben poco del trattamento schiavistico riservato agli sfruttati del Sud del mondo, quasi si trattasse di cosa che non lo riguarda e lo penalizza direttamente, come invece è.

Internazionalismo, principio proletario di azione

Nella base proletaria del Pds (e di Rifondazione) l’infezione sciovinista non ha la virulenza e, sopratutto, l’incurabilità che ha nei vertici del riformismo. Ma si è comunque insediata in profondità. Tant’è che la classe operaia italiana ed europea stenta maledettamente a riconoscere nei proletari slavi, medio-orientali, islamici, neri, gialli, latinoamericani, e negli stessi proletari immigrati, i propri fratelli di classe. Semi-narcotizzato dalla droga del "benessere" metropolitano (peraltro assunta in modicissime dosi), avvolto nel fitto smog della propaganda sciovinista e social-sciovinista, il proletariato non riesce neppure a distinguerli dalle altre classi, né dalle loro attuali reazionarie rappresentanze politiche e "religiose", che l’Occidente insieme usa e demonizza. E nutre verso di essi, molto spesso, quei sentimenti di superiorità che il borghese dei paesi imperialisti ha nei riguardi del borghese di colore.

Il corso catastrofico delle contraddizioni capitalistiche sarà una ottima terapia contro questa infezione, a misura che farà sentire gli stessi proletari dei paesi ricchi sempre più dei cittadini di serie B, i "terzomondiali" del primo mondo, snebbiandogli la vista ed infrangendo la loro illusione di potere entrare nel "paradiso" piccolo-borghese, per spalancargli più concretamente le porte dell’inferno della disoccupazione, del lavoro nero, della fine del welfare state, etc. etc.

Da sola questa terapia (che il capitale stesso è costretto a porre in atto) non basterà di certo a risvegliare alla coscienza di classe internazionalista la classe operaia. Potrebbe, anzi, fungere da pungolo per far mobilitare i settori più amorfi del proletariato a sostegno della politica imperialistica nazionale e occidentale. Insostituibile e decisiva per la ripresa di classe è la battaglia del Partito (dell’organizzazione comunista, dei comunisti che lavorano per il Partito) volta a internazionalizzare la lotta e l’organizzazione del proletariato, ed in particolare a ritessere i fili unitari, al momento pressocché inesistenti, tra la classe operaia del "centro" e le masse super-sfruttate della "periferia".

Da dove si riparte? Abbiamo segnalato come primi positivi passi in questa direzione le iniziative del sindacato tedesco verso quelli croato e sloveno, e quelle del sindacato nord-americano nei confronti della situazione messicana, senza nasconderci che avvengono del tutto all’interno, per ora, di una logica social-sciovinista, e notando però come siano indicative del fatto che i conti del social-sciovinismo sono sempre più in rosso per la stessa classe operaia di casa nostra. Vent’anni di politica di "solidarietà nazionale" e la crescente aggressività nei confronti del Terzo Mondo non hanno fatto avanzare, bensì arretrare, e disordinatamente, la classe e il fronte di classe. Sarebbe ora di cominciare ad intenderlo e a reagirvi.

Il legame tra aggressione interna al proletariato ed aggressione "esterna" è così stretto che ogni attacco agli sfruttati del Terzo Mondo che lasciamo passare senza contrasto è un altro giro di vite, sia alle nostre cinghie che alle nostre catene. I bombardamenti su Panama, su Mogadiscio, su Baghdad, sulle postazioni serbe sono stati e sono altrettanti bombardamenti sui nostri "diritti" e sulle nostre postazioni qui. Gli iugulatori diktat del FMI e delle banche occidentali ai paesi colorati, a cui restiamo indifferenti, sono altrettanti nodi scorsoi intorno ai nostri stessi colli. Le manovre delle cancellerie occidentali che manomettono e fanno implodere le situazioni periferiche, manomettono al tempo stesso "invisibilmente" i rapporti di forza tra le classi anche al "centro" a sfavore della classe operaia. Le campagne di menzogne e di odio razzistico contro i moti di rivolta "anti-imperialista" delle "fanatiche" masse arabe ed islamiche sono altrettante campagne volte a stroncare sul nascere, all’interno delle metropoli, la lotta anti-capitalista delle classi sfruttate, che per i borghesi è per definizione "fanatica" in quanto cerca una via d'uscita alla decadenza storica del loro sistema sociale. E dunque: se per la borghesia il qui metropoli ed il "periferia" sono i due capi di una sola politica anti-proletaria, la stessa cosa deve valere per la lotta anti-capitalista del proletariato.

Non ci stancheremo perciò di importare nella massa dei lavoratori la necessità di dismettere ogni indifferentismo e ogni forma di appoggio all’interventismo imperialista, specie se mascherato da "aiuto umanitario" e da fasulla "esportazione della democrazia" nel Terzo Mondo (Somalia docet!) e di andare attivamente in soccorso agli sfruttati "di colore". Questo abbiamo imparato da Marx, da Lenin, da Bordiga essere compito essenziale dei comunisti.

Note

(1) cfr. L’Unità, 4.12.1993. Per non appesantire la lettura del testo, raggruppiamo qui le indicazioni dei numeri del giornale del Pds da cui abbiamo tratto le citazioni: per la Bosnia, i nn. del 6.8.1994 e del 19.11 e 26.11.1994; per l’Iraq, i nn. del 9.10 e 12.10.1994; per l’Algeria, i nn. del 30.9, 13.10 e 27.12.1994; per la Palestina, i nn. del 26.1o e 20.11.1994; per Cuba, i nn. del 20 e 24.8.1994.