Da Termoli, risalendo a Nord

La vicenda di Termoli ha una valenza tutt'altro che locale. Anche solo una rapida occhiata alla "cronaca sindacale" fornisce dei preziosi elementi in proposito.

Innanzitutto non è affatto vero che il "modello Termoli" sia legato alle particolarità del Mezzogiorno o a quelle della FIAT. Incoraggiati da Agnelli e in modo simile a lui si sono mossi altri industriali, e non solo al Sud ma anche al Nord. Per esempio in Toscana. Per far fronte a un "picco di mercato", a partire dal 1995 la Galli Filati di Prato (gruppo Benetton, 200 occupati) ha reintrodotto due turni di lavoro al sabato, in cambio di incentivi economici. La Piaggio di Pontedera ha proposto ai lavoratori un premio annuale di 500mila lire in cambio dell'introduzione di tre turni di otto ore al sabato e di altre flessibilità: l'innovazione sarebbe necessaria per far fronte alla concorrenza dei giapponesi e per sfondare sul mercato cinese.

Dalla Toscana verso la pianura padana: la musica non cambia. La Marzotto è riuscita a imporre nei suoi impianti di Valdagno e Piovene (1000 dipendenti su 8000 del gruppo) 4 turni al giorno di 6 ore dal lunedì al sabato, in cambio di un "premio" di 10mila per chi è in fabbrica nel fine settimana. La Carraro di Padova (650 occupati, pezzi per macchine agricole) ha ottenuto una turnazione simile a quella della Marzotto e, in più, il lavoro durante la tradizionale pausa festiva dal 27 al 30 dicembre, in cambio di un premio di 50mila al giorno e della promessa di "recuperare le ferie quando la produzione lo permetterà". LaSafilo di Padova (1800 occupati) ha strappato ai lavoratori 35 ore extra tra gennaio e febbraio "per far fronte alla domanda del mercato". Seguendo l'esempio della Sgs-Thomson nei suoi stabilimenti lombardi, la Zincocelere di Biella (gruppo Olivetti) ha detto di voler assumere una trentina di operai a patto che lavorino 12 ore al giorno nel weekend e altre 8 distribuite sugli altri giorni della settimana.

L'elenco potrebbe continuare. Già questi pochi esempi però indicano una realtà che i proletari conoscono molto bene. Oggi che la produzione torna a tirare e i bilanci ritornano attivi, il padronato non solo non riprende le assunzioni e non "compensa" alcuno dei sacrifici imposti a lavoratori e disoccupati durante la recessione, ma utilizza la ripresa produttiva per continuare a erodere le rigidità che la classe operaia ha conquistato con le lotte dei decenni scorsi. Le ragioni invocate sono le stesse di ieri, quelle di sempre: le ragioni della competitività e della conquista di nuove fette di mercato ai danni dei concorrenti. I ricatti buttati sul tavolo sono gli stessi di ieri, quelli di sempre: o questa minestra o giù dalla finestra, cioè il licenziamento per tutti e il trasferimento della produzione nei paesi o regioni ove gli operai sono più "malleabili".

Ma la classe operaia cosa ha ricavato finora dalla sua sottomissione alle leggi di questa giungla economica? Che ogni "secondo tempo" è diventato sempre il "primo tempo" di un nuovo futuro secondo tempo... Un sindacalista veneto, commentando un altro accordo tipo-Termoli alla Kelemata cosmetici di Noale e il malcontento di una parte delle operaie del reparto confezioni, ha detto: "E' vero che bisogna migliorare la distribuzione del lavoro per evitare lo stress... Ma dobbiamo esser concreti: difendere i diritti dei lavoratori, ma anche le realtà produttive e quindi i posti di lavoro". L'esperienza degli ultimi vent'anni non ha mostrato a sufficienza come le due cose marcino in senso divergente?

Ma la vicenda di Termoli non ha affatto una valenza locale anche per un'altra ragione. La FIAT ha già utilizzato l'arretramento che gli operai hanno subito in Molise come leva per trasferirlo in un suo stabilimento piemontese. Non si era ancora chiusa la vicenda di Termoli e la FIAT ha aperto le ostilità nella sua fonderia Teksid di Carmagnola. Per rispondere ad una commessa ottenuta dalla multinazionale inglese Lucas, l'azienda ha chiesto l'introduzione di turni lavorativi al sabato per tutti i 1300 operai dello stabilimento, con la contropartita di 150 nuove assunzioni e di un premio forfettario di mezzo milione lordo.

Davanti all'opposizione dei lavoratori, della RSU di fabbrica e della FIOM, i sindacati hanno presentato all'azienda una contro-piattaforma, nella quale chiedevano, tra l'altro, un maggior numero di assunzioni, una riduzione del nuovo 2° turno del sabato da 8 a 6 ore e la costruzione di una ulteriore linea produttiva così da poter far fronte in futuro alle domande di mercato con il ritorno alla tradizionale turnazione su 5 giorni. Forte dell'impossibilità per l'azienda di trasferire la produzione altrove (perchè altamente specializzata), la delegazione sindacale provinciale si aspettava di poter spuntare a Carmagnola condizioni completamente diverse da quelle subite a Termoli. E invece cosa è successo? Che l'azienda ha fatto pesare un ricatto di questo tipo (citiamo dalla Unità formato Veltroni...): "a Termoli i vostri segretari nazionali hanno accettato di fare l'accordo alle nostre condizioni. Non penserete che a voi possiamo dare di più...". Dopo varie settimane di negoziato si giunge all'accordo. "Non è un bell'accordo" commenta l'Unità del 26 gennaio. Lo approva il 58% dei lavoratori della fonderia.

Era proprio inevitabile subire il ricatto della FIAT alla Teksid? La disponibilità alla lotta che i lavoratori hanno manifestato nell'occasione non poteva proprio dare di più? Beh, se si circoscrive la propria battaglia localmente, se si accetta di subire la tattica della foglia di carciofo del padronato, se si continua a subordinare la difesa degli interessi operai (salute inclusa) a quella della salute delle aziende, allora sì, il nuovo passo indietro fatto a Carmagnola era inevitabile, ed è inevitabile che diventi la premessa per estendere la cosa ad altre Teksid e ad altre Termoli, su e giù per la penisola. Ma c'era e c'è un'altra possibilità. La classe operaia ha di nuovo mostrato in autunno di avere la capacità e la forza per farla diventare realtà. A condizione che..