25 aprile 1945-25 aprile 1995

BATTERSI CONTRO LA DESTRA CAPITALISTICA, MA SUL SERIO!

Indice

Cosa successe il 25 aprile 1945?


Anche quest'anno la sinistra ha chiamato a manifestare in occasione del 25 aprile. Anche quest'anno molti proletari e compagni, soprattutto a Milano, hanno raccolto questo appello e sono scesi in piazza. Non pochi tra di essi lo hanno fatto di nuovo perchè avvertono che un pericolo di destra è tutt'oggi presente e che ad esso va data una risposta senza tentennamenti.

Noi dell'OCI condividiamo appieno tale esigenza. Ed è per questa ragione che anche quest'anno abbiamo preso parte alle manifestazioni del 25 aprile: per appoggiare questa spinta e per indicare il punto di vista e i metodi attraverso cui la classe operaia può essere realmente vincente contro la destra capitalistica.

A tal fine non potevamo che partire dalla denuncia della bandiera all'insegna della quale si sono celebrate le manifestazioni: la bandiera della pacificazione nazionale e del superamento delle "antistoriche barriere" tra destra e sinistra. Su questo terreno abbiamo addirittura assistito ad una vergognosa competizione tra le varie città.

Una giornata antifascista molto... particolare.

A dare il via è stata la capitale del paese, Roma. Qui, nella mattinata, l'ex-capo partigiano Edgardo Sogno ha organizzato una cerimonia davanti all'altare della patria insieme ai giovani del Fronte della Gioventù, a vecchi combattenti repubblichini, a Fini, Previti e D'Onofrio. Milano, la "capitale della resistenza", non ha voluto rimanere indietro. Qui, il "popolo di sinistra" ha accolto nel corteo con simpatia e ringraziamenti quel Bossi che aveva cacciato lo scorso anno, e ha poi lasciato officiare la manifestazione ad un presidente della repubblica che negli anni Cinquanta era definito dall'ex-PCI uno scelbiano clerico-fascista.

E c'è mancato poco che Milano non facesse l'en plein: solo "per colpa" di un manipolo di "scalmanati", il corteo non ha potuto godere della presenza delle bandiere di Forza Italia. Ma niente paura, onorevole Pilo: abbi la pazienza di aspettare ancora un anno e vedrai che il "popolo della sinistra" apprezzerà anche te. Stavolta era troppo preso dal gusto dei sapori leghisti, non è vero compagni di Rifondazione? Ma a quando uno scatto d'orgoglio che riconosca e tratti i nemici di classe da nemici? E che dire, inoltre, della Napoli di Bassolino? Che dire del fatto che, in omaggio a Bossi, ha riscodellato la solita brodaglia leghista del "federalismo meridionalista" dietro l'etichetta di un "nuovo meridionalismo federalista"?

Ci risparmiamo i particolari delle iniziative delle altre città: Roma, Milano e Napoli hanno mostrato fin troppo bene che per essere una "festa antifascista", il 25 aprile non è riuscito affatto male! Lo rileviamo con disgusto e con allarme. E non perchè la cosa offende una data che noi, noi comunisti internazionalisti, non festeggiamo affatto come nostra (v. scheda a fianco). Lo rileviamo con allarme e disgusto perchè indizio della politica disarmante con cui la sinistra istituzionale intende sconfiggere l'offensiva di destra.

Per combattere la destra, si tresca con essa

Il ragionamento che viene fatto a sinistra suona più o meno così: in Italia la borghesia si sta dividendo fra un'ala "sovversiva e populista" e un'ala "costituzionale e moderata"; "come insegna la storia del movimento operaio", in questa situazione la classe operaia deve avere come obiettivo prioritario la salvaguardia della democrazia ("base per ogni ulteriore avanzamento"); deve quindi stringere un blocco con gli strati borghesi moderati contro la destra estrema, in modo da isolarla e neutralizzarla.

Una strategia del genere richiede che venga svolta un'opera di "convincimento" su due fronti: da un lato verso i capitalisti e i ceti medi, dall'altro verso la classe operaia. Quelli vanno convinti del fatto che gli interessi borghesi possono essere curati meglio in un clima di pacifica convivenza con la classe operaia e le sue attuali organizzazioni piuttosto che nello scontro con queste e con quella.

Ma il tanto corteggiato centro non si accontenta certo di platoniche dichiarazioni d'amore: si fa convincere solo se la sinistra sottoscrive e promuove i suoi interessi, il che comporta che essa "convinca" la classe operaia ad accettare i sacrifici richiesti dalle esigenze delle imprese e dai diktat dei mercati finanziari. Non solo: per far marciare questa prospettiva fino in fondo, i partiti di sinistra devono nel contempo sconfiggere nella classe operaia tutte quelle spinte e quelle posizioni che tendono a condurre anche solo una lotta meno inconseguente alla destra capitalistica.

Insomma: davanti alle "sberle" di quest'ultima e all'acuirsi dello scontro sociale, i D'Alema e i Garavini dicono al proletariato: porgi l'altra guancia (e picchia chi tra le tue fila accenna a reagire). Una volta incamminati su questa strada, è inevitabile fare delle manifestazioni del 25 aprile un'occasione per "superare gli odi e riconciliare gli animi", anziché per promuovere quell'ampia mobilitazione della classe operaia e dei lavoratori che rappresenta la condizione prima per sbarrare la strada sul serio alla svolta a destra in atto nella borghesia italiana (e non solo in questa). E' inevitabile arrivare a condannare quei proletari che il 25 aprile hanno cacciato il drappello di Forza Italia, anziché far leva su questa loro sana "intolleranza" di classe per infondere forza e determinazione alla battaglia difensiva del proletariato. Ed è inevitabile, infine, accompagnare l'attacco a questa "minoranza faziosa" con gli elogi al "ponderato" Fini, visto come utile sponda per "isolare" quello che sarebbe l'unico "vero pericolo" in circolazione: l'individuo Berlusconi.

A proposito di storia del movimento operaio

La "tattica" con cui la sinistra intende battersi contro la rinascente destra capitalistica è, nella sostanza, la stessa "tattica" che i capi socialisti alla Turati applicarono nei confronti del movimento fascista in ascesa. La tattica di far "alzare le mani" ai lavoratori davanti all'attacco del nemico di classe; di invocare e ricercare, fino alla fine, la "pacificazione sociale" non solo con liberali e popolari (forze anti-operaie da sempre), ma anche col fascista "moderato" Mussolini, considerato un interlocutore utile al fine di "isolare" il "vero pericolo" costituito dallo squadrismo. Si sa come finì: le tregue e il "patto di pacificazione" dell'estate 1921, paralizzando e dividendo il movimento proletario, spianarono la strada alla vittoria del fascismo che di tregue e di patti si fece beffe, e che fu astutamente favorito dal "centro" moderato e democratico di allora (dalla fisionomia incredibilmente simile a quello di oggi).

Al contrario di quel che va dicendo un Garavini, insomma, "la storia del movimento operaio ci insegna" che a portare la classe operaia al disastro fu proprio la ricerca dell'unità con i moderati democratici. Anche oggi questa tattica sta spianando la via allo stesso risultato. E' vero che essa ha contribuito a ristabilire un clima sociale "calmo" e a "isolare" il personaggio Berlusconi. E' falso, però, che questo momento di "calma" segni la scomparsa del pericolo del berlusconismo. Ne parliamo nell'articolo del giornale sulle elezioni amministrative. Qui ci limitiamo a ribadirne una delle tesi: per quanti sforzi possano fare, i dirigenti progressisti non riusciranno a riportare il conflitto di classe entro i "pacifici" binari dei decenni passati; in compenso riusciranno a smantellare il fronte di classe e a ostacolarne la riorganizzazione; la borghesia li ringrazierà, con loro grande sorpresa, con un bel calcio nel sedere. Al proletariato non farsi sorprendere!

Lo scontro è tra borghesia e proletariato

Il modo disfattista in cui la sinistra reagisce all'offensiva della destra di Berlusconi è l'inevitabile conseguenza di un'impostazione politica che non considera un Berlusconi come un prodotto inevitabile del capitalismo e della democrazia. Per essa il cavaliere è un folle, un assetato di potere, il quale, pur di realizzare i suoi desideri, non esita a spezzare le regole della civile convivenza borghese, che invece, se opportunamente riformate, permetterebbero il progresso e il benessere per tutte le classi, proletariato compreso. Noi sosteniamo l'esatto opposto: sono proprio queste regole e la loro piena affermazione a generare il berlusconismo; sono proprio le esigenze del capitalismo a generare la necessità di quella svolta a destra della borghesia, di quello stato forte e di quell'aggressione al proletariato che Berlusconi cerca di raccogliere e portare avanti.

Lo scontro che si è aperto non è, quindi, tra democrazia e antidemocrazia, come ritengono i dirigenti progressisti. Lo scontro è tra borghesia e proletariato. In questo scontro i vari strati della borghesia possono anche entrare in contrasto tra loro, ma solo sui modi e sui tempi con cui far la pelle all'orso proletario. La classe operaia può oggi difendersi dall'ala "dura" del suo avversario e riscatenare domani la necessaria riscossa solo se la lotta contro la destra capitalistica estrema la conduce sulla base delle sue forze, facendone un elemento del processo di rafforzamento e maturazione dell'esercito proletario nella sua lotta complessiva contro tutta la classe borghese e il capitalismo.

Questo non significa che la classe operaia non abbia davanti a sé il problema di sfruttare le divisioni dell'avversario e di impedire che il malcontento dei ceti medi suscitato dal corso e dalla crisi del capitalismo venga utilizzato contro il proletariato per puntellare il sistema capitalistico stesso. Questi problemi, però, possono essere affrontati solo se la classe operaia sa battersi contro la destra sulle proprie posizioni e dà prova di essere capace di condurre la società su una nuova via, con la forza e la sicurezza dell'azione rivoluzionaria. Solo se, ad esempio, invece di dialogare con la Lega e i suoi principi federalisti, si oppone alla politica di Bossi un'altra politica, una politica che indichi l'unica via d'uscita esistente alle contraddizioni generate dalla società capitalistica (e irrisolvibili al suo interno). Una politica classista e centralizzatrice al massimo grado.

Ritorno al passato? No, ...

Tentare invece di difendersi dalla destra difendendo il capitalismo e la sua democrazia conduce inevitabilmente alla rincorsa di quella disastrosa (per il proletariato) pacificazione nazionale che ha animato le manifestazioni del 25 aprile. I militanti proletari più coscienti nutrono più di una perplessità sull'efficacia di questa politica e cercano, in vari casi, di reagire alle sue conseguenze più penalizzanti sulla classe operaia. Lo hanno fatto anche il 25 aprile, scuotendo la testa davanti alla riappacificazione con gli ex-missini e al silenzio fatto calare sulle tematiche operaie. Questi sforzi, però, non possono divenire realmente efficaci se continueranno a far uso di un'arma politica spuntata, qual è quella costituita dal richiamo ai valori della Resistenza. La riconciliazione di oggi, infatti, con tutte le sue conseguenze, era già contenuta nella guerra civile di ieri e nel patrimonio genetico della resistenza, giacché essa era finalizzata allo stesso obiettivo che spinge oggi la sinistra alla ricerca della pacificazione: l'obiettivo di far rinascere la nazione.

E' vero che nella resistenza si esprimeva anche, nella azione dei gruppi di proletari armati, "il tentativo di una rivincita di classe". Questa spinta però poteva esprimere tutte le sue potenzialità solo se avesse spezzato i ferrei vincoli che le imposero l'imperialismo anglo-americano e le classi sfruttatrici italiane, il che non poteva avvenire senza fare contemporaneamente i conti con l'antifascismo di Togliatti che quei vincoli fece propri e rafforzò(1).

Allo stesso modo oggi i militanti proletari più coscienti che avvertono i disastri che sta producendo (e che produrrà) l'anti-berlusconismo progressista, sono chiamati a fare i conti con i suoi fondamenti programmatici. Solo così si potrà attrezzare il proletariato alle tempeste che seguiranno alla "quiete" di questi mesi e da essa preparate.

...ritorno al futuro!

Alla vigilia della celebrazione del 25 aprile Agnelli ha consegnato un premio al cosiddetto "filosofo della sinistra", Norberto Bobbio, con l'augurio che cadano definitivamente quelle barriere tra fascismo e comunismo che hanno così negativamente caratterizzato la storia italiana del XX secolo.

La pacificazione nazionale celebrata il 25 aprile apre, però, la strada esattemente alla cosa opposta, e cioè allo scontro radicale tra proletariato e borghesia. Uno scontro che non sarà combattuto a colpi di fioretto, di dichiarazioni sagaci e di cortesie cavalleresche, ma a colpi di forza sull'unico terreno su cui la storia pone vicende di questo tipo: quello della lotta di classe. Uno scontro di cui abbiamo avuto già qualche avvisaglia nell'autunno del '94, come anche nelle manovre che lo hanno preceduto e preparato. Uno scontro la cui posta in gioco sarà alla fin fine la stessa degli anni Venti: la barbarie capitalista oppure la rivoluzione socialista.

Uno scontro che sin da oggi ci chiama a fare i conti con un martellamento continuo delle postazioni proletarie da parte di tutti i settori della borghesia, estremi e moderati. Il proletariato non può farvi fronte guardando all'indietro o, peggio, sperando di indurre l'avversario alla moderazione mostrandosi remissivo e passivo. Deve affrontare la sfida con coraggio, sullo stesso terreno su cui la lancia la borghesia, nell'unico modo possibile: opponendo forza a forza, classe a classe, organizzazione a organizzazione.


Cosa successe il 25 aprile 1945?

Crollò il regime mussoliniano, che per un ventennio aveva duramente oppresso la classe operaia e la massa contadina, con il sostegno dei liberali e della Chiesa, per conto della classe capitalistica. Ma, contestualmente, nacque una democrazia borghese che nel tutelare, con il sostegno degli USA e della Chiesa, le classi sfruttatrici e parassitarie di contro ai lavoratori, non è stata da meno del fascismo. Una democrazia così poco antitetica al defunto regime, che, appena sorta, si affrettò a disarmare le formazioni partigiane e a legalizzare il "riarmo" di un partito neo-fascista, che le ha reso ottimi servigi parlamentare ed extra-parlamentari.

E' per questo che il 25 aprile non può essere considerata, dai comunisti e dai proletari dotati di piena coscienza di classe, come una nostra data da commemorare.

E la maggiore libertà di movimento e di organizzazione per la classe proletaria seguita all'aprile del '45 ve la dimenticate? Per niente! Solo che non ce l'hanno regalata né i padroni divenuti improvvisamente "antifascisti", né la DC, né la costituzione democratica e tantomeno i "liberatori" anglo-americani: ce la siamo conquistata sul campo, e, non illudiamoci, la preserveremo dagli attacchi del capitale e delle destre figlie della prima repubblica, solo fino a quando sapremo difenderla sul campo, con la nostra forza di classe organizzata e militante.


Nota

(1) Per un bilancio politico più dettagliato della Resistenza e dell'antifascismo di Togliatti, v. l'articolo "Il 25 aprile di ieri e di oggi" pubblicato nel n. 31 di che fare.