Delizie del capitalismo del duemila

LO SFRUTTAMENTO DEI PROLETARI BAMBINI

Indice


Iqbal Masih

Sui giornali del 19 aprile scorso c’era un articoletto di un paio di colonne che parlava di un assassinio avvenuto in Pakistan, vicino Lahore. L’assassinato si chiamava Iqbal Masih. Era un proletario. Un fior di proletario, di soli dodici anni. Cominciò a lavorare, ci dicono, a quattro anni. In una fornace di mattoni. Poi, per ripagare un debito, la sua famiglia lo vendette al padrone di una fabbrica di tappeti. Qui ha vissuto incatenato ad un telaio per circa sei anni. Guadagnava una rupia al giorno (55 lire). Il suo padrone vantava un credito di 13.000 rupie...

Iqbal si era liberato dalla schiavitù all’età di dieci anni. Da quel momento era diventato un attivista del "Fronte di liberazione dal lavoro minorile". Il portavoce di questa organizzazione ha detto: "Non potete immaginare quanto fosse coraggioso. Grazie a lui abbiamo liberato migliaia di bambini". In Pakistan, infatti, uno dei paesi islamici preferiti dall’Occidente, i bambini sfruttati sono almeno 6 milioni. Lavorano nelle fabbriche tessili, di laterizi, in agricoltura, come inservienti.

I bravi uomini bianchi -quelli della deregulation selvaggia- avevano notato il talento di Iqbal. La Reebok, la multinazionale yankee di articoli sportivi, gli aveva assegnato perfino un premio. 15 mila dollari perché studiasse in una università statunitense. Da grande. Chissà, avrebbe messo la testa a posto. I bravi uomini bianchi ne avrebbero fatto un fiore all’occhiello. Un avvocatino. Un testimonial d’eccezione, si dice così? L’Asia è un così gran mercato in espansione...

I soci pakistani dei bravi capitalisti bianchi l’hanno pensata diversa. Meglio premiarlo subito, da piccolo, con una raffica di piombo. E’ stata la "mafia dei tappeti", dicono i giornali. Sono stati gli "schiavisti" del Pakistan moderno. L’una e gli altri parte -questo non lo dicono- di quella grande mafia schiavista moderna che è il capitalismo mondiale. Che divora ogni giorno -nelle officine e nei campi- la vita di milioni e milioni di bambini del proletariato.

Cento, duecento milioni di Iqbal

Quanti siano nel mondo i proletari bambini sfruttati dal capitale non è sicuro.

Tre fonti che hanno alte benemerenze umanitarie in questo campo, ci danno tre stime diverse. L’Unicef -l’organizzazione dell’ONU per l’infanzia, che faceva produrre le proprie magliette ed i propri palloncini colorati con scritte a difesa dell’infanzia, proprio in Pakistan, in fabbriche che impiegavano minori (c’è un filmato dell’americana ABC in proposito)- parla di 100 milioni di bambini "sfruttati come schiavi". L’Organizzazione internazionale del lavoro -celebre per la sua sistematica negazione delle infamie del capitalismo- si fermava, prudenzialmente, fino a qualche anno fa a 50-80 milioni, ma ha di recente rivisto la stima al rialzo. La Cisl internazionale (Icftu) -forza di prima fila nella denunzia di Cuba, il solo paese dell’America Latina che non conosca, finora almeno, l’orrore dei ninos de rua- dà una stima più verosimile: tra i 100 e i 200 milioni. Il che significa: dal 10 al 25-30% della massa totale del proletariato mondiale è oggi, anno 1995, composta da bambini!

Tanto basti per saggiare di quale grana è fatta la "scienza sociale" borghese che pretende d’aver invalidato Il capitale, monumento di autentica scienza sociale rivoluzionaria, con il risibile argomento: Marx parlava del capitalismo ottocentesco, che era soltanto una forma iniziale, un pò primitiva, di capitalismo. Acqua passata, insomma, acqua passata. La risposta a questi bari da suburra la diede già, una volta e per tutte, la Luxemburg, parlando delle crisi: (troppo) prevennero i tempi Marx ed il marxismo, descrivendo il capitalismo come è e, sopratutto, come sarebbe diventato. Né diversamente poteva essere: proprio delle forze rivoluzionarie è antivedere. E quanto alla barbarie, aggiunse (senza aver visto la prima guerra mondiale, la seconda, il nazismo, l’Indocina e il mondo arabo martoriati dalle democrazie imperialiste, la putrefazione sociale e morale dei nostri giorni, etc.), poca cosa sarebbe apparsa quella dell’accumulazione originaria europea rispetto a ciò che il capitalismo decadente avrebbe provocato nell’universo mondo. Che sia esattamente così, lo testimoniano ormai le stesse istituzioni preposte dall’ipocrisia borghese a versar lacrime sulle vittime del capitalismo.

Ma torniamo alla questione "particolare".

Nel Terzo Mondo

E’ scontato che la gran parte di questi sfruttati bambini sta nel Terzo Mondo. Non perché lì siano più crudeli per natura, né i genitori, e neppure i padroni. Ma per una coazione esercitata dalle condizioni sociali (sulle famiglie proletarie), e dalla collocazione di questi paesi nella divisione internazionale del lavoro (sui capitalisti). Ad esercitare questa doppia coazione è la "potenza sociale", il capitale, che Marx personifica come un vampiro che vive succhiando senza posa lavoro e sangue umano. Il capitale "maturo", civilizzato, democratico, novecentesco, anzi: alle soglie del terzo millennio.

Il mercato mondiale -quello cui D’Alema e gli anti-berlusconiani del Tg3 si genuflettono mattino, mezzogiorno e sera- è il terreno della concorrenza sempre più aspra e spietata tra capitali e capitalismi. In questa competizione i capitalisti dei paesi colorati partono da dietro. Svantaggiatissimi rispetto a quelli dei paesi che già hanno attinto un alto grado di industrializzazione e di centralizzazione del capitale. Svantaggiati in tutto, dispongono anch’essi, però, di un asso nella manica: una quantità impressionante di forza-lavoro a basso, bassissimo costo. E questa carne umana viva, che spesso è quella dei bambini, immettono a ciclo continuo nei forni crematori ("Buchenwald è il capitalismo!") della produzione mercantile. E’ il solo modo che hanno per abbassare i costi di produzione, come la legge della contabilità aziendale capitalistica detta. Abbassamento che frutta magnifici profitti sia ai capitalisti schiavisti del Terzo Mondo, sia a quelli della metropoli imperialista, più "civili" e perciò più briganteschi ancora di quelli.

Ha scritto un poeta latino-americano:

"Per abbassare i costi di produzione, i paesi poveri hanno bisogno di braccia operaie sempre più obbedienti e a basso costo.
"Perché le braccia operaie siano sempre più obbedienti e a basso costo, i paesi poveri hanno bisogno di legioni di carnefici, torturatori, inquisitori, carcerieri e spie.
"Per mantenere e armare queste legioni, i paesi poveri hanno bisogno di prestiti dei paesi ricchi.
"Per pagare gli interessi dei prestiti sommati ai prestiti, i paesi poveri hanno bisogno di aumentare le esportazioni.
"Per aumentare le esportazioni, prodotti maledetti, prezzi condannati a caduta perenne, i paesi poveri hanno bisogno di abbassare i costi di produzione.
"Per abbassare i costi di produzione, i paesi poveri hanno bisogno di braccia operaie sempre più obbedienti e a basso costo.
"Perché le braccia operaie siano sempre più obbedienti e a basso costo, i paesi poveri hanno sempre più bisogno di legioni di carnefici, torturatori, inquisitori...".

Quale forza-lavoro può essere più obbediente ed a basso costo dei bambini? Lo sapevano bene i capitalisti europei dell’800. Ora è "sapienza" comune dei capitalisti d’ogni continente.

L’altra grande forza "impersonale" di coazione è la povertà. La povertà capitalistica. Prodotta non dalla mancanza di capitalismo, bensì dallo sviluppo (diseguale e combinato) del capitalismo mondiale. Se, nel Terzo Mondo, 2 miliardi di essere umani soffrono la fame; se ogni anno vi muoiono di fame o di malattie provocate da malnutrizione 13 milioni di bambini; se più di 5 milioni di bambini l’anno vi nascono con gravi difetti intellettivi dovuti alla malnutrizione delle mamme; ci si può forse meravigliare che milioni di proletari arrivino a "vendere" i propri piccoli a degli imprenditori-macellai onde cercare di "arrotondare" un pò bilanci familiari da stenti?

Stupro etnico

Pare incredibile, ma può capitare anche di peggio che finire a quattro anni in fabbrica. E’ finire a 6-7 anni in un bordello, sfruttati dai laidi mercanti, intraprenditori, capitalisti del sesso. Questa peggior sorte è riservata per lo più alle donne, anzi: alle bambine proletarie o contadine. Anche se, forse per rispettare l’eguaglianza delle opportunità, è in forte espansione pure la prostituzione infantile maschile.

Interi paesi del Terzo Mondo, e in specie dell’Asia, Thailandia e Filippine in testa, sono stati trasformati in grandi casini, per il sollazzo dei week-end dei bravi uomini bianchi, ottimi "padri di famiglia". Nella sola Thailandia, almeno 200.000 piccoli sono coinvolti nel giro della prostituzione; nell’insieme, milioni e milioni. E’ il bestiale stupro etnico, dei corpi e degli "animi" che il Nord imperialista del mondo pratica quotidianamente ai danni delle popolazioni di colore del Sud, delle loro donne, dei loro bambini. Per denunciare il quale non si trova, naturalmente, né tempo né spazio sulla stampa libera ed indipendente.

E che dire, poi, delle migliaia e migliaia di bambini del centro-America e dell’Est rapinati, pardon "adottati" (e spesso da piissimi istituti religiosi), dall’Occidente per privarli di questo o quell’organo da trapiantare a qualcuno dei "nostri"? o dei bambini, delle medesime provenienza, che vengono sfruttati come vettori di droga e di plutonio?

Nel primo mondo

Nello stesso ricco Nord del mondo, l’atroce fenomeno dello sfruttamento capitalistico dei bambini, o dei minori, è tutt’altro che un ricordo del passato. Trascriviamo dall’opuscolo del Comitato Unicef per l’Italia, I bambini e il lavoro:

"Per smentire il diffuso pregiudizio che il lavoro minorile riguardi esclusivamente i paesi con economie ‘arretrate’, può bastare un solo esempio, quello degli Stati Uniti d’America. Nel 1985, il sindacato dei lavoratori agricoli americani (United Farmworkers Union) ha denunciato che centinaia di migliaia di bambini lavorano nelle grandi aziende agricole. Uno studio realizzato nel 1990 dal General Accounting Office segnala un aumento del 250%, tra il 1983 e il 1990, delle infrazioni alle leggi sul lavoro dei minori".

Ma l’Italia non è da meno. La recente, casuale scoperta (i carabinieri vi cercavano armi!), di un laboratorio a Francavilla Fontana, in cui ragazzine anche al di sotto dei 14 anni venivano torchiate in condizioni di semi-schiavitù per 8-10 ore al giorno, sei giorni la settimana, per una paga di 300-480.000 lire, producendo per le "grandi firme" del made in Italy, ha fatto riparlare un pò della questione. I "brillanti risultati" dell’export tessile, calzaturiero, etc. italiano si devono anche al sudore di queste semi-schiave tenute alla frusta da un padroncino che si vanta di averle beneficate. E di non poche altre, sembra, se è vero che al 1994 erano almeno 350.000 i lavoratori-minori al di sotto dei 14 anni.

Del resto, competere si deve, comanda il dio-mercato. L’imprenditore pakistano può competere con quello occidentale solo schiavizzando i "suoi" operai. Ha dovuto, poverino, far assassinare Iqbal non perché gli piacesse il sangue, ma perché col suo esempio e la sua azione gli rovinava gli affari. A sua volta, l’imprenditore occidentale, dovendo guardarsi dall’incalzare delle tigri asiatiche e dei paesi poveri in genere, ha bisogno di abbassare di continuo il costo della forza-lavoro, di munirsi anch’esso di "braccia sempre più obbedienti e a basso costo". Egli, credetelo, porterebbe i "suoi" operai e le "sue" operaie finanche in paradiso, se potesse; i suoi concorrenti, però, lo strangolano, ed egli non può far altro, allora, che serrare le mani intorno al collo delle "sue" maestranze. Ergo... Più si andrà avanti, più -se lasceremo fare ai capitalisti- si tornerà "indietro". A forme di sfruttamento "primitive", che si volevano superate per sempre e che superate, invece, non sono affatto.

Denunciare cosa, a chi?

E’ una tendenza generale, sia internazionale che locale, che chiama il proletariato a reagire e ad agire. Diciamo il proletariato, e non l’ONU, l’Unicef, i governi borghesi, il Parlamento, le Chiese, i carabinieri, e chi più ne ha più ne metta. Perché non ha alcun senso domandare ad istituzioni complici, o tutrici, dello sfruttamento capitalistico, di muoversi contro un sistema sociale in cui invece si riconoscono pienamente.

Già perché, come abbiamo visto, battersi contro lo sfruttamento dei proletari bambini -in qualsiasi forma esso si realizzi- equivale a battersi contro una fonte di profitti essenziale per la classe capitalistica a cui questa non rinuncerebbe certo volentieri. E sarà una guerra sociale durissima. Come fu nell’800. E come l’assassinio del nostro compagno di lotta Iqbal ci rammenta.

Una guerra i cui compiti dovranno essere assunti "in solido" da tutto il proletariato. E che non potrà non avere per obiettivo ultimo -al di là e entro le singole battaglie volte a conseguire utili risultati immediati, da nessuna delle quali ci si deve ritrarre- quello dell’abbattimento del sistema sociale capitalistico. O si può credere davvero che a cambiare la situazione basterà qualche "sereno appello" progressista per convertire il capitale ad essere un pò più "umano" con i piccoli?