La nostra attività

Alla festa nazionale di Liberazione

Dal 29 giugno al 16 luglio si è svolta a Milano la festa nazionale di Liberazione. L’OCI è intervenuta in alcune delle iniziative politiche organizzatevi da Rifondazione. Questo nostro intervento non è stato un'estemporaneità. Sin dai tempi della Bolognina, abbiamo svolto un’iniziativa politica verso i militanti proletari di Rifondazione con l’intento di incoraggiare e indirizzare il loro sforzo di opporsi alla deriva di Occhetto-D'Alema. Lo svolgimento della festa di Liberazione ha non solo rivelato una volta di più questo sforzo generoso, ma ha mostrato che esso preme per rafforzare l'organizzazione militante di partito e dotarla di uno strumento a tal fine indispensabile, il giornale di partito. Questo "indurimento" organizzativo si è manifestato anche in una certa blindatura nei confronti del nostro intervento, costringendoci a diffondere volantini e giornale al di fuori del recinto della festa. Per quanto paradossale possa apparire a qualcuno, vediamo in questo comportamento nei nostri confronti un dato positivo, in quanto esso nasce dalla giusta preoccupazione dei militanti proletari di Rifondazione di dare alla classe operaia un'organizzazione politica ben distinta da quella delle altre classi e di delimitarla secondo netti confini. Il problema è: dove tracciare i confini? Rispetto a cosa e a chi blindarsi? Da questo punto di vista il Prc va nella direzione giusta oppure è altra la strada da imboccare? Anziché piagnucolare per la limitazione degli spazi democratici a "sinistra", la nostra organizzazione ha cercato di stabilire una discussione politica con i militanti proletari del Prc su questi nodi, gli stessi intorno a cui abbiamo tessuto la tela del nostro complessivo intervento politico nella festa di Liberazione.

Non siamo stati presenti solo in occasione dell'iniziativa più gettonata, il comizio conclusivo di Bertinotti, quando abbiamo diffuso un volantone e la nostra stampa. Abbiamo diffuso un volantino sulla guerra nella ex-Jugoslavia in occasione del dibattito inaugurale dedicato a questo tema (nel corso del quale siamo poi anche intervenuti). Nella serata in cui si è svolto il dibattito con Ben Bella sulle relazioni Nord-Sud abbiamo distribuito un volantone dal titolo: "Quale lotta contro l'oppressione del Sud del mondo?". Siamo infine intervenuti al dibattito sul tema degli embarghi contro alcuni paesi del Sud del mondo e a quello sull'immigrazione.

L'insistenza del nostro intervento sulle questioni internazionali non è stata casuale. Crediamo infatti che la classe operaia italiana ha necessità, anche solo per impostare un'efficace difesa immediata, di darsi un'orizzonte "ideale" e di azione internazionale. Si tratta di un punto vitale. Eppure su di esso l'avanguardia della classe operaia sconta un ritardo pericoloso. Anche quella che fa riferimento a Rifondazione. Basti dire che i dibattiti sulle questioni internazionali (a eccezione di quello con Ben Bella di cui diremo in seguito) hanno visto una partecipazione così scarsa che gli stessi compagni del Prc presenti ne sono rimasti (giustamente) molto preoccupati. Come superare in avanti questa difficoltà dei lavoratori e della parte più cosciente di essi? Ecco la domanda su cui abbiamo incentrato i nostri interventi, partendo, come al solito, dalle riflessioni che lo stesso scontro di classe sta generando al riguardo nei militanti proletari più avanzati.

Non pochi fra di essi hanno notato che l'attacco del governo italiano sulle pensioni è stato "consigliato" da quello stesso organismo, il FMI, che ha ridotto alla fame interi continenti. Diversi compagni hanno inoltre convenuto che il nuovo ordine mondiale, con i suoi embarghi e i suoi bombardamenti chirurgici, è una tenaglia che schiaccia non solo il Sud e l'Est del mondo, ma anche la classe operaia dei paesi occidentali. Insomma una parte della base militante di Rifondazione comincia a percepire che il "qualcosa" che attacca i lavoratori di qui è una rete mondiale di interessi e di organismi cui va data una risposta alla stessa scala.

Rifondazione però non indica il modo in cui costruire questa risposta e non vede l'unico soggetto che può esserne protagonista: la classe operaia dei paesi d'Occidente in unità di lotta e di organizzazione con le masse lavoratrici dei paesi oppressi e/o dominati dall'imperialismo. Il Prc sogna che gli squilibri e le ingiustizie nelle relazioni internazionali possano essere superati grazie all'intervento di un'ONU democratizzata o di un governo italiano che abbia recuperato la propria dignità nazionale dagli USA. "Come se -abbiamo scritto in un volantino distribuito alla festa- le pretese di dominio delle grandi potenze derivassero dalla cattiva volontà di qualche governante e non dalle leggi di funzionamento del capitalismo internazionale. Come se queste leggi potessero essere superate con le prediche e gli appelli agli uomini di buona volontà invece che coll'unico mezzo della violenza rivoluzionaria degli oppressi contro la violenza contro-rivoluzionaria degli sfruttatori.".

L'inseguimento di queste chimere non è solo illusorio ma anche disfattista, poiché porta Rifondazione a rifiutare il pieno e incondizionato appoggio alla lotta dei paesi oppressi e/o dominati dall'imperialismo che vengono, semmai, invitati a non resistere... se non nello spirito e ad aspettare la loro liberazione dalla riconversione democratica dei loro oppressori. Deve averlo percepito anche un Ben Bella che, per effetto del clima esistente in sala durante il dibattito sul rapporto Nord-Sud, si è sentito in dovere di scusarsi per il fanatismo delle masse arabo-islamiche. Certo, è giusto tenere i piedi per terra e rendersi conto che la lotta o la resistenza antimperialista è nella mani di direzioni nazionaliste e integraliste, come accade ad esempio nella ex-Jugoslavia e in Algeria: ma i comunisti cosa devono "rimproverare" a queste direzioni? Da cosa dipende il fatto che le masse sfruttate e diseredate affidino a esse la loro ribellione contro l'Occidente? Da fattori interni all'Algeria, al popolo serbo, ecc., oppure dalla lunga depressione politica in cui, complice lo stalinismo, è caduto dopo gli anni venti il proletariato internazionale e quello delle metropoli innanzitutto? E attraverso quali passaggi si può ricostituire quel fronte internazionale tra la classe operaia dei paesi "ricchi" e le masse lavoratrici dei paesi "poveri" che solo può tagliare le unghie all'imperialismo?

Nel nostro intervento abbiamo cercato di sollevare questi problemi, mirando a mostrare che per opporsi realmente alla politica social-sciovinista del Pds è necessario spezzarne la logica di fondo, quella che lega il destino della classe operaia a quella del proprio capitalismo nel mondo. Ed è proprio da questa logica che Rifondazione non vuole e non può sganciarsi. Per essa il punto di riferimento rimane l'Italia, il "nostro paese", la nazione. Il che la condanna all'impotenza non solo sul terreno dell'iniziativa internazionale, ma anche su quello della battaglia contro l'attacco della borghesia nostrana ai lavoratori italiani.

Nei dibattiti sulla situazione politica e sindacale italiana, più volte, i dirigenti e i militanti di Rifondazione hanno attribuito giustamente la causa del "ribaltone" del movimento d'autunno alla subordinazione dei vertici sindacali al progetto politico del centro-sinistra. Cosa se ne fa derivare, però? La necessità di battersi per subordinare l'azione immediata del proletariato a un'altra politica, a una politica rivoluzionaria? Neanche per sogno. Rifondazione non vuole compiere il misfatto di cui si sono macchiati i dirigenti del Pds: come partito non vuole imporre niente al movimento sindacale, che deve tornare a battersi per una politica redistributiva dei redditi (cioè per quel maquillage riformista di cui lo stesso Bertinotti afferma non esistere più le condizioni oggettive!). La conseguenza di ciò? La consegna del movimento delle lotte proletarie alla linea riformista del minimo sforzo che conduce a quel peggio che i militanti del Prc vogliono evitare.

A questi militanti abbiamo detto e diciamo con franchezza: a misura che i nodi posti dallo scontro di classe si fanno più stringenti, si avvicina l'aut-aut che voi avete davanti: o continuare la rincorsa del garavinismo che rincorre D'Alema che rincorre la liberaldemocrazia; oppure invertire la rotta e avviare un lavoro di chiarificazione politica e organizzativa che si ricongiunga con il comunismo dell'Ottobre. Il destino del Prc come partito politico è, a nostro avviso, segnato, lo diciamo senza diplomatismi. Diverso è il discorso per la sua base militante. A questo proposito così chiudevamo il volantone distribuito al comizio di chiusura della festa di Liberazione:

"E' troppo sperare che dalle fila del Prc si sollevi difronte alla deriva del loro partito un moto di ribellione e uno sforzo di ripensamento teorico-programmatico e organizzativo verso il comunismo autentico?

E' quello per cui come OCI abbiamo lavorato in passato e in occasione delle iniziative legate alla festa nazionale di Liberazione. E' quello per cui continueremo a lavorare con coerenza e continuità, con il massimo di organizzazione possibile delle nostre esigue forze, nella prospettiva della ricostituzione del vero partito comunista mondiale."