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LA NOSTRA ATTIVITA''


Nell’autunno appena trascorso la nostra organizzazione è stata impegnata innanzitutto nella lotta contro l’aggressione imperialista nei Balcani. La nostra attività ha costantemente mirato a un obiettivo ben preciso: incoraggiare, promuovere e indirizzare l’organizzazione di quei ristrettissimi settori della parte più avanzata del proletariato che hanno manifestato la volontà di "fare qualcosa" contro l’aggressione occidentale.

Non abbiamo fissato quest’obiettivo a casaccio o sulla base dei nostri desideri, ma a partire dalla situazione registrata durante i bombardamenti della NATO. Essa può essere descritta in questi termini. C’è un salto nell’offensiva imperialista. Invece di reagire contro di esso, la classe operaia occidentale rimane indifferente o è addirittura acquiescente. Solo alcuni elementi di settori limitatissimi del proletariato militante sentono l’esigenza di rispondere all’imperialismo e una parte di essi, sotto la spinta di quest’esigenza, manifesta una certa attenzione ad alcuni aspetti della nostra posizione, in particolare alla nostra denuncia del vero responsabile e profittatore della guerra nella ex-Jugoslavia, cioè l’Occidente.

Abbiamo considerato la disponibilità di questi militanti proletari un prezioso coefficiente per impostare un’azione di classe. Abbiamo perciò cercato di indicare il tipo di lavoro che oggi, secondo noi, è necessario portare avanti a tal fine: un intervento (su una linea di classe) verso l’unico soggetto che può trovare una via di uscita alla tragedia jugoslava, e cioè verso quella massa proletaria che al momento, nel migliore dei casi, vi guarda come a cosa a sé estranea. Non ci siamo limitati a declamare la necessità di questo tipo di lavoro. Abbiamo cercato di indicare e di contribuire a realizzare le condizioni che lo rendessero possibile. Prime fra tutte l’organizzazione e la centralizzazione delle forze disponibili a muoversi contro l’invio delle truppe NATO in Bosnia, la tessitura paziente di una rete di collegamento fra il proletariato occidentale e quello balcanico.

Come dicevamo all’inizio, la nostra attività ha mirato costantemente a questo obiettivo: ad esempio con l’assemblea nazionale che abbiamo organizzato il 28 ottobre alla Camera del Lavoro di Milano (assemblea ben riuscita da questo punto di vista, anche per quanto è emerso da alcuni interventi slavi che hanno testimoniato l'esistenza al di là dell'Adriatico di spinte che non solo si richiamano allo jugoslavismo, ma tentano di proiettarsi oltre i loro confini verso il proletariato occidentale); o anche, dopo quest’assemblea, con la sollecitazione rivolta agli organismi e ai compagni con cui eravamo entrati in contatto affinchè si organizzasse la preparazione della battaglia contro l’intervento italiano e occidentale in Bosnia. Diverse le spinte che si erano nel frattempo attivate in questo senso e che si sono messe in moto in seguito. Le consideriamo tutte positive e importanti. Non solo quelle in cui siamo attivamente presenti (come è il caso del coordinamento veneto e del comitato per il ritiro delle truppe recentemente nato a Napoli). Ma anche quelle che si stanno svolgendo all’esterno e indipendentemente dalla ristrettissima cerchia in cui operiamo.

Consideriamo ad esempio positivo il fatto che nel coordinamento delle RSU si sia aperto un dibattito sulla guerra nei Balcani: esso potrà essere di stimolo per un’area più allargata del sindacalismo italiano, e noi cercheremo di dare il nostro contributo in tal senso. Così come consideriamo positiva la pressione che diversi militanti di Rifondazione hanno cominciato ad esercitare nel loro partito, affinchè esso la finisca di opporsi solo a parole alla decisione del governo: questa pressione contribuirà a mettere a nudo agli occhi dei militanti proletari di Rifondazione i nodi politici che devono essere affrontati per evitare che anche in futuro continui a rimanere paralizzata l’iniziativa politica contro l’intervento NATO in Bosnia. Il che sarà un’esperienza altamente istruttiva, a cui noi, dall’esterno, non mancheremo di dare il nostro sostegno, affinché essa non lasci il campo allo scoramento e allo sfilacciamento (che è esattamente quello che prepara Rifondazione come partito), ma a un di più di chiarificazione politica e a un di più di organizzazione politica.

L’attività organizzata e quanto più centralizzata dei compagni e dei settori più avanzati del proletariato: questo, dunque, l’obiettivo perseguito dal nostro lavoro contro l’intervento imperialista nei Balcani. Ci rendiamo conto, naturalmente, di potervi concorrere tanto meglio quanto più siamo noi stessi organizzati, quanto più noi per primi ci epuriamo da ogni artigianesimo organizzativo, quanto più noi per primi traduciamo in atto nella vita interna della nostra distinta organizzazione politica quel metodo di lavoro collettivo, quella disciplina delle forze che la battaglia politica contro la guerra nella ex-Jugoslavia richiede al proletariato militante e nei quali, purtroppo, esso va facendo una pericolosa marcia del gambero. E’ un impegno al quale abbiamo già cominciato a far fronte e che ha trovato un primo momento di verifica nella preparazione e nello svolgimento dell’assemblea nazionale.

Vi abbiamo cominciato a far fronte prima di tutto con il proseguimento e l'approfondimento del lungo e metodico lavoro di formazione teorica che sta dietro all'analisi, alla propaganda e all'iniziativa politica che abbiamo sviluppato sulla questione jugoslava. Esse, infatti, sono lo sviluppo di un indirizzo teorico ben definito: di una certa idea del capitalismo e della sua internazionalità, di una certa idea della lotta proletaria, di una certa visione della questione dell'autodeterminazione dei popoli, di una certa valutazione delle varie forme di "socialismo realizzato" (tra cui quella titoista) e di una certa concezione del socialismo da realizzare.

Richiamiamo questo "particolare" non per dovere di cronaca, ma perché abbiamo rilevato che anche quei compagni che si sono mostrati più sensibili agli aspetti più immediatamente politici della nostra attività sottovalutano la necessità di basare l'attività politica su un solido retroterra teorico. Riteniamo invece ci si debba impegnare a riprendere i temi di fondo che abbiamo citati, se si vuole dare salde radici a una seria attività di classe sulla questione balcanica. Come su tutte le altre questioni sollevate dallo scontro di classe. Tocchiamo così un altro aspetto, per noi vitale, della nostra attività.

Quello che facciamo contro la guerra nei Balcani non è un pezzo a sé stante, staccato dal resto della nostra attività. Ne è parte integrante, ha una valenza più generale. E non solo perché l’aggressione imperialista nella ex-Jugoslavia è uno dei tasselli dell’offensiva che il capitale ha lanciato da ormai due decenni contro il proletariato internazionale. Ma anche perché il modo con cui lavoriamo sulle vicende jugoslave è lo stesso modo con cui lavoriamo su tutti gli altri terreni sui quali marcia l’offensiva borghese, è l’esemplificazione, al fondo, del modo in cui lavoriamo per la rivoluzione socialista internazionale. Che significa in concreto tutto questo? Facciamo un esempio.

Rimaniamo in Italia. Per noi, l’intervento dell’imperialismo nostrano nei Balcani, la canea razzista e sciovinista contro i proletari immigrati, i tentativi di differenziare le condizioni di lavoro tra nord e sud del paese, le riforme federaliste, i ricatti connessi alla delocalizzazione delle imprese sono tante facce di un’unica realtà: quella di un attacco borghese che cerca di comprimere le condizioni di esistenza del proletariato e, soprattutto, di stracciarne la forza organizzata. Corollario: la classe operaia non può contrastare l’offensiva borghese su un singolo terreno, ad esempio quello salariale, senza contrastarla anche sugli altri e senza mirare, su tutti i fronti, a preservare e potenziare ciò che il capitale intende colpire: la sua forza organizzata.

Alcuni compagni di Rifondazione hanno convenuto con noi su queste considerazioni, ma hanno poi obiettato che non c’è tempo per occuparsi di tutto. Eh sì, se ci si riempie di petizioni, di raccolte di firme, se si lega l’esistenza di sé come partito politico ad accordi di desistenza, è inevitabile che non si trovi tempo per fare tutto, che ci si occupi della Jugoslavia al più come tema domenicale e sopratutto che si diserti (su tutte le questioni) il vero terreno dello scontro politico, che non è quello parlamentare ma quello della lotta tra le classi. Esageriamo? E cos’altro significa allora la scelta di Rifondazione di limitare al parlamento la propria opposizione all’invio delle truppe italiane in Bosnia, quando era chiaro che il parlamento, nella sua stragrande maggioranza, vi era a favore? E come è nei fatti intervenuto il Prc nella iniziative di lotta contro il razzismo?

Il problema non è tanto, compagni di Rifondazione, aggiungere qualche sapore in più nella stessa minestra. Il problema è cambiare l’impostazione di fondo con cui si affrontano le varie questioni. La nostra attività contro l’aggressione occidentale nella ex-Jugoslavia cerca di mostrare la necessità di questo cambiamento e, nello stesso tempo, qual è l’impostazione di fondo (teorica-politica-organizzativa) di cui il proletariato militante deve dotarsi per impostare come si deve la difesa del lavoro salariato dall’offensiva capitalistica in atto. Non siamo degli specialisti delle vicende balcaniche o internazionali. Siamo un’organizzazione di comunisti militanti che si sforza di importare nella classe un indirizzo di partito ben preciso. La guerra nei Balcani è solo uno dei terreni su cui cerchiamo di fare questo. Durante quest’autunno siamo stati presenti in tutte le iniziative di lotta contro il razzismo, abbiamo continuato il nostro intervento nelle mobilitazioni contro i licenziamenti e, più in generale, la nostra metodica attività sulle questioni che toccano la condizione immediata dei lavoratori (ad es. contro la finanziaria, che quest'anno conteneva, sotto un manto di "equità", una vera polpetta avvelenata: le prime misure di federalismo fiscale).

Ma questo autunno ha visto anche una qualche "novità" sul piano della repressione statale. Sia di quella direttamente rivolta contro gli operai, per esempio la dura carica contro i minatori del Sulcis davanti a Montecitorio (dove già erano stati vigliaccamente colpiti i trapiantati), sia quella che ha avuto come bersaglio organismi "sociali", di orientamento politico differente, quali il Leoncavallo di Milano e il circolo Gramigna di Padova. In tutte queste circostanze, la nostra organizzazione è intervenuta per denunciare l'operato del governo e delle forze di polizia come indicativo della volontà della borghesia di rompere la "tregua-Dini", per invitare la classe operaia nel suo insieme ad assumere le difese dei settori colpiti e questi ultimi, a loro volta, a cercare in un allargamento del fronte di lotta la più efficace risposta alla repressione e alla ghettizzazione attuate dallo stato.

In tutte le iniziative siamo stati guidati dagli stessi criteri di fondo. In tutte abbiamo mirato allo stesso obiettivo di fondo: rispondere materialmente a quel bisogno di partito, cioè di coscienza e di organizzazione, che lo scontro di classe sta facendo nascere nel proletariato e, nel contempo, contrastare le nefaste conseguenze che ha nell’avanguardia di classe quel processo di disfacimento organizzativo in atto nelle forze della sinistra riformista e "rivoluzionaria" (e che trova una delle sue manifestazioni nella loro deriva federalista).

La nostra presenza nelle lotte contro i licenziamenti, ad esempio, si è preoccupata di contrastare le "scivolate" localistiche che si sono manifestate al loro interno, di combattere l’indirizzo politico da cui esse discendono, di indicare la necessità di far confluire le varie iniziative in una vertenza generale del proletariato, di sottolineare i passi politici e organizzativi da compiere in questa direzione: tra di essi l’avvio nel seno della classe operaia di una battaglia contro il federalismo e ogni altra forma di jugoslavizzazione della sua organizzazione.

Il nostro lavoro (pur con tutti i suoi limiti) è monolitico e ci teniamo a far emergere questa monoliticità di indirizzo davanti agli occhi dei militanti proletari più coscienti. Non per biechi interessi di bottega, ma perché pensiamo che essa abbia qualcosa da "dire" sul quel ri-orientamento programmatico e organizzativo di cui la battaglia difensiva della classe operaia ha sempre più bisogno.


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