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PER UNA MOBILITAZIONE DI CLASSE
CONTRO L’INTERVENTO DELLE TRUPPE ITALIANE IN BOSNIA!

Dopo aver acceso ed alimentato l’incendio balcanico, le borghesie occidentali si preparano oggi a "garantire la pace" in Bosnia con un dispiegamento senza pari di forze militari.

I veri obiettivi di questa missione sono ben chiari: sottoporre al proprio controllo (l’una borghesia in concorrenza con l’altra!) l’intera area ex-jugoslava, militarmente, politicamente, economicamente; riarmare sino ai denti i mercenari del governo Izetbegovic; predisporre le condizioni più propizie (per i propri criminali interessi) per nuovi e più estesi scenari di guerra. Perché l’opera di "ridefinizione" dei Balcani è tutt’altro che conclusa e rappresenta solo un capitolo della generale ridefinizione dei rapporti di forza tra le maggiori potenze imperialiste. Un capitolo preceduto dalla guerra del Golfo, che si perpetua a tutt’oggi con la morte da embargo di decine, centinaia di migliaia di vittime innocenti. Un capitolo che sarà seguito da sempre più numerosi e sanguinosi "casi", sino alla conclusione catastrofica, che si preannunzia all’orizzonte, di uno scontro mondiale diretto tra le super-potenze del capitale.

La guerra, la "pace", la ricostruzione... non sono che altrettante occasioni per questa sorta di interventi "umanitari". E neppure uniche ed indispensabili: in Macedonia ed in Albania, senza che lì alcun conflitto si fosse aperto, già da tempo stazionano le "nostre" truppe, USA ed italiane.

"Un’occasione di affari d’oro", ha titolato, senza vergogna, certa nostra stampa. Dopo i profitti di guerra, si aprono le porte ai profitti della ricostruzione, del riarmo e delle guerre ulteriori a venire.

Le vittime predestinate di questo continuo macello (peggiore ancora sotto le vesti di "pace"!) sono non solo il proletariato e le masse oppresse della regione; è il proletariato di tutto il mondo. La guerra interna del capitale contro il proprio proletariato è semplicemente l’altra faccia della guerra che si combatte contro le popolazioni sfruttate dei Balcani, ed indissociabile da essa: là si uccide e rapina a man bassa in una catena senza fine, qui si tenta di compattare gli sfruttati di casa propria attorno alle superiori esigenze militar-strategiche ed affaristiche del capitalismo nazionale e, nel contempo, si usa la divisione prodotta nelle file del proletariato internazionale per colpirli più a fondo.

Tutti noi, proletari, siamo chiamati a pagare il prezzo di questa operazione, dalla Bosnia (che lo paga già ora col sangue dei suoi figli) all’Italia (che, per il momento, e per il momento soltanto, lo paga con un’intensificazione dello sfruttamento capitalistico).

Occorre, perciò, mobilitarsi contro questa, che non è un’"avventura", ma un cinico e calcolato gioco d’interessi contro la nostra classe.

Occorreva, ieri, contrapporsi con forza alle manovre delle borghesie occidentali per mettere a fuoco i Balcani sotto il pretesto dell’"autodeterminazione dei popoli" (tutti, salvo uno: quello serbo, il meno disposto a vendersi a discrezione). Ciò non è avvenuto, in quanto il proletariato delle metropoli -su cui la crisi capitalistica aveva, tutto sommato, fatto sentire solo in superficie i propri morsi- non ha colto la portata di quest’operazione e, se non si è mobilitato per essa, ha quantomeno lasciato correre come per un affare che non lo riguardasse direttamente.

Oggi, dopo il troppo sangue sparso nella ex-Jugoslavia a profitto del Dio Dollaro e del Dio Marco (ed anche della più modesta Dea Liretta), oggi, dopo che l’attacco contro le condizioni di esistenza dei proletari ha cominciato anche qui apertamente a scatenarsi, non è più possibile chiudere gli occhi.

Dalla Bosnia a casa nostra, tutti noi proletari saremo sempre più deboli se non sapremo opporci ai war-games ed agli ancor peggiori peace-games del capitale. Dobbiamo ritessere le nostre fila. Dobbiamo (con ciò aiutando noi stessi) aiutare i proletari jugoslavi a ricompattarsi come classe, contro le proprie micro-borghesie "nazionaliste" vendute, contro l’imperialismo occidentale.

Il proletariato jugoslavo ha dato, in passato, reiterate dimostrazioni di unità e combattività. Esso rappresenta la sola forza che si è opposta al conflitto che ha divorato la Jugoslavia (pur non riuscendo ad impedire la guerra, essendosi trovato schiacciato tra il rullo compressore dell’Occidente e l’indifferenza del proletariato metropolitano che sarebbe dovuto venire in suo soccorso). Esso è la sola forza che può ricostruire la Jugoslavia come insieme fraterno di diverse nazionalità e culture nella lotta -non jugoslava, ma internazionale- contro il capitale, per il socialismo. Le truppe di occupazione occidentali mirano esattamente ad impedire questo possibile esito, sostenendo e rafforzando più che mai i propri cani da guardia locali e creando nuove occasioni di conflitto.

Il primo dovere nostro è, pertanto, quello di liberare il proletariato jugoslavo da questa ipoteca battendoci contro l’intervento militare in Bosnia (ed altrove) delle borghesie di qui. Senza di esso non avrebbero vita lunga né i Tudjman né gli Izetbegovic e neppure i Karadzic ed i Milosevic, impotenti a resistere ai primi e corresponsabili dell’opera di divisione per vie bassamente "nazionali" della classe e del popolo jugoslavo. Combattendo contro di esso noi stessi potremo darci armi migliori per la battaglia per i nostri interessi di classe qui, in "casa nostra".

La nostra organizzazione è impegnata con tutte le sue (deboli) forze per indicare la necessità di una tale mobilitazione, per incoraggiarne tutti i tentativi, per partecipare attivamente all’organizzazione di essi.

Salutiamo con entusiasmo i primi segnali, che cominciano a pervenirci dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro, dalle organizzazioni sindacali di base ed anche dalla "gente" cosciente, in questa direzione. E’ solo un pallido, insufficiente inizio. Ma è un inizio, perdio!, che non possiamo, non vogliamo far cadere: da una piccola scintilla può sprigionarsi una grande fiamma, ed a questo noi lavoriamo!

Il seguito "naturale" della mobilitazione contro l’intervento militare in Bosnia non può essere che uno: una ritrovata capacità unitaria di lotta generalizzata contro il capitale da parte del nostro proletariato, l’organizzazione unitaria attorno ad esso dei nuclei di lavoratori jugoslavi scacciati dal loro paese e costretti a venire a lavorare qui, a bassi salari e senza diritti di sorta, nell’intento di usarli come arma di ricatto contro di noi; il riallacciamento di quei concreti legami politici ed organizzativi tra le differenti sezioni del proletariato internazionale che l’Internazionale Comunista aveva a suo tempo realizzato e che solo l’opera congiunta della borghesie e dello stalinismo ci hanno strappato di mano.


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