[che fare 37]  [fine pagina] 

Dove va il proletariato?


Il movimento di scioperi contro Juppé, la ripresa della lotta dei neri negli USA, l’alt di massa al liberismo selvaggio che emerge (indirettamente) dai risultati elettorali in Polonia, Russia e Croazia: i san Tomasi sono serviti. Il proletariato non è scomparso, né si è integrato (come potrebbe?). E’ vivo e vegeto. E dà qualche saggio (agli altri e a sé) della sua immensa energia potenziale, non solo "fisica", oggi così fortemente compressa.

Lo ha richiamato in campo il suo stesso nemico di classe capitalista con attacchi d’inattesa violenza, il cui senso profondo è: l’epoca dello sviluppo, del welfare e della pace sociale è finita. Non tornerà più. Viene avanti una nuova era, i cui tratti brutali ricordano sempre più il capitalismo dei primordi. Per gli sfruttati del Sud del mondo è amaro pane (se pane c’è) quotidiano. Il proletariato dell’Est ne ha fatta conoscenza dopo il "favoloso" ’89. Ma anche la classe operaia e i lavoratori dell’Ovest iniziano a sentirne i morsi sulla carne.

Cosa farà il proletariato davanti a questo grande cambiamento di scena?

Piegherà la schiena davanti alle "supreme" leggi del mercato e del capitale? si lascerà frammentare, disgregare, mettere in contrapposizione al proprio interno, fino all’orrendo esito estremo del massacro tra proletari, di cui vediamo in Medio Oriente e nei Balcani i primi anticipi? o raccoglierà il guanto di sfida che gli ha lanciato la borghesia? e si ricomporrà unitariamente come classe rivoluzionaria, andando a tagliare alla radice "il problema" che la tormenta e ad instaurare il socialismo?

Come dimostra il contraddittorio intreccio di segnali di aggregazione e di digregazione, la battaglia è aperta. Davanti a essa ci si deve schierare da un lato o dall’altro.

Più si avvicina questo storico aut-aut, più evaporano come fuochi fatui le terze vie "riformiste". Non è tempo di riforme, bensì di controriforme. E gli stessi capi della "sinistra", con in testa i nostrani "grandi strateghi" (di sconfitte), ne prendono atto. Facendo scompostamente a gara nel dare ai padroni prova di liberalismo, di efficientismo, di "responsabilità" verso i destini degli sfruttatori e dei loro stati. Salvo sorprendersi per la ovvia loro "ingratitudine", una volta intascati i benefici.

Chi più di tutti fatica a realizzare la svolta avvenuta nella situazione internazionale è proprio la classe operaia. Le pesa addosso, anche nel cervello, una lunga "educazione" riformistica che, a partire dallo stalinismo, l’ha espropriata pezzo a pezzo dei preziosi insegnamenti dell’Internazionale Comunista e della Russia sovietica. Fino a farle sembrare impossibile anche solo concepire un’organizzazione non capitalistica della società.

A "rieducarla", non in un sol colpo, a ciò che realmente è il capitalismo, alla sua irriformabilità tramite elezioni e parlamenti, alla assoluta necessità di abbatterlo, ci stanno pensando e ci penseranno -per una certa quota- i fatti. Ci penseranno le lotte, che non sono mancate e non mancheranno di seguire agli attacchi borghesi.

Ma deve "pensarci" e lavorarvi sistematicamente anche l’avanguardia comunista. Dando risposta a quel bisogno di un indirizzo generale teorico e d’azione anti-capitalistico, al bisogno di partito che emerge dalle lotte. Anche dalle minime lotte sindacali, così come dal multiforme malessere crescente di larghi strati non operai.

Duplice è la consegna per i comunisti: essere incondizionatamente al fianco del proletariato, delle masse nere, slave, islamiche, di tutti gli strati doppiamente oppressi. E insieme chiedere ad essi di condividere la responsabilità storica di far rinascere il movimento proletario comunista.


[che fare 37]  [inizio pagina]