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PREPARATIVI SUL FRONTE PROLETARIO DI MEZZA EUROPA
IN VISTA DI UN AUTUNNO DI LOTTA

Anche in questo numero, come d'abitudine, invitiamo i lettori, a partire dai nostri stessi compagni, a non perdere di vista la complessità del quadro mondiale dello scontro tra proletariato e borghesia, e la contraddittoria compresenza in esso di fattori di disgregazione (che al momento "qui" in Italia paiono avere la prevalenza) e di fattori di ricomposizione del nostro fronte di classe (che in altri paesi di Europa e negli stessi Stati Uniti si manifestano con vivacità). Quella che segue è per l'appunto una rapida, e certo incompleta, zoomata proprio sull'Europa occidentale a scopo di ricognizione di un panorama di scontro sociale piuttosto mosso, al quale dobbiamo educare le avanguardie di classe a guardare, e nel quale dobbiamo sollecitarle ad intervenire per sostenere altre sezioni della nostra classe impegnate in conflitti con il nostro stesso nemico, e per attingervi energie e fiducia per le nostre stesse battaglie a scala "nazionale". Al di là degli esiti e dei percorsi immediati, infatti, le lotte in corso in Europa non sono fiammate estemporanee destinate a spegnersi, ma al contrario a riaccendersi sempre di nuovo, ed in prospettiva ad intrecciarsi tra loro.

 

Con il grandioso movimento in Francia dello scorso dicembre e la scesa in piazza dei lavoratori tedeschi di questi mesi il nucleo centrale del proletariato europeo si è rimesso in moto, lanciando il chiaro messaggio che la rottura del compromesso sociale non lo troverà disposto ad abbandonare il terreno senza combattere. Ora, alla vigilia di un autunno per il quale è già annunciato il secondo tempo dell'offensiva antioperaia - sistematicamente preparata dai consessi a scadenza fissa del duo Kohl-Chirac cui il "progressista" Prodi aspira a partecipare - i lavoratori mandano a dire: "Non abbassiamo la guardia. Sappiamo che la nostra lotta non è affatto finita". Non solo. Da più parti in Europa emergono segnali di una ripresa della conflittualità operaia. Se non si può parlare, al momento, di un "effetto-contagio", siamo comunque di fronte a risposte ad un attacco che ha connotati sempre più omogenei e tempi sempre più interdipendenti nei diversi paesi (Italia inclusa).

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Germania

La manifestazione nazionale del 15 giugno (400 mila lavoratori in piazza, la più grande del dopoguerra) ha dato un primo forte segnale al governo e ha chiarito la disponibilità della classe operaia a non tirarsi indietro da uno scontro generale che si percepisce essere duro e di non breve durata. La composizione della manifestazione, a connotazione operaia (con metalmeccanici e edili in prima fila) con una buona presenza del pubblico impiego e dei lavoratori dei servizi, ha espresso la consapevolezza della necessità di una risposta unitaria. I lavoratori sono arrivati da tutta la Germania, compresi i Laender dell'Est, senza che venissero messe avanti specificità regionali. Schierati sotto gli striscioni sindacali anche molti immigrati e moltissimi giovani (questi ultimi a rivendicare sul campo la necessità di difendere il "patto generazionale" rimesso in discussione dal governo).

La partecipazione, l'organizzazione, il tipo di presenza, determinata e compatta, in piazza - tutto ha richiamato la necessità chiaramente sentita di serrare le fila e lottare uniti. Ciò di cui si sente il bisogno è di esercitare "più pressione dal basso", come recitava lo slogan più gettonato, di portare avanti con coerenza la lotta contro il governo e il suo corso da "capitalismo puro". La richiesta alle direzioni sindacali di dare una risposta convincente a ciò non è una cambiale in bianco, bensì, al di là delle illusioni in queste direzioni e nella loro politica, una petizione di lotta che si accompagna al crescente sentore che si va incontro ad una fase di attacchi e peggioramenti che rimettono in discussione l'insieme della condizione operaia. E che già oggi, e ancor più in futuro, mettono in luce l'impotenza, di fronte a un nemico tanto determinato, della politica riformista ancorata alla pace sociale e alla concordia tra le classi (Lafontaine, leader della Spd, ha affermato il giorno stesso della manifestazione che il suo partito farà il possibile per evitare un'escalation della lotta).

La mobilitazione è proseguita con scioperi e manifestazioni articolati un po' dappertutto e con un presidio di lavoratori davanti al Bundestag. Nel dibattito parlamentare, Lafontaine non ha negato la necessità di procedere ai tagli, ma ha contestato questo modo di farli. E se Kohl si era detto disponibile, dopo la prova di forza del 15, a fare lievissime concessioni -che non intaccano la sostanza dell'attacco-, le direzioni sindacali dal canto loro hanno subito dato prova di "senso di responsabilità" firmando un accordo contrattuale per il pubblico impiego al ribasso (poco più dell'1% di aumenti salariali e, peggio, rinvio dell'allineamento dei salari ad Est), "scongiurando" così lo sciopero nel mentre veniva varato il pacchetto dei tagli. Che nonostante questo pompieraggio la tensione a riprendere la lotta permanga tuttora viva, lo dimostra la ripresa degli scioperi e delle manifestazioni ad inizio settembre.

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Francia

La mobilitazione nel settore del servizio pubblico prosegue. Il I giugno sono scesi in piazza 15 mila insegnanti. Il 4 e 5 giugno hanno manifestato a Parigi, arrivando da tutta la Francia, i lavoratori di France Tèlècom e della Edf, l'azienda elettrica statale, che scioperavano contro le ventilate privatizzazioni. Il 6 è stata la volta di 50 mila ferrovieri, l'avanguardia delle lotte di dicembre, a dare un avvertimento al governo rispetto ai progetti di ristrutturazione e tagli mai abbandonati.

Molti sono inoltre i settori o le aziende sia pubbliche (Aerospatiale, Tèlècom, Sernam) che private (Pechiney, Moulinex, Peugeot) i cui lavoratori sono in agitazione o sul piede di guerra contro i preannunciati tagli all'occupazione. Nell'industria bellica, i cui livelli occupazionali dovrebbero essere pesantemente ridimensionati (si parla di 50-70 mila posti in meno), hanno avuto luogo a giugno una serie di scioperi e manifestazioni; il clima è particolarmente teso soprattutto nei cantieri navali di Brest e Cherbourg (Le Monde Diplomatique parla addirittura di "clima quasi insurrezionale").

Se il proletariato sta scaldandosi i muscoli in vista delle prove d'autunno, il governo da parte sua ha già lanciato un segnale inequivoco sul tipo di risposta che si predispone a dare: il 22 agosto i sans papiers, che da oltre cinque mesi stanno conducendo con numerose occupazioni la battaglia contro i provvedimenti di espulsione che li hanno toccati a seguito dell'inasprimento delle leggi sull'immigrazione, sono stati violentemente sgombrati a colpi di manganello dalla chiesa che avevano occupato a Parigi. Non si tratta di un giro di vite contro i soli immigrati, ma di un attacco diretto all'insieme del proletariato, per intimidirlo, dividerlo e poterlo così più duramente bastonare. Due manifestazioni di solidarietà nell'arco di una settimana hanno visto a Parigi i partecipanti scontrarsi con la polizia. Nel mentre rivela tutta la sua impotenza -e peggio- il "cartello unitario delle sinistre" (dal Ps al Pcf, all'"estrema") lustrato a nuovo a sostegno di un "dramma umano" che potrebbe appannare l' "immagine della Francia"! Siamo mille miglia lontani dall'affrontare, al solo modo adeguato ed efficace, il "dramma umano" dei lavoratori immigrati: cioè come una questione di classe, che deve investire e mobilitare contro il governo e contro la borghesia tutto il movimento proletario. (Ancora più in basso della "sinistra" francese è stata capace di scendere quella italiana, affaccendatasi a imbastire su questi fatti uno sciovinismo senza ritegno, volto a far credere che in Italia, dove da Trieste a Otranto ogni giorno decine di immigrati sono espulsi dalle forze dell'ordine e dall'esercito, la politica dell'Ulivo sarebbe altra cosa da quella della destra d'Oltralpe.)

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Gran Bretagna

In un clima di polarizzazione economica e sociale sempre più spinto tornano alla ribalta anche qui le industrial actions. Sono sette, da metà giugno, gli scioperi di ventiquattr'ore -perfettamente riusciti- che hanno bloccato completamente la metropolitana londinese. I conducenti rivendicano la riduzione d'orario promessa dall'azienda (una delle poche ancora pubbliche) e aumenti salariali che coprano l'inflazione. La determinazione e la spinta dei lavoratori -che hanno visto negli anni drasticamente peggiorare la propria situazione lavorativa (285 minuti di guida di seguito, turni di otto ore e quarantacinque minuti con pausa non pagata, ecc.)- portano dopo anni ad un'azione congiunta delle due unions presenti. L'azienda deve cedere sulla riduzione d'orario, ma la revoca all'ultimo minuto dello sciopero del 23 agosto da parte di uno dei due sindacati (l'altro aveva già rinunciato) ha impedito di conseguire aumenti più consistenti del salario. Defezione, questa, tanto più grave in quanto per quello stesso giorno era previsto, ed è riuscito perfettamente (come il successivo del 27), lo sciopero dei lavoratori di sette compagnie ferroviarie in lotta su condizioni di lavoro e salario. E' la prima volta dopo anni che la possibilità di azioni di lotta comuni ricompare all'orizzonte.

Contemporaneamente proseguono la loro azione con scioperi compatti e generali i lavoratori postali, in agitazione contro il piano di incremento della produttività basato sull'introduzione del "lavoro di gruppo" (che ha l'obiettivo di incentivare la concorrenza tra lavoratori), e i portuali di Liverpool che da undici mesi lottano per riavere il posto di lavoro.

Mentre il Nuovo Labor Party guarda con imbarazzo a questa incipiente nuova ondata di conflittualità (il segretario T. Blair ha invitato i conducenti del metrò a non scioperare in attesa di un arbitrato) - i Tories al governo puntano ad utilizzare gli scioperi in corso (tutti in aziende pubbliche) come argomento per lanciare ulteriori privatizzazioni e per recuperare con una campagna d'ordine l'elettorato moderato già conteso loro dalla ulteriore virata a destra dei laburisti.

Se perfino in un paese come la Svizzera i ferrovieri sono in agitazione contro i tagli salariali decisi unilateralmente dal governo, possiamo farci un'idea di quanto sta bollendo in pentola.

Ce n'è abbastanza, comunque, lo ripetiamo, perché le avanguardie (almeno) prendano posizione sul fronte di classe che, pur tra grandi difficoltà, si va delineando, in Europa (e oltre). Un fronte che è fuori dal campo visivo di chi prospetta "percorsi in comune", in funzione anti-Maastricht, niente meno con Romiti...

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