[che fare 40]  [fine pagina] 

Note di viaggio sulla Polonia

Un soggiorno in Polonia offre l’occasione per alcune osservazioni e riflessioni sulla situazione sociale ed i destini di questo paese e del suo vitale movimento operaio.

La semplice ricognizione visiva ci mostra l’immagine di un paese in cui è in corso un’enorme opera di ristrutturazione per tentare di portare infrastrutture e servizi agli standard richiesti dal moderno mercato. Strade, ferrovie, telefoni, facciate dei centri cittadini, mezzi di trasporto pubblico: tutto deve essere riadeguato. Allo stesso tempo, venendo da Occidente, l’occhio rimane colpito dallo spaccato sociale che gli si para davanti nelle piazze e nelle strade. L’agognata western way of life che tutto domina nei media, nelle pubblicità, nelle mode, è davvero appannaggio di pochi. Ad una ristretta fascia sociale benestante che ha profittato e prospera nei business più o meno leciti e ad una fascia ben evidente di "tagliati fuori", fa da contrappunto una massa di lavoratori, di proletari costretti a fare i salti mortali per sbarcare il lunario. Mentre quella gelatina sociale intermedia che qui da noi è ben presente nella sua posizione di tranquillo benessere, si presenta lì assai più ridotta.

L’aspetto strutturale portato dall’apertura al mercato mondiale che si può intravvedere nel paese è la tendenziale frammentazione del paese stesso. Le condizioni di vita, i livelli dei prezzi e salari, la qualità dei servizi sono in via di progressiva differenziazione tra regione e regione e perfino tra area ed area all’interno di una stessa regione, sicché le distanze fra zone più avanzate ed aree arretrate e depresse si acuiscono. La fascia occidentale del paese presenta una condizione ed una qualità della vita marcatamente migliore rispetto all’arretrata parte orientale. All’interno stesso di zone e cinture urbane depresse, vi sono delle realtà industriali legate di solito ai grandi gruppi multinazionali (tutti presenti, compresa la "nostra" FIAT) in fase di espansione, e perciò in grado d'assumere e pagare salari sempre di rapina, se comparati a quelli occidentali, ma più alti della media locale.

E così il pensiero torna a cadere sulla "dolente questione" che ci attanaglia: il federalismo. Un "federalismo" oggettivo, portato nei fatti dagli ingranaggi del mercato capitalistico mondiale. Un federalismo che non ci stupirebbe veder spuntare anche soggettivamente sulle rive della Vistola, ad onta di una tradizione e un sentimento nazionale cementati da una secolare storia di battaglie che hanno accompagnato la Polonia di contro alle potenti nazioni che la stringono da Est e da Ovest.

Davanti a questo processo la "classe dirigente" polacca e, in particolare, l'attuale governo di "sinistra" stanno cercando di coniugare il proseguimento dell'integrazione nel mercato mondiale con il mantenimento d'un quadro di sviluppo unitario e d'una certa autonomia dai centri decisionali dell'imperialismo. Un'operazione assai difficile; anzi, per noi, alla fin fine impossibile.

Quanto a Solidarnosc, questo sindacato, pur avendo perso lo smalto e la presa travolgente degli anni ’80, rappresenta comunque una fetta significativa di lavoratori, e vuol proporsi come base sociale alle diverse forze dell’opposizione liberale. Esso è in una posizione perfettamente contraddittoria. Da un lato infatti, è l’alfiere della più spinta liberalizzazione, dall’altro deve in qualche modo difendere le condizioni di vita dei lavoratori che rappresenta. Così capita che chiami allo sciopero e insieme indichi nelle privatizzazioni la strada d’uscita comune per il capitale e i lavoratori. Salvo poi, nel caso degli ultradeficitari (borghesi conti alla mano) cantieri di Danzica, appellarsi all’intervento statale...

Per quanto siano marcate le differenziazioni dei livelli di vita nel paese, il tenore generale per i proletari è quello di una dura e pesante realtà. Ogni famiglia proletaria deve arrangiarsi con mille economie e mille accorgimenti. Praticamente in ognuna vi è il problema di un salario insufficiente, di un posto di lavoro incerto oppure di un posto di lavoro che non c’è. In simili condizioni, la spinta ad emigrare è per centinaia di migliaia di proletari una spinta inesorabile.

Eppure, nonostante questa dura condizione e nonostante nessuno più ormai scambi il capitalismo per babbo natale, è assai difficile anche tra i proletari, soprattutto nelle giovani generazioni, trovare un sentimento di rimpianto per il vecchio, scassato e statico sistema di vita precedente.

Un "socialismo" che da un lato si era assunto il compito di promuovere l’industrializzazione e dall’altro, per garantirsi una pace sociale al ribasso, ti consentiva anche di non fare un tubo in fabbrica. Che ti garantiva sì cinquanta metri quadri di abitazione per famiglia in uno di quei "cubi" che allietano la vista nelle periferie urbane, ma per converso, esclusi "ovviamente" ogni speranza ed ogni slancio rivoluzionari, ti tarpava le ali anche al possibile avanzamento individuale. Un "socialismo", per giunta, portato in Polonia come articolo di esportazione "made in URSS", e vissuto perciò come una forma d'oppressione nazionale. Un "socialismo" che, per quanto poggiante su una società divisa in classi antagoniste, privava la società stessa, forzatamente, di ogni dialettica politica calando su di essa l’armatura dello Stato-Partito. Un’armatura contro cui periodicamente, a ogni aumento delle norme di lavoro in fabbrica o a ogni raddoppio del prezzo della carne, si scagliava la sacrosanta rabbia operaia, da Poznan '56 a Danzica '80.

Decenni di edificazione di un simile "socialismo", hanno prodotto nelle giovani generazioni un’autentica fame di "libertà", e cioè: di mercato, di capitalismo, oltre a un istintivo rigetto per l’"ideale" e le figure storiche mummificate dal regime che l’hanno incarnato.

Per quanto tale situazione possa ferirci nei "sentimenti" in quanto comunisti, occorre affermare che questo rifiuto di guardare con rimpianto ad un tale passato è fatto assolutamente positivo. La bestia-mercato che tutti abbiamo davanti, noi come il proletariato polacco, ci chiama comunque alla lotta, e per vincere questa lotta ci impone di definire la nostra alternativa. E allora, lasciata nella spazzatura -dove sta bene- la prospettiva menzognera del socialismo mercantile di Stalin ed eredi, bisognerà riaffermare: Aut merce Aut socialismo, Aut lavoro salariato Aut socialismo, Aut denaro Aut socialismo. Non si può "emulare pacificamente" il capitalismo facendo a gara con la sua furia produttiva. Lo si può e lo si deve abbattere con la nostra rivoluzione internazionale. Ma perché questo non resti un sogno, è più che mai decisivo l’imporsi sulla scena del proletariato occidentale, che da un lato stracci materialmente il mito dell’opulenta società occidentale, e dall’altro si proponga come forza alleata ad un proletariato polacco impegnato tutt’oggi in lotte pressocché quotidiane, a cui non mancano di certo tradizioni e carattere combattente.

Intanto, al ritorno dalla Polonia ci coglie la notizia che nel duro lavoro di raccolta nelle campagne pugliesi agli abituali lavoratori africani se ne sono aggiunti quest’anno numerosi dell’Est, mentre più a Nord fervono i preparativi per "portare le masse" sul Po il 15 settembre...

[che fare 40]  [inizio pagina]