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Sindacale

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CONTRATTO METALMECCANICI:
IL PROLETARIATO E' CHIAMATO A FARE I CONTI
CON L'INSIEME DELL'OFFENSIVA BORGHESE

Indice

Salario contro contributi?
Mantenere l'ordine!
All’indomani della manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 22.11 a Roma l’"ulivista" La Stampa denuncia il rischio che "il rientro dell’Italia nello Sme e l’intero tentativo di risanare le finanze pubbliche potrebbero fallire rovinosamente... se scoppia l’autunno caldo". Il messaggio è che gli interessi dell’economia, del capitalismo italiano sono contrapposti a quelli dei manifestanti, e con essi di tutto il proletariato. Per garantire i primi bisogna accelerare la "cura disintossicante" fatta di aumento dello sfruttamento, licenziamenti, flessibilità selvaggia, tagli al salario, smantellamento dello stato sociale. I secondi dovrebbero semplicemente sottomettersi ai primi. Per questo va spezzato "il tentativo di imporre il potere della piazza". Ciò che fa paura a tutti i borghesi è la difesa degli interessi di classe e, quindi, la ripresa della conflittualità.

Solo dei ciechi (ma se si tratta dei vertici sindacali è un vero e proprio crimine) possono sostenere che i padroni sono isolati e divisi tra loro. Le cose stanno ben diversamente. Tutti i giornali, i membri del governo e dell’opposizione, hanno difeso non le "ragioni" dei metalmeccanici, bensì -poteva essere altrimenti?- quelle dei padroni, degli interessi "generali" dell’Azienda Italia, o, a questo siamo, della Padania. Federmeccanica e Confindustria non sono affatto isolate. I loro obiettivi sono condivisi da tutta la borghesia. All’ordine del giorno di tutti i governi, mai come ora "comitati d’affari" della borghesia, non c’è il miglioramento della condizione operaia ma, in Italia come altrove, "l’urgenza di una profonda revisione dello stato sociale" (Prodi).

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Uno scontro politico

I padroni mirano a due obiettivi: ridurre i salari e portare un duro colpo al contratto nazionale quale strumento unificante per tutti i lavoratori, per prepararne un totale smantellamento.

I vertici sindacali, in particolar modo la Fiom, denunciano, anche con convinzione, questo progetto, ma non ne traggono mai la dovuta conseguenza di attrezzarsi a un vero scontro politico. Esse cercano, invece, di restringere lo scontro al solo rinnovo del contratto, alla sola categoria. La loro richiesta è che "i padroni rispettino i patti", tutto qui. Ma affidare il recupero salariale alla "concertazione" -sulla base dell’accordo del ’93- vuol dire limitare la risposta dei lavoratori e deviarla su una strada illusoria e perdente. Illusoria perché il quadro economico non permette alcuna "concertazione" e il capitale, grande piccolo e medio non è disposto a "rispettare gli accordi". Perdente perché l’accordo di luglio ha favorito solo i padroni funzionando come mezzo per la "riduzione programmata dei salari" e per tenere sotto controllo il conflitto e la forza di classe.

Salario contro contributi?

Per dare qualche aumento salariale, i padroni propongono di ridurre i contributi, e per mostrare quanto sono rilevanti li evidenziano nelle buste-paga. I contributi servono a finanziare lo "stato sociale" e non sono altro che salario "differito". Se si riducono, bisogna ridurre anche lo "stato sociale". Oppure per conservare quello che rimane di esso, bisogna aumentare le imposte sul salario. Così il risparmio sui contributi (per i padroni) si risolverebbe in una ulteriore perdita per gli operai (o meno "stato sociale" o più imposte).
Parte dei contributi e tutte le imposte sul salario servono, poi, a finanziare il debito pubblico, l’apparato statale e i suoi interventi in economia (grandi opere, sostegno alle imprese, al mercato, ecc.). I padroni sono grandi possessori di bot e non vogliono perderne gli interessi. Né vogliono che si smetta l'aiuto alle imprese, anzi chiedono di trasferire loro sempre più risorse stornandole dalle spese sociali. Vogliono, insomma che siano finanziati i profitti, con la scusa di finanziare, magari, l’occupazione.
Se questi disegni passano a spese dei metalmeccanici, è più facile che si estendano, poi, a tutta la classe operaia. Anche per questo la loro lotta ha valore generale, e va sostenuta da tutto il proletariato con una mobilitazione generale.

D’altronde, mentre si denuncia Federmeccanica per l’attacco al contratto, si accettano i "patti per il lavoro", i "contratti d’area" (finalizzati allo stesso obiettivo di dividere e frammentare il fronte di classe), concedendo a Prodi ciò che si vorrebbe negare a Confindustria.

Con questa politica non è possibile una vera lotta contro l’offensiva borghese al salario e all’unità dei lavoratori. Così non si batte Confindustria, e non si raggiungono neanche i moderatissimi obiettivi rivendicati.

La lotta dei metalmeccanici, privata della sua forza politica, non può che uscirne indebolita e isolata grazie alle sue stesse direzioni. Il tiepido sostegno delle altre categorie sindacali e delle confederazioni non è, infatti, un incidente di percorso, ma si origina dalla paura che una vera lotta, un vero fronte unitario di classe, un nuovo autunno, metterebbero in crisi il quadro politico attuale (visto come il più favorevole) e il quadro economico generale della "potenza industriale dell’Italia" (l’Unità, 23/11), alla quale vanno subordinati gli interessi del proletariato.

Il riformismo (sia sindacale che politico) si palesa con sempre maggior drammaticità come vero e proprio organizzatore di disfatte.

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Prodi amico degli operai?

Su questa base l’unica strada prospettata dai vertici sindacali per risolvere la vertenza non poteva che essere quella dell’intervento del governo. Il messaggio che passa nei proletari è: "ce la possiamo fare solo se interviene Prodi". Ma, considerare il governo come il più valido alleato contro i padroni ha l’effetto immediato di frenare la mobilitazione, paralizzare l’organizzazione operaia e disarmare così il proletariato.

Altro che scontro politico!, il riformismo (Cgil-Cisl-Uil, Pds e Prc) lavora a rafforzare le più grandi e micidiali illusioni politiche. Se è vero che la politica di Prodi non coincide in tutto con quella di Confindustria, la sostanza è però la stessa: subordinare il salario diretto e indiretto alle necessità del mercato globale (in questo senso va la finanziaria e le proposte di riforma/smantellamento dello stato sociale, in primis delle pensioni), frammentare e dividere i lavoratori ("patto per il lavoro", riforma federalista dello stato).

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Il peggio non è passato

La deriva dei sindacati e dei partiti riformisti sta lasciando completamente scoperta e immobile la classe operaia di fronte alla crisi. In mancanza di una chiara prospettiva di classe anticapitalistica si vanno affermando al suo interno pericolosissimi elementi di divisione, veicolati dalla Lega e, ormai, anche dallo stesso sindacato. La situazione si va facendo veramente complicata.

La Lega può impunemente agitare pulsioni reali e legittime dei proletari del Nord, migliori salari contro il "succhionismo" statale (che è di classe, del capitale sul lavoro salariato e non certo territoriale, a vantaggio del Sud "assistito"). La sua azione disgregatrice verso la classe prosegue senza ostacoli. Ormai la presenza militante leghista giunge dentro e davanti alle grandi fabbriche, con un preciso punto di vista politico, su questioni fino a ieri monopolio del sindacato. Allo sciopero del 27/9 il Sin.Pa. (Sindacato Padano) ha diffuso un volantino in cui, dopo un bilancio negativo per i lavoratori (come dargli torto?) della linea confederale, chiamava i lavoratori a "realizzare una piattaforma contrattuale per la Padania per tutelare al meglio i lavoratori del Nord".

Nello stesso sindacato, però, il federalismo avanza. Il Gazzettino veneto del 10.10 annunciava il tentativo di trattativa tra padroni e sindacati metalmeccanici del Nord-Est, a stralcio di quella nazionale. L’accordo non è stato raggiunto, ma rimane il fatto che la contrattazione territoriale (regionale) non è più una remota possibilità, ma una realtà su cui il sindacato si sta già muovendo. Il sindacalismo federalista, come quello secessionista, favorisce la divisione e la contrapposizione dei lavoratori per aree territoriali, e li costringe a una concorrenza tra loro, da cui solo i padroni hanno da lucrare.

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Una battaglia a tutta la politica borghese

L’impegno dei comunisti e di tutti i militanti di classe deve essere per una conclusione positiva del contratto: si deve chiudere, cioè, alle cifre richieste. Viceversa, vincerà la politica padronale di recidere uno dei residui legami unitari del proletariato, spianando, così, la strada a un ulteriore aumento dello sfruttamento operaio. In più, una conclusione negativa spingerebbe parti sempre più cospicue della classe operaia, pressate dai problemi del salario e della difesa del posto di lavoro, a seguire "altre" soluzioni, come quella leghista.

Per una conclusione positiva le condizioni fondamentali sono: che prosegua e s'intensifichi la lotta dei metalmeccanici e che si unisca loro la mobilitazione di tutte le altre categorie.

Per proseguire con intensità, la lotta dei metalmeccanici bisogna che dismetta l’illusione che quello di Prodi sia un governo "amico". Altrimenti si finirà con il paralizzare la lotta (per non creare disturbo all’"amico") e per cedere sugli obiettivi (per non minarne la politica "anti-inflazione").

La partecipazione non di facciata delle altre categorie alla lotta dei metalmeccanici può avvenire mettendo al centro il valore generale, di classe, della loro lotta, non a difesa della concertazione, ma contro il tentativo politico del padronato di eliminare il contratto nazionale. Se passa nella categoria più forte, si estenderà, poi, con estrema facilità a tutte le altre.

Ma, anche per allargare il fronte di lotta, è indispensabile cambiare registro verso il governo, perdere ogni paura di metterlo in crisi, individuando il governo Prodi per quello che è: un governo che -pur con un andatura più "lenta"- si muove sulla linea propria a tutti i capitalisti.

Come l’attacco al contratto non è un episodio da ascrivere alle mene di Federmeccanica, ma parte di un attacco politico più generale, così la risposta di lotta della classe operaia deve essere generale, a tutto l’attacco, quello dei padroni "oltranzisti" e quello di Prodi "temporeggiatore".

Lo sciopero generale dell’industria del 13 dicembre, indetto (con molti "mal di pancia") a sostegno della lotta dei metalmeccanici ci deve essere. E deve essere uno sciopero vero. Non solo un’azione di solidarietà a una determinata categoria, ma il primo passo verso una risposta generale, di classe, a un attacco che è generale, di classe.

Per far questo, il proletariato deve liberarsi dalle illusioni da cui è ancora dominato (come quella di poter far convivere le sue esigenze con quelle del capitalismo) e fare i conti con la disastrosa politica dei sindacati e dei partiti riformisti, che lo stanno trascinando in un dolorosissimo girone infernale di sottomissione al suo avversario di classe. Potrà trovare in sé l’energia per sottrarsi al riformismo e recuperare la sua autonomia di classe, politica e organizzativa, alla condizione di non rinunciare mai allo scontro, alla lotta, all’affrontare l’avversario dispiegando tutta la sua forza di classe.

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MANTENERE L’ORDINE!

Essendo del tutto proni alle esigenze dell’economia capitalista, i sindacati e i partiti riformisti cercano di ridurre al minimo le mobilitazioni dei lavoratori. Ma, anche in quei -sempre più sparuti- casi in cui lo fanno, vige la regola di sottometterle al rispetto e al mantenimento dell’ordine sociale capitalistico. Ben due mobilitazioni sono state, di recente, rimandate per questo motivo.

La prima era lo sciopero degli autoferrotranvieri, indetto in giorni diversi per aree geografiche (anche ciò la dice lunga quanto a volontà di rendere incisiva la lotta, oltre al fatto di piegarsi sempre più a una logica territorialista), doveva svolgersi al sud nel giorno in cui a Roma sarebbe venuta la delegazione del Comitato Olimpico Internazionale per vagliare la candidatura della città alle Olimpiadi del 2004. Il sindaco Rutelli ha chiesto, per lettera, ai sindacati di spostarlo per "atto di responsabilità verso la città", per non dare una "brutta immagine di Roma". Detto...fatto! E non poteva essere altrimenti! Se si accetta che lo sciopero non debba pesare più di tanto sull’"azienda-Italia" e, perciò, lo si fraziona, è scontato che a livello locale se pesa sull’"azienda-Roma", lo si possa ulteriormente spostare!

La seconda è stata per la manifestazione nazionale dei metalmeccanici. Inizialmente avrebbe dovuto svolgersi il 16 novembre, ma è stata spostata di "buon grado" di una settimana per non "aggravare l’ordine pubblico", dato che dal 11 al 17 c’era a Roma il vertice della FAO. Niente classe operaia per le strade, dunque!

Per il riformismo il binomio responsabilità/compatibilità verso l’ordine borghese viene prima e sopra di tutto! Nella nostra visione classista, invece, la concomitanza col vertice FAO poteva essere un’ottima occasione per lanciare un ponte alle sterminate masse diseredate del sud del mondo, per incorraggiarne l’eroica lotta contro l’imperialismo, per costruire un’alleanza con loro nella lotta al comune nemico e per dare ulteriore impulso alle lotte delle altre sezioni del proletariato occidentale che pure, oggi, guarda alle mobilitazioni della classe operaia italiana.

Così non è stato anche perchè manca un’avanguardia proletaria in grado di porsi al livello di scontro che la realtà oggi impone. E mentre il riformismo si rende sempre più autonomo dagli interessi proletari e difensiore di quelli borghesi. La strada da compiere è ancora tanta, ma l’importante è cominciare a incamminarci.

Al lavoro compagni!

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