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Ultime dalla ex-Jugoslavia

In Slovenia si sono tenute recentemente le elezioni per il nuovo parlamento. Gli scrutini hanno registrato un forte avanzamento delle destre a spese del centro e della stessa "sinistra operaia", nonostante che i lavoratori sloveni abbiano più che mai tutte le buone ragioni per essere insoddisfatti del nuovo regime.

Il segreto della vittoria delle destre sta, in buona parte, nel loro carattere nazional-populistico: realizzata l’indipendenza formale del paese, si comincia a toccar con mano che questo è sottomesso, ben più che prima, quando vigeva il "tallone serbo", alla strapotenza di quelle forze imperialistiche esterne che hanno creato dal nulla la Slovenia indipendente e che ora vogliono usarla, come si conviene, a mo’ di cortile di casa propria. Quest’impostazione solletica, o quanto meno anestetizza, anche gli strati operai che misurano nelle proprie tasche i "vantaggi" di una tale indipendenza. Ci riescono, diciamo noi, a misura che la "sinistra" che ad essi si richiama si è resa in tutto e per tutto corresponsabile dell’operazione e, alla prova dei fatti attuali, non osa sollevare in alcun modo le bandiere dell’antagonismo di classe con la duplice scusa che ciò farebbe del male al paese e che esso perderebbe di audience al cospetto dei padroni veri, esterni.

Un secondo elemento esplicativo del successo delle destre riconduce ad una caratteristica particolare di una parte cospicua dei neo-eletti (per un terzo personale politico alla prima prova parlamentare): costoro sarebbero per lo più sindaci che hanno condotto sin qui una politica di privilegiamento "autonomista" delle "proprie" città in contrasto col "soffocante centralismo burocratico di Ljubljana" (sentita a TV Koper!).

I sacri furori nazionalisti da "grande Slovenia" (classico microbo ruggente!) e le spinte leghiste si combinano e collidono tra loro senza saper dove andare a parare.

Pessimo risultato, se si guarda immediatisticamente ai dati delle urne. Non così se si azzarda la visione un po’ più in là: il fatto che il grosso delle forze politiche uscite dall’avventura indipendentista si siano bruciate per manifesta incapacità di tener fede alle promesse e che una questione di scontro reale con gli interessi imperialistici si ponga all’ordine del giorno potrebbe costituire un elemento potenzialmente positivo, sempre che (e qui sta il busillis dirimente) a farsene carico siano le masse lavoratrici ridandosi un proprio programma ed una propria organizzazione. Tanto più in quanto, il nazional-populismo delle destre dovrà farsi pecora quanto alle rivendicazioni "anti-imperialiste" nazionali e molosso quanto a quelle operaie.

Ben più seria la minaccia di deriva leghista. Ma, a questo proposito, notiamo che la tendenza spontanea dei sempre più numerosi scioperi che investono il paese non è quella della divisione per aziende e territori, ma va nel senso di un’organizzazione centralizzata delle lotte. La spontaneità non basta, non ci stancheremo mai di ripeterlo, ma intanto una creata da modellare appare alla viva luce, e non è poco.

In Serbia si sono avute le elezioni amministrative. L’opposizione unificata anti-Milosevic anche qui ha registrato dei punti a proprio favore, affermandosi, tra l’altro, proprio a Belgrado. Ora Milosevic è ricorso all’invalidazione dei risultati a lui sgraditi, provocando ovunque manifestazioni di massa di protesta.

Una buona fetta della popolazione serba, che aveva seguito Milosevic nelle sue anguste operazioni serbo-nazionalistiche ed anti-jugoslave, si è ritrovata delusa dai risultati raggiunti, e non a torto (anche se sfugge ad essa il cancro che stava all’origine della politica miloseviciana e, peggio ancora, di quella dei suoi antagonisti). Paradosso estremo: USA e Germania sono già intervenute ad ammonire Milosevic in nome del "rispetto della democrazia", e dovrebbe esser quindi ancor più chiaro il senso di direzione dei vari Draskovic, ad un tempo iper-nazionalisti e sul libro-paga dell’imperialismo.

Ed anche in questo caso, provvidenziale (per favorire il disastro) è stata l’opera delle "sinistre", le quali, proprio mentre nel paese lo scontento popolare si manifestava in un’ondata di scioperi economici e, potenzialmente, politici, sono accorse a frenare il malcontento operaio per indirizzarlo verso le urne richiamandosi all’esigenza di una Serbia "libera e pacifica", "garantita" dagli accordi internazionali, quale precondizione della "ricostruzione". Il partito "comunista" della moglie di Milosevic si è ben distinto in ciò e tra moglie e marito nessun altro ci ha messo il dito... comunista sul serio.

Le cronache recenti parlano di un imminente pericolo di guerra civile. Non sappiamo sino a qual punto ciò sia vero. Di certo, lo è che occorre come non mai una forza capace di indicare al proletariato serbo, già messosi in moto, una sua linea d’indirizzo e d’azione contro l’insieme delle forze borghesi interne per riportare in avanscena l’unica prospettiva plausibile: quella della riunificazione del proletariato jugoslavo e balcanico contro la duplice oppressione capitalistica interna ed esterna.

In Croazia ha fatto scalpore la manifestazione di massa di Zagabria contro l’ennesimo tentativo di Tudjman di imbavagliare la libera informazione. Gli USA hanno fatto sapere al proprio fattorino dell’HDZ che "non è il caso di esagerare". La curiosità del fatto si spiega facilmente: la gestione di uno "stato-cliente" come questo, alle porte d’Europa, e nel caos di agitazioni interne che si sta verificando, non permette di puntare tutte le carte su un regime squalificato qual è quello di Tudjman. Occorre lasciare aperte altre porte...

E che queste ultime siano ben affidabili lo dimostra il fatto che l’opposizione si sta unificando senza troppe remore di confondere estrema sinistra (si fa sempre per dire!) ed estrema destra al proprio interno, promettendo insieme una maggior difesa delle classi lavoratrici e dei diritti democratici di espressione ed una maggior aggressività sul piano della difesa ed espansione territoriale della "grande Croazia". C’è da rabbrividire...

Non senza ragioni, Tudjman se la prende con quest’accozzaglia vergognosa sinistr-destr mentre organi di stampa a lui vicini avvertono: attenti!, noi non faremo il cane da guardia per nessuno, neanche per la Germania e gli USA!, rivendichiamo la nostra indipendenza, la nostra piena ed esclusiva "croaticità"! Che è poi il problema su cui oggi sorvola, ma che non potrà fare a meno di dover prendere (impotentemente) in mano la stessa opposizione.

Nel frattempo le agitazioni economiche e sociali si stanno sviluppando in tutto il paese ed hanno dato luogo, tra l’altro, alla prima manifestazione nazionale unitaria dei metalmeccanici (che l’indipendenza ha dimezzato di numero; dimezzato, leggete bene!). Cosa si diceva in questa manifestazione, oltre alle rivendicazioni salariali? "Non permettiamo la distruzione della nostra industria". Un messaggio rivolto a chi? Al fattorino ed al padrone, è ben chiaro.

E' da qui che deve rinascere l’organizzazione, anche e soprattutto politica, della classe operaia croata, per forza di cose jugoslavista ed internazionalista.

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