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Situazione politica italiana

LEGHISMO AL SUD:
OGNUNO PER SE’ E TUTTI CONTRO TUTTI

Indice

Non esiste una unità oggettiva del Sud
Il "partito dei sindaci" impazza.
Come vendere meglio la pelle del proletariato.
Si sta scherzando col fuoco.
Una linea unitaria di classe

Nonostante il minore clamore, sul versante Sud la deriva leghista procede non meno spedita che al Nord. Anzi al Sud avanza su un terreno ancor più disastroso. Infatti al Nord prevale l’ipotesi di Bossi che punta a centralizzare tutta l’area in un’unica entità in grado di potersi confrontare, almeno nelle intenzioni, con gli altri giganti occidentali. Al Sud invece sembra imporsi la deriva regionalista o, peggio, municipalista, in cui tutti sono in buona sostanza in concorrenza contro tutti.

Le ragioni di tale deriva vanno materialisticamente ricercate nelle vicende storiche più o meno recenti, nella struttura produttiva e finanziaria del mezzogiorno, nonché nella sua collocazione nella divisione internazionale del lavoro.

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Non esiste una unità oggettiva del Sud

Quando leghisti del Sud e neo-borbonici affermano che nel meridione l’unità d’Italia più che ricercata fu subìta, non hanno tutti i torti. Così quando si dimostra che la scelta immediatamente post-unitaria della borghesia fu di assegnare al Sud il ruolo di mercato di sbocco e di finanziatore delle industrie del Nord. Gli stessi sforzi del recente passato di accorciare le distanze tra le due aree del paese, attraverso l’intervento statale, non hanno dato -né potevano- risultati strutturali e duraturi. E’ bastato il riesplodere delle contraddizioni capitalistiche, con il corollario della riacutizzata competizione tra le potenze imperialiste, per dare un colpo mortale all’effimero sviluppo indotto.

La polarizzazione tra le varie aree del paese ha fatto in pochi anni passi da gigante, e, quel che è peggio, è avanzata all’interno dello stesso mezzogiorno. Le varie regioni del Sud, a parte la disoccupazione e la disperazione crescente, non hanno in comune tra loro molto più di quanto abbiano con quelle del Nord. Gli interscambi di merci, monetari e finanziari sono insignificanti. L’unica "industria" di un certo peso, il turismo, le vede in accesa competizione.

L’area pugliese e barese in particolare è oramai protesa verso i vicini Balcani dove, tra repubbliche ex-jugoslave e Albania, si è alla ricerca del nuovo Eldorado. I traffici leciti e illeciti verso queste zone sono un pezzo decisivo delle attività della regione. In Sicilia si infittiscono le relazioni commerciali col Nord-Africa e si rafforza l’idea, già teorizzata dalla giunta regionale, di candidarsi a elemento di intermediazione per chiunque voglia fare affari con quell’area (con un occhio di riguardo verso gli storici "amici" inglesi e americani). In Campania il Comune di Napoli (guidato dall’Ulivo) e la Regione (guidata dal Polo) sono in competizione tra loro per convincere istituti finanziari statunitensi a investire nei propri progetti...

Con tali premesse una reazione unitaria a livello di regioni meridionali con forza e determinazione analoghe alla Lega è ben difficile.

Anche Cito, autocandidatosi a più riprese quale difensore dell’unità nazionale e in subordine degli interessi di tutto il Sud, trova difficoltà a estendere la sua influenza oltre i confini della provincia tarantina. Al di la delle sue stesse intenzioni rischia di essere sospinto a rappresentare interessi sempre più localistici.

Gli altri microaggregati che si richiamano alla tradizione borbonica o a un non meglio precisato "suddismo" (Nazione Napoletana, Lega Sud, Calabria Libera, le varie liste presentatesi in Sicilia alle ultime elezioni), partono a loro volta condizionate da un riferimento al massimo regionale, né hanno riscontri migliori quanto ad adesioni e mobilitazioni. Anche se alcune campagne e proposte si innestano su un senso comune sempre più diffuso (tentativi di "cartelli" di industrie meridionali, campagne per boicottare i prodotti "nordici", e, sul piano politico/storico, lo sforzo di ricostruire un’identità, quale collante ideologico).

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Il "partito dei sindaci" impazza.

I veri protagonisti del leghismo meridionale continuano a essere i sindaci con il loro "federalismo municipale" che si candida per il momento a rappresentanza politica del Sud verso il governo di Roma.

Dopo le dichiarazioni programmatiche, nell’assise costitutiva dello scorso anno, è andato avanti lo smantellamento di tutte le politiche sociali e una gestione dei servizi finalizzata sempre più alla "redditività" delle imprese erogatrici. A tale scopo è proseguita l’apertura verso istituzioni finanziarie e politiche, nazionali e sovranazionali, con rapporti diretti che scavalcano ogni intermediazione governativa e/o regionale.

Insomma un federalismo delle 100 città che, nella ricerca spasmodica di partner e interlocutori sempre più appetibili, crea una concorrenza al ribasso e determina casi di vero caos normativo-procedurale.

Si pensi alla vicenda della ristrutturazione di Bagnoli, dove Comune e Regione si sono accapigliati per mesi nel rivendicare, ognuno per sé, competenze e titolarità, paralizzando e ritardando lo stesso iter dell’operazione (quando si dice la migliore funzionalità del federalismo!).

Addirittura la voglia di protagonismo e autonomia determina la richiesta di alcune province di separarsi dalla propria regione, o di alcuni comuni di diventare a propria volta capoluoghi di provincia: il Sannio vuole aderire al Molise, Matera è "attratta" dalla regione Puglia; aspirano a diventare capoluogo centri come Aversa e Sala Consilina in Campania, Crotone e Paola in Calabria, Mazara in Sicilia.

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Come vendere meglio la pelle del proletariato.

Questo effetto concorrenza, impulsato dalle istituzioni locali, produce già oggi conseguenze perniciose per il proletariato meridionale. Se da una parte aumenta le richieste all’odiato governo romano affinché allarghi i cordoni della borsa per creare nuove occasioni di sviluppo e "quindi" di occupazione, dall’altra il movimento dei sindaci è in prima fila nella battaglia per introdurre la massima flessibilità nell’impiego della forza lavoro. Già intorno ai Patti Territoriali e ai Contratti d’area si è scatenata la rincorsa a chi offriva condizioni più "vantaggiose" per richiamare nuovi investimenti, ma i vincoli residuali, mantenuti dalla legislazione e dalla contrattazione nazionale, vengono percepiti come un intollerabile ostacolo da superare al più presto.

Il sindaco di Catania e coordinatore dei sindaci, Bianco, ha lanciato un appello per convocare gli Stati Generali del Lavoro. Lo scopo è deviare la protesta sociale che va incubando, e magari farsene rappresentante, e nel contempo costituire, agli occhi dei padroni nazionali ed esteri, un canale istituzionale privilegiato per accedere allo sfruttamento del proletariato meridionale. In un recente "Pinocchio" Bassolino diceva che gli imprenditori europei a Napoli e nel Sud non rimpiangerebbero il costo della mano d’opera albanese....

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Si sta scherzando col fuoco.

Eppure la relativa pace sociale non è destinata a durare a lungo. La disoccupazione effettiva crescente, gli ammortizzatori sociali che si restringono, la diffusione quasi unicamente di lavoro nero e precario più o meno legalizzato, fanno del Sud una santabarbara le cui polveri si vanno sempre più asciugando. Il rischio è che le inevitabili rivolte non trovino un interlocutore di classe, data la situazione di generale arretramento della classe operaia sul piano nazionale, fino alla diffusione nelle sue file del morbo leghista. Anzi non è da escludere, come già detto più volte, che proprio eventuali insorgenze sociali nel meridione, forniscano alla Lega quella sponda oggettiva necessaria a completare il progetto secessionista. Così come non è da escludere che queste rivolte, in mancanza di un movimento unitario di classe in cui inserirsi, assumano aspetti localistici e interclassisti tali da rafforzare la tendenza separatista anche al Sud.

La situazione non può essere assolutamente affrontata con la strategia dei "pannicelli caldi" del riformismo. Non solo perché questa non può dare risposte ai problemi del proletariato meridionale. Ma soprattutto perchè l’illusione di conciliare gli interessi di capitale e lavoro porta ad accettare le logiche delle compatibilità e della concorrenza. Ciò finisce col favorire la politica borghese di mettere settori del proletariato gli uni contro gli altri

A misura che le promesse di New Deal e di piani per il lavoro si riveleranno pure chiacchiere, apparirà sempre più credibile chi cercherà di scagliare i proletari meridionali contro i "privilegiati" del Nord.

Le energie di ribellione e di lotta che si stanno accumulando al Sud possono diventare, invece, un enorme potenziale rivoluzionario, alla condizione che il proletariato sia in grado di raccoglierle e indirizzarle in un movimento unitario di difesa dall’aggressione del capitale.

Questo compito grava sulle spalle della classe operaia, meridionale e non solo. Se essa smetterà di piegarsi alla sua divisione, se smetterà di sottomettersi agli interessi capitalistici (aziendali, localistici o nazionali), potrà ritrovare l’unità necessaria per opporsi davvero alle politiche borghesi. In questo quadro di risposta di classe la disperazione del proletariato disoccupato del sud potrà trovare la sua giusta collocazione, sottraendosi all’uso che il capitale ne fa per aumentare la divisione e la contrapposizione interne al proletariato stesso.

Il terreno immediato di unificazione può essere costituito da rivendicazioni quali la riduzione drastica dell’orario di lavoro a parità di salario e il salario garantito, cioè il pagamento del prezzo di tutta la forza lavoro, a prescindere da quanta il capitale ne impiega. Ma esse implicano la rottura più netta con la logica delle compatibilità dell’economia nazionale e una lotta radicale nelle piazze e nei posti di lavoro fino a porre la questione del potere e quella dell’abbattimento del capitalismo. Rivendicazioni che non può far sue chi si genuflette agli interessi del mercato, chi limita il suo orizzonte all’agone parlamentare, o chi -come Bertinotti- propone l’obolo per un anno ai disoccupati (dal classismo s’era già passati alla solidarietà, ora il salto è completo: verso la carità).

Le caratteristiche dell’attacco borghese, le contraddizioni in cui il capitalismo si dibatte, non consentono mediazioni di sorta: o si sta dalla parte dei bisogni proletari e delle reazioni violente che la loro compressione scatena, anche e ancora prima che esse avvengano, o si è travolti da quella stessa rabbia che non si è voluto e potuto rappresentare.

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Una linea unitaria di classe

Sarebbe semplicistico però pensare di poter risalire la china unicamente puntando sulle rivendicazioni immediate, per quanto unitarie e generali esse possano essere. Il processo di divisione nelle file del proletariato ha già compiuto notevoli passi avanti. Per bloccarlo è indispensabile un impegno sul piano politico per contrastare una tendenza fondata sì su basi materiali, ma continuamente impulsata dagli attacchi della borghesia e dalla sciagurata linea perseguita dal riformismo. Basti pensare al tentativo di contrapporre i giovani agli anziani, gli occupati ai disoccupati, i proletari del Nord a quelli del Sud per rendersi conto di come ormai si cerchi scientificamente di organizzare la contrapposizione e la concorrenza tra i vari settori di proletariato.

E’ tempo di prendere atto che non è possibile difendere neanche un singolo terreno se non ci si dota di una coerente linea programmatica e di azione anticapitalistica capace di contrastare su di un piano generale l’iniziativa dell’avversario di classe.

E’ necessaria quindi una azione politica organizzata dei comunisti e dei proletari più coscienti che sappia delineare una contrapposizione complessiva all’offensiva della borghesia che avanza tanto sul terreno ideologico quanto su quello politico e organizzativo.

Nel nostro piccolo, anche nel mezzogiorno, siamo impegnati in questa battaglia. Per contrastare la deriva del leghismo crescente indicando ai lavoratori e ai disoccupati la via di un Fronte Unico di classe con i proletari del Nord. E per affermare la necessità della rottura con la logica del mercato che mette i proletari in concorrenza tra di loro in una competizione senza fine.

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