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Situazione politica italiana

DAL CONGRESSO DEL PDS,
L’ADDIO AL PARTITO "OPERAIO"-BORGHESE

 

Il congresso del PDS: un congresso di amministratori sempre più allineati alle politiche liberal-democratiche richieste dai mercati, sempre più lontani dai bisogni anche immediati della classe operaia, e sempre più divisi tra loro in base a interessi localistici.

Del secondo congresso della Quercia si possono dire mille cose, ma una sola è quella che veramente conta, ed è che esso sancisce, anche formalmente, di non esser più un partito operaio ("operaio"-borghese, secondo la corretta definizione marxista).

Tempo addietro si diceva di voler transitare dal "comunismo" alla socialdemocrazia, dalla coreografia "rivoluzionaria" alla ideologia ed alla pratica del riformismo. Neppure questo risulta oggi adeguato: gli spazi riformisti (e qui avrebbe ragione Bertinotti, se non si tradisse subito dopo scendendo al concreto delle "controsoluzioni") non esistono più. Una "sinistra moderna" deve riferirsi alle leggi impersonali ed imperiose del capitale, assicurarne la "migliore" gestione in concorrenza solidale con la "destra moderna". E, in questo, non vi può essere altro di "sociale" che il tentativo, quando c’è, di coinvolgere gli stessi sfruttati nel meccanismo del proprio sfruttamento, badando a limitare gli "eccessi del liberismo selvaggio", ma troncando di netto ogni velleità di antagonismo (il corporativismo cattolico e fascista non dicevano nulla di diverso). Quanto alla "democrazia", essa resta confinata alla finzione della "libera volontà popolare" da depositare di tanto in tanto nelle urne "scegliendo" tra griffe politiche diverse, espressioni, tutte, dell’unico totalitarismo economico-sociale e politico che sta alla base.

Per un concorso di dati oggettivi e soggettivi nazionali ed internazionali che hanno giocato, in questi anni, a sfavore del proletariato, la crisi della vecchia struttura "comunista" del PCI non ha liberato delle energie sufficienti a porre le premesse di un’alternativa di classe. La scissione del PRC, paradossalmente, ha facilitato il passaggio indolore al PDS consegnando ad esso una maggioranza di consensi proletari e, quanto a sé, è riuscita ad impantanare delle utili energie di classe nel gioco dei bussolotti di un "riformismo serio" che non conduce da nessuna parte (ovvero, porta all’appoggio di fatto, con qualche bizza di facciata, ad un governo conseguente della borghesia); né le cose cambieranno sostanzialmente allorché il PRC sarà inelegantemente messo alla porta: di qui ripartirà, semmai, tutto il protestatarismo possibile, ma all’inseguimento delle postazioni perdute del quadro passato, giammai una reinversione di rotta sul terreno comunista. L’ennesimo diversivo contro il comunismo.

(E’, questa, la ripetizione di una cosa già vista, allorché ci fu la scissione nel PSI da parte del PSIUP, con lo sgravio per il PSI della vecchia ipoteca "operaia" e la costituzione, alla sua sinistra, di un partito -allora molto più serio ideologicamente, ai suoi esordi, di Rifondazione- in funzione di riserva indiana per i riottosi fatalmente destinata a concludersi nell’inglorioso modo con cui s’è conclusa)

"PDS, svegliati!", scriveva sull’Unità Michele Salvati, "abbandona i vecchi schemi dello stato sociale", abbandona ogni riferimento anche formale alla classe. E il PDS si è svegliato. Basta scorrere la relazione del clintoniano Veltroni per accorgersi del fastidio addirittura con cui questa "nuova classe di governo" tratta i "residuali" e li chiama a piegarsi alle leggi della flessibilità, del salario legato alla produttività, dei "valori" dell’imprenditoria contro l’"assistenzialismo" del lavoro salariato, dell’ubbidienza cieca ed assoluta alle leggi del capitale, delle lacrime e sangue addolcite da un liberismo appena appena temperato.

La voce dissonante di un Cofferati (che pure si presenta immune da ogni "estremismo ribellistico" e "residuale", come tutti ben sanno) segnala, tuttavia, che le ragioni dell’antagonismo (anche se lui mai le chiamerebbe e vorrebbe tali) restano saldamente in piedi. Una "terza sinistra", ha scritto qualcuno, dopo quella di D’Alema e Bertinotti. No, si tratta della voce compressa, deviata e tradita di un proletariato che, a scala nazionale ed internazionale, non ha mai cessato di esistere e di lottare e che deve trovare la sua via, ritrovare sé stesso.

Conciliare la "sinistra di governo" con la "protezione degli strati deboli", come pretenderebbe Cofferati, è semplicemente una quadratura del cerchio. Lo proveranno -lo stanno già provando- i lavoratori sulla propria pelle e se ne potrà uscire solo nella prospettiva della ricostituzione del partito di classe e di organizzazioni sindacali legate ad esso nella prospettiva rivoluzionaria.

Noi non siamo particolarmente impressionati per il fatto che fior di militanti operai tuttora continuino ad abboccare all’amo del PDS e del PRC. Per quanto micidiale possa essere questo loro estremo aggrapparsi ad un riformismo ormai consunto, sappiamo che le loro ragioni di classe non cessano di farsi sentire anche sotto questa veste ed altrettanto certi siamo che esse dovranno, prima o poi, aprire la strada ad una divaricazione di scelte programmatiche ed organizzative. Il nostro "fronteunitarismo" di classe non fa una piega (e le sue distanze dal fronteunitarismo borghese, di governo, dei Bertinotti -od anche dei Ferrando- non cessano di crescere).

Il problema grosso è dei tempi che incombono. I tempi che abbiamo alle spalle hanno permesso che dal vecchio PCI, dalla maschera "anticapitalista", si passasse al PDS ed al PRC ritardando il processo di chiarificazione e riorganizzazione di classe. Quelli che abbiamo davanti ci mostrano tutti i pericoli di una possibile ridislocazione di strati forti di proletariato combattivo dietro le sirene della Lega, del "meridionalismo".

e, comunque, del federalismo inter-classista. L’estrema degenerazione del "riformismo operaio" può concludersi anche in questi esiti micidiali, proprio in conseguenza coi suoi vecchi presupposti, le sue vecchie abitudini. Si tratta di un materiale umano che proprio il vecchio riformismo consegna al nemico, e peggio allorché finge di non rendersi conto del problema (con ciò illudendosi di sgravarsi delle proprie responsabilità), e non sarà mai abbastanza presto accorgersi che, contro il leghismo, si può lavorare solo fraternizzando fronteunitariamente col proletario leghista e che, condizione di ciò, è rompere implacabilmente col fronteunitarismo governativo borghese. O, forse, qualcuno non intende come a Milano, ad esempio, per le prossime amministrative dei buoni proletari voteranno contro il candidato confindustriale dell’Ulivo per sane (ancorché deviate e tradite, questo è certo!) petizioni di classe? Noi non rimprovereremo nulla ad essi senza averlo fatto prima a quanti, dalla "sinistra" (vero, signor Bertinotti?) li costringono a questo mal passo.

Questo c’insegna, una volta di più, la kermesse del congresso pidiessino, col suo codazzo di ospiti illustri, da Rauti a Bertinotti, dai capitani d’industria a Cofferati.

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