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SASSI, CAVALCAVIA, GIOVENTU’

Che paradiso, ragazzi!

"Ci sarà pur una ragione se da quando la rivoluzione industriale si è messa in marcia, a metà del XVII secolo, i suicidi in Europa sono passati dal 2,5 per centomila abitanti al 6,8 di metà dell’800 al 19,4 attuale. Un aumento del 900%. Ci sarà una ragione se la nevrosi (non le malattie mentali -paranoia, schizofrenia, demenza- che sono sempre esistite) era pressoché sconosciuta in era pre-industriale, comparve col suo avvento, divenne un problema sociale nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento (di qui la nascita della psicoanalisi) per esplodere come segno di disagio acutissimo in questa seconda metà del secolo. Oggi, secondo uno studio del ministero della Sanità degli Stati Uniti 566 americani su mille fanno uso abituale di psicofarmaci. Cioè, nel paese guida della civiltà tecnologica più di un abitante su due non regge la società in cui vive. Ci sarà una ragione se l’alcolismo di massa nasce con la civiltà industriale. Per non parlare della droga che devasta le giovani generazioni."

Da L’Indipendente, 3.2.’96

La vicenda dei sassi di Tortona ha portato ad una autentica valanga di commenti e di considerazioni su tutti gli organi di informazione. Da ogni dove sociologi e preti, intellettuali progressisti e conservatori, noti editorialisti ed "accorti" studiosi sono scesi in campo per dire la loro. Diciamo anche noi la nostra.

Anzitutto: merita solo profonda nausea e disprezzo il richiamo ipocrita all’urgenza di tornare al "pieno rispetto della vita umana" con cui questi signori hanno condito i loro interventi. Costoro, che hanno giudicato "aberrante" quanto accaduto a Tortona, sono gli stessi che hanno propagandato, benedetto e applaudito ben altri "sassi" scagliati da ben altri "cavalcavia": le migliaia di bombe occidentali che devastarono l’Iraq, i confetti esplosivi che la NATO ha donato alle popolazioni serbo-bosniache della ex-Jugoslavia, i mitragliamenti ONU contro le masse somale, la quotidiana opera (sempre "umanitaria" ovviamente) di rapina, sterminio e saccheggio che l’imperialismo compie in ogni angolo del pianeta. Un’autentico diluvio di beneficenza su centinaia di milioni di Letizie Berdini di colore.

Ma il fiume di volgari analisi socio-psicologiche che ha inondato le pagine dei giornali e gli schermi delle televisioni non è solo il frutto della classica ipocrisia borghese, bensì anche della impellente necessità di occultare il vero responsabile e la vera causa di ogni manifestazione di degrado e di disgregazione sociale. Esemplare è in questo senso Zincone, che sul Corriere della Sera del 17.1.’97 scrive: "Bisognerà rassegnarsi a constatare che i delinquenti dei cavalcavia non sono affatto dei prodotti della nostra società post-industriale, ma che essi ci ripropongono una barbarie arcaica... vecchie bestie da domare con le buone o le cattive maniere". No, bestia post-moderna di uno Zincone! Quello che abbiamo sotto gli occhi non è il risveglio della "belva antica" che, a sentir te, si anniderebbe minacciosa in ogni uomo. No, non lo è, come non solo sono l’aids e la mucca pazza, che tu stesso associ al fenomeno dei sassi: non sono flagelli venuti da tempi remoti e ancestrali. No, tutto ciò ha un padre ben riconoscibile e, purtroppo, ancora in vita: è questo sistema sociale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sull’oppressione generalizzata, sulla mercificazione e sull’abiezione di tutti gli aspetti del vivere umano.

Certo, ci sono state propinate anche "letture" e "soluzioni" apparentemente e formalmente ben lontane da quelle esplicitamente reazionarie di uno Zincone. Analisi che hanno sottolineato come alla base del fenomeno dei "sassi" vi sia l’assenza di valori morali nella società, la crisi della famiglia, il crollo della funzione educativa della scuola, la disoccupazione e la precarietà. Analisi insomma che hanno saputo ricondurre il fenomeno, anche se non ci voleva molto, al reale disagio materiale e "spirituale" che attanaglia in una autentica morsa il mondo giovanile (quello proletario e semi proletario innanzitutto da cui non a caso proviene la totalità dei "lanciatori"). Ma la loro logica è sempre una e una sola: avere massima cura nel tenere separati gli effetti più evidenti del malessere sociale (al più da denunciare) dalla loro causa (il sistema sociale borghese nel suo complesso, da difendere e tutelare -quale che sia l’ampiezza e l’orrore delle patologie che produce- come il migliore dei mondi possibili).

"Ricostruire i valori", viene detto. Ma quali valori possono essere ripristinati in questa società se non quelli della rancida e assassina trimurti "dio, patria e famiglia"? Quali sono le terapie che il potere suggerisce ed inizia a sperimentare come vie della "rinascita morale"? Non dice forse nulla il fatto che per far fronte ad una "gioventù senza ideali" nelle scuole inglesi e statunitensi (le famose scuole tanto care ai veltroni-boys) si rispolvera l’arruolamento degli allievi in corpi cadetti affiliati all’esercito o si affida la direzione degli istituti ad ex-generali?

"Dare davvero a questi giovani prospettive, speranza, fiducia a farli uscire dalla frustrazione e dalla demotivazione della vita", scrive il cardinale Martini in un intervento sulla Stampa. Già, ripristinare la fiducia e la speranza in questa marcescente società, per ricondurre all’ovile i giovani proletari ridotti a pecore: ecco di cosa parla l’illustre prelato, ecco il massimo, ma proprio il massimo, che arrivano a biascicare anche i rappresentanti della sinistra quando non si limitano a posizioni puramente forcaiole, o quando (come certa sinistra "alternativa") non si dedicano a richiedere più volanti di polizia nei pressi dei cavalcavia.

Rassegnatevi ragazzi -dicono all’unisono tutti costoro-, per voi il mondo è questo, bisogna accettarlo così com’è, al più sarà possibile qualche abbellimento della facciata, ma sappiate che -per dirla con le collane spazzatura di "letteratura popolare" maggiormente in voga in Giappone ed Usa- "non si può avere nella vita altro che brevi, fugaci, momenti di soddisfazione e di felicità". Rassegnatevi e accettate questo tipo di esistenza, perché un’altra non ce n’è.

Un messaggio ben diverso e frontalmente opposto deve invece essere lanciato dal e nel proletariato verso le nuove generazioni. La vicenda dei sassi, al pari di tanti fenomeni simili, affonda le sue radici e trova spiegazione nel tremendo senso di nulla, di "vuoto", di precarietà ed insicurezza, nell’assenza di qualsiasi prospettiva (non solo materialmente intesa) che incombe sulle masse giovanili. Un giovane di Tortona ha detto: "I Furlan sono degli sfigati come me. A casa loro sono in otto e hanno solo sei sedie. Qui da noi è così, ci sono solo due categorie: i figli dei ricchi e gli sfigati come noi" (La Stampa 25.1.’97).

Vero, a Tortona come ovunque, il mondo è diviso in due: da un lato i borghesi e gli oppressori, dall’altro gli sfruttati e gli oppressi. Sia le pietre dai cavalcavia, sia la "contrapposta" voglia di "farsi giustizia con le proprie mani" che in in tanti proletari, giovani e meno giovani, questi fatti hanno suscitato, sono anche il sintomo, certo inconsulto e gravemente deviato, di una legittima e sacrosanta voglia di ribellarsi alla vita "sfigata" a cui si è condannati, e alle tante cose insopportabili con cui si è costretti a convivere nella vita quotidiana. Sono il tentativo istintivo di cercare una via d’uscita a tutto ciò, e di farlo nell’unico modo che si intuisce possibile: tramite l’esercizio della violenza. Ma perché questa violenza e questa ribellione non assumano forme disgraziatamente auto-distruttive ed anti-sociali, come nello sciagurato caso di Tortona, o non finiscano in balìa di reazionarie richieste "d’ordine" (che si ripercuoteranno necessariamente su tutti gli "sfigati") è indispensabile che la classe operaia, le sue avanguardie ed innanzi tutto i comunisti offrano ed indichino alla gioventù proletaria e semi-proletaria una reale e collettiva prospettiva di lotta e di riscatto.

Per molti giovani, il primo passo in questa direzione può e deve essere il riconoscimento della propria condizione come condizione comune a una massa di persone e, quindi, da combattere collettivamente attraverso tutte quelle forme di associazione, di socializzazione e di unione capaci di trasformare la disperazione e la rabbia in un moto di autentica ribellione contro tutto l’insieme delle relazioni che ci schiaccia e ci esclude. E rompendo il corto-circuito individualista (ancorché di gruppo) della banda: "noi soli contro tutto il mondo", per arrivare, come si è cominciato a fare per esempio a Los Angeles, a unirci "noi, ‘sfigati di tutti i colori’ contro chi ci condanna a una vita di merda".

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