[che fare 43]  [fine pagina] 

PEDOFILIA: UNA LEGGE NELLA GIUNGLA

Ormai è ampiamente documentato: lo sfruttamento della prostituzione minorile, la pedofilia, il turismo sessuale non sono manifestazioni morbose sporadiche, casi clinici da isolare e curare, costumi sessuali da rintracciare in qualche tribù di aborigeni ignari del progresso civile: i dati "ufficiali" parlano chiaro: 10 milioni di bambini arruolati nell'industria del sesso (ogni anno, un milione in più), 250 milioni di video porno venduti nel mondo, protagonisti i minori stuprati, seviziati e a volte uccisi; decine di organizzazioni di difesa del diritto alla pedofilia, un giro d’affari di miliardi di dollari (Rivista del volontariato, genn. ’96).

Un fenomeno in costante crescita, con evidenti connotazioni di classe, a livello mondiale: le vittime, gli sfruttati, concentrati nel terzo mondo, ultimo risultato dello sfruttamento complessivo di quelle popolazioni, incapaci, nell’estrema miseria, di difendere i propri figli (nella giungla, si sa, i soggetti più deboli soccombono) ma sempre più anche in casa nostra; gli sfruttatori, i beneficiari del nobile traffico, provenienti dalle classi medio-alte di tutti i paesi occidentali. L’Italia può vantare, anche in questo campo, il posto che le spetta nel novero dei paesi più "sviluppati".

Un fenomeno che, dopo essere stato tranquillamente tollerato (con qualche ammiccamento tra amici: sei stato in Thailandia, eh?), viene ora considerato con allarme e pavidamente temuto per i suoi effetti devastanti di ritorno: ora si temono le conseguenze; si teme l’inarrestabile avanzata dell’AIDS che sta dilagando in quei paesi e minaccia di contagiare gli "utenti", si teme il collasso di quelle economie senza più giovani da sfruttare in modo più duraturo, ora c’è allarme perfino nella sonnolenta ONU, che conclude nel suo rapporto sulla questione: "non esiste regione, paese, città o villaggio risparmiato dal fenomeno dello sfruttamento sessuale di minori a fine di lucro" (Liberazione 17.4.97)

C’è di che scuotere le "coscienze"! Mobilitare le energie! Affrontare il problema! Già, ma qual’è il problema?

Com’è possibile che da poche centinaia di persone che rivendicano il diritto alla perversione pedofila, si passi ai milioni che la subiscono e la praticano e che il loro numero sia in continuo aumento?

C’è una legge ferrea e immutabile che regola l’economia mondiale capitalistica e, di conseguenza, la vita delle società mercantili, senza distinzione di latitudine o emisfero: non appena appare sul mercato una nuova merce, non appena si capisce che da essa si può trarre un profitto, il destino della stessa è segnato, la corsa al suo sfruttamento è inarrestabile. Essa entra a buon diritto a far parte del meccanismo generale di mercato, e risponde ad un solo imperativo categorico: produrre sempre più denaro, produrre sempre maggiore profitto. Ebbene, negli ultimi anni si è prepotentemente affermata sul mercato un nuovo tipo di merce: il corpo infantile come oggetto sessuale. E il commercio tira.

E’ nota la assoluta indifferenza delle leggi del mercato ai danni, alla capacità distruttiva individuale e sociale di quelle merci che più producono profitti (la droga, le armi, solo per fare degli esempi), così come la assoluta impotenza delle lamentele, dell’indignazione e della buona volontà a contrastarne la diffusione con qualche efficacia, posto che si rinunci a comprenderne le cause profonde e affrontarle alla radice.

Anche su questo problema c’è stato un grande agitarsi ed indignarsi (per un po’, come si suol dire, la pedofilia ha fatto notizia), discutere e dibattere in ogni ambiente, infine, come sempre, la montagna di chiacchiere ha partorito, unendo le forze, il tradizionale topolino, sotto forma di... disegno di legge.

Sappiamo ora, finalmente, quanti mesi di carcere vale il terrore di un bambino.

Un’autentica buffonata, che ha ritrovato unanimi, c’era da aspettarselo, governo e opposizioni, a ribadire che il pedofilo, lo sfruttatore, lo stupratore è comunque sempre e solo un individuo, da prendersi isolatamente, da giudicare più e meno severamente, un individuo deviato che si trova per puro caso all’interno di un traffico che è MONDIALE, come dimostra tra le tante la tabella che riportiamo, e di cui va esaminata, giudicata e se necessario condannata solo ed esclusivamente la responsabilità personale.

Così come per altre tragedie epocali, così come per le carestie, le migrazioni, le guerre, è assolutamente necessario non far sapere al contadino thailandese, che vende la propria figlia allo sfruttatore, che la sua tragedia è collegata con quella del proletario belga, minacciato nell’unica speranza di futuro: ad essi lo stato delle classe "pedofile" risponde - e non potrebbe altrimenti- con un... disegno di legge, quasi a dire: dietro all’autore del delitto, non c’è uno stato, che sostiene e legittima questo sistema che si alimenta di simili delitti e funziona grazie ad essi; non c’è una classe che vive dell’oppressione di un’altra, e noi lo dimostriamo, noi giudichiamo e condanniamo l’unico, vero colpevole: l’individuo pedofilo. E’ ASSOLUTAMENTE VIETATO lasciar intendere a chi subisce più pesantemente gli effetti di questo sistema, che l’azione collettiva, la ribellione collettiva, l’organizzazione collettiva degli sfruttati è l’unico modo reale di contrastare gli effetti e di rimuovere la causa dei flagelli che su di lui si abbattono con sempre maggiore estensione e frequenza.

A questo squallido gioco nessuno sembra seriamente intenzionato a sottrarsi: da Rifondazione alla Lega, con le opportune distinzioni e sfumature di cinismo, emerge unanime il messaggio di compattamento attorno allo stato e alle sue istituzioni, anche dopo che, come hanno ampiamente dimostrato gli ultimi sviluppi del caso Dutroux, in Belgio, è evidente che "gli assassini" hanno potuto operare e prosperare grazie alla complicità o all’indifferenza oggettiva e soggettiva di polizia, magistratura e rappresentanti dello stato di ogni ordine e grado.

Invano i lavoratori si difenderanno dagli attacchi che il capitalismo sferra contro di loro nell’estremo tentativo di sopravvivenza, affidandosi alle istituzioni dello stato e alle sue leggi, pronte a piegarsi ad ogni mutata necessità della classe dominante. Non basteranno i pretori del lavoro a cautelarli contro i licenziamenti che la crisi rende necessari, così come nessuno degli innumerevoli "disegni di legge" architettati ha né fermato né minimamente intralciato il fiorente commercio di droga, o impedito il degrado sociale e ambientale che è sotto gli occhi di tutti.

Per non vedere vanificato lo sforzo quotidiano che il proletariato fa per risollevare la testa -come si è visto nello splendido esempio del Belgio- è necessario fare il bilancio delle cause del continuo arretramento, del disorientamento e della frammentazione delle proprie forze, è necessario non cedere alla tentazione di delegare a partiti o istituzioni sempre più concordi nella difesa dello Stato (e dei meccanismi che regolano questo stato di cose), la difesa della propria sopravvivenza e la propria speranza di riscatto. E’ necessario trasformare la rivolta contro queste estreme manifestazioni del sadismo omicida del capitalismo nella capacità di collegamento permanente, di organizzazione e di fusione delle forze che a livello mondiale ne sono colpite e che sole hanno in sè la concreta capacità di neutralizzarne gli autori immediati e sradicarne le cause.

[che fare 43]  [inizio pagina]