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Situazione politica italiana

Piccoli quadri alla mostra sul federalismo

 

I POLLI DI RENZO

La Dana è una multinazionale con più di 50.000 dipendenti sparsi per il mondo. In Italia ha stabilimenti a Como (240 dip.), Vimercate (170) e Atessa (60). Di recente ha acquisito anche il gruppo Hurth, tre stabilimenti e 700 dip. in Trentino.

All’inizio del ’97 ha comunicato ai sindacati di Como di voler accorpare parte delle produzioni italiane in un unico stabilimento, che avrebbe potuto essere a Como. Su di un piatto della bilancia c’era la promessa di aumentare l’occupazione di 150 unità (con la chiusura, però, di Vimercate e Atessa), sull’altro la richiesta di tagliare ai nuovi assunti la gran parte del salario aziendale (quasi 6 milioni lordi all’anno).

La direzione ha posto un’alternativa secca: o si accetta la proposta o il nuovo stabilimento sarà costruito altrove, con il rischio di assorbire anche le produzioni di Como. E ha elencato le agevolazioni finanziarie, burocratiche e salariali offerte dalla Regione Trentino e quelle che otterrebbe in Francia.

Insomma, al "classico" operai italiani contro francesi, si aggiunge, grazie al federalismo già esistente sul piano politico e sindacale, di mettere gli operai di Como contro quelli di Vimercate e Atessa, tutti contro quelli trentini e viceversa. La "vittoria" sarà di chi accetta i tagli più pesanti al salario. Non si tratta, infatti, di tagliare solo i salari dei futuri assunti ma di tutti i lavoratori, perchè gli operai a salario ridotto saranno utilizzati per ricattare gli operai a salario intero. E questi sono gli effetti della "flessibilità"...

Con il federalismo e la flessibilità siamo appena all’inizio. Figurarsi quando ci sarà un federalismo (o regionalismo) maggiore e una maggiore flessibilità o se ci sarà la vera e propria secessione!

Questa vicenda svela il vero scopo di questi processi: distruggere l’unità dei lavoratori, per metterli in lotta gli uni contro gli altri, per peggiorare le condizioni di tutti. Secondo i dettami della "globalizzazione" dei capitali che aspirano ad aumentare lo sfruttamento degli operai in ogni parte del mondo. Nazionalisti, federalisti, regionalisti, secessionisti, flessibilisti, ecc. non sono altro che servili esecutori di quei dettami.

Ma svela anche quale pericolo sia l’aziendalismo. Credere di poter difendere i propri salari e il proprio lavoro difendendo la competitività della "propria" azienda sui mercati mondiali è come mettere da soli la testa sulla ghigliottina.

L’unica risposta a questi processi è di rifiutare di considerare gli operai di altre aziende, città, regioni e nazioni, come dei propri concorrenti, e, anzi, sviluppare con tutti loro una lotta unitaria contro un nemico che è comune.

Il sindacato, piegato alle esigenze aziendali, nazionali e locali, non ha tentato un collegamento nemmeno tra gli operai dei vari stabilimenti italiani coinvolti; ognuno per conto suo, chi a difendere l’"occupazione comasca", chi quella vimercatese, chi quella trentina. Peggio dei "polli di Renzo". Quelli si beccavano tra loro incoscientemente. Qui si becca il proprio simile nella speranza di conquistarsi la benevolenza del padrone. Senza chiedersi quanti altri prezzi bisognerà continuare a pagare per conservarla.

Il disaccordo di molti operai e l’iniziativa di una parte della Fiom aziendale hanno costretto almeno la Fiom-Cgil a rifiutare di sottoscrivere le condizioni poste dall’azienda. Con quale prospettiva? Se l’azienda conferma e rinnova la proposta, è molto improbabile che la Fiom continui a opporre resistenza, rischierebbe di apparire responsabile della dismissione della Dana di Como. La continuità a questa resistenza ai ricatti padronali può essere data solo dal rilancio dell’unità di lotta dei lavoratori al di là di ogni frontiera nazionale o federale. Ma a questo rilancio il sindacato non dà alcun contributo, anzi vi frappone continui ostacoli. Lo si può realizzare a condizione che tutti i lavoratori si impegnino direttamente sul piano sindacale e politico per rovesciare la linea di cedimenti continui e di sottomissione alle aziende, alle economie nazionali, locali, ecc., con cui i sindacati affrontano lo scontro in atto, evitando di cadere nella sfiducia, di illudersi nei "governi amici" o nelle promesse di paradisi padani.

O si imbocca questa strada, o i lavoratori sono destinati a fare "concessioni" continue alle direzioni, e ai governi, di turno.

LAZZARONI E... MASCALZONI

L’Unità del 15.4 scrive che la Sgs-Thomson, impresa italo-francese di microelettronica, programma di costruire, nel ’98, un nuovo stabilimento in Italia, con 800 lavoratori, tra diretti e indiretti. La ST ne ha già uno a Catania con 1.800 dipendenti. Sindaco di Catania, regione Sicilia e governo per convincerla a localizzare in questa città l’insediamento, le avanzano una serie di offerte. Il sindaco è disposto a (praticamente) regalare un terreno di 3 ettari, e si è fatto promotore di un "contratto d’area" con i sindacati per "garantire il massimo della flessibilità anche salariale". La regione promette di semplificare tutte le procedure burocratiche. Il governo avanza la possibilità di trasferire la quota della ST di proprietà dell’IRI a Finmeccanica, onde favorire la multinazionale nella prevista privatizzazione "a spezzatino" del gruppo pubblico.

Qualche giorno dopo la Padania comunica che anche a Cuneo speravano di ospitare la fabbrica della ST. Ora non gli rimane che imprecare contro l’ennesima truffa dello stato centralista per favorire il sud, mentre al nord impone solo nuove tasse...

Si sa, i capitali vanno dove trovano maggiore convenienza -ergo più profitti-. Col federalismo è indetta la gara tra "autonomie locali" per attrarre i capitali, offrendogli condizioni sempre più appetibili, a danno dei pubblici bilanci, dei salari e dei diritti dei lavoratori (d’altronde anche i danni ai pubblici bilanci son pagati poi dai lavoratori, con aumenti di tasse o riduzioni di spese sociali). La gara non è solo tra enti locali, ma finisce con l’essere una lotta anche tra lavoratori a chi riesce ad attrarre i capitali offrendo di farsi sfruttare più che da altre parti.

La Padania del 24.4 ci offre, al proposito, un’altra "chicca", che rivela, anche, quale uso anti-operaio della secessione si prepara a fare la Lega. A pag. 3 Pagliarini ammannisce la solita cantilena sulla "doppia moneta" che darebbe al sud "molto più competitività e attirerebbe capitali, le aziende farebbero la fila per investire in strutture". A pag. 16 (stesso giornale, stesso giorno!) relaziona della protesta del Presidente della Provincia di Varese e del "vivo allarme" in tutta la zona perchè la Lazzaroni di Saronno starebbe per trasferirsi in quel di Teramo, attratta da un finanziamento statale a "fondo perduto" di 20 miliardi. Alla Lazzaroni la diffida a non chiamare più i propri prodotti "di Saronno".

Al proletariato l’avvertenza sul pentolone federalistico o secessionistico in cui questi mascalzoni lo vogliono cucinare.

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