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Donna

PER UNA RISPOSTA DI CLASSE
ALL’ATTACCO AL DIRITTO ALL’ABORTO

Indice

Da anni, in tutti i paesi occidentali, si vanno infittendo e vanno, da più lati, convergendo le spinte per limitare o negare il diritto delle donne alla interruzione volontaria della gravidanza.

In prima fila si collocano, naturalmente, le organizzazioni fondamentaliste cristiane ed i movimenti "per la vita" che portano avanti campagne che si avvalgono di una formidabile rete organizzativa, che ha a propria disposizione efficaci strumenti di propaganda, come quei filmati documentari che illustrano il "massacro di milioni di innocenti" perpetrato dalle donne. Il più famoso dei quali è "Il grido silenzioso" dell’abortista pentito Nathanson, che circola tranquillamente nelle scuole di tutto il mondo, comprese quelle nostrane, per istillare negli adolescenti terrore e senso di colpa (non senza incontrare, talvolta, la reazione degli studenti, come è accaduto lo scorso febbraio al liceo classico Platone di Roma). Queste tendenze non si limitano al mero terrorismo psicologico, perché gruppi radicali come "Operation Rescue" (Operazione Salvezza) negli U.S.A o "La Treve de Dieu" (la Tregua di Dio) in Francia hanno portato a segno centinaia di attentati, macchiandosi anche di svariati omicidi, contro le cliniche ed i medici che praticano aborti.

Ma non si tratta solo dell’integralismo cattolico e cristiano. L’impulso a rivedere in senso restrittivo le attuali legislazioni in materia coinvolge oramai non pochi settori e partiti borghesi di ispirazione laica, e perfino laicista (vedremo poi il perché). Sicché, nonostante una certa mobilitazione (e non sempre soltanto di opinione) del "fronte abortista", non pochi parlamenti si trovano a dover ridiscutere e a dover rilegiferare in materia. Nei soli Stati Uniti, ad esempio, nell’ultimo anno ben 220 progetti di legge contro l’aborto sono stati avanzati in 37 stati.

In Polonia la chiesa cattolica era riuscita ad introdurre il divieto di abortire, ed ora continua a condurre una vera e propria battaglia contro la reintroduzione del diritto all’aborto operata nell’autunno ’93 dagli ex-"comunisti" appena tornati al potere. Restrizioni sono state introdotte in Ungheria, Slovacchia, Slovenia e negli altri stati dell’ex-blocco sovietico.

In Italia il Movimento per la vita tenta da tempo di imporre la revisione della legge 194, e oggi cerca di dare l’affondo capitalizzando il dibattito sull’embrione e la bioetica. Dibattito che è esploso in Italia, sull’onda della discussione in ambito europeo, intorno alle regole da dare al settore, sempre più strategico, della ricerca in campo genetico. Quale migliore occasione per Wojtyla e soci (dal Forum delle Associazioni Familiari al Movimento per la vita)? Ma anche in questo caso sono scese in campo forze "non confessionali" come AN, buona parte di Forza Italia e spezzoni di Ulivo, ed è stato un susseguirsi di proposte di legge per affermare i diritti giuridici dell’embrione "sin dal concepimento". La conseguenza ovvia è l’impossibilità per la donna di interrompere la gravidanza.

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Sinistra e aborto

A fronte di una tale chiarezza di intenti non c’è stata una altrettanto chiara opposizione da parte della sinistra e, meno che mai, il richiamo alla mobilitazione, come pure era avvenuto in qualche modo ancora nel ’95, con la manifestazione del 3 giugno contro gli attacchi alla legge 194. Attacchi che sono andati nel frattempo crescendo, ma senza incontrare, da quella parte, alcuna resistenza.

Anzi. La presa di posizione del congresso del PDS contro lo "statuto dell’embrione" ed in difesa dell’autodeterminazione della donna si è via via annacquata, dopo le polemiche che ha suscitato in seno al partito stesso (vedi il controdocumento dei 62 parlamentari) e le reazioni nella coalizione di governo. In una impossibile quadratura del cerchio - rinsaldare il governo senza troppe lacerazioni con la propria base - i "progressisti", D’Alema in testa, hanno richiamato "le coscienze liberali" presenti nel centro-destra ad una discussione costruttiva sulla legge 194. Insomma: nessun tabù, la legge sull’aborto può essere rivista, anzi deve essere rivista, ma cerchiamo di farlo consensualmente e senza innescare tensioni sociali.

La stessa Rifondazione Comunista, pur denunciando il carattere reazionario di questa campagna ed opponendosi a qualsiasi revisione della legge, ha scelto il terreno del confronto parlamentare piuttosto che quello "vetero-comunista" della mobilitazione di piazza. Inoltre, invece di fare chiarezza sulla natura di classe di questa crociata, la accredita come un attacco reazionario portato dalla sola destra ed alle "libertà individuali" delle donne, e contro di essa ripropone vuote formule estratte da una sedicente "cultura femminista" ed una altrettanto vacua "elaborazione del movimento delle donne sul tema della responsabilità morale e civile del sapere scientifico" (vedi Liberazione del 4/2/97). Un armamentario interclassista che disarma le donne ed il proletariato tutto.

Qui non si tratta, infatti, di contrapporre ad una "cultura" autoritaria un’altra cultura laica e libertaria, come se si trattasse di un mero scontro di idee e come se l’unica alternativa a disposizione fosse quella tra la padella tradizionalista e la brace pannelliana (che non ci fa meno schifo). Lo scontro in atto è materiale, e perciò anche "ideale", e non è uno scontro di "genere", è un autentico scontro di classe.

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Lo scontro in atto è tra borghesia e proletariato.

Sono il capitalismo in crisi e le sue ferree leggi di mercato ad esigere, infatti, un’aggressione senza precedenti -ad un tempo ed inseparabilmente- alla donna e al proletariato.

Alla donna le varie frazioni della borghesia fanno, con più o meno radicalismo immediato, un analogo discorso di fondo: "tu, donna, devi ridimensionarti. Troppo hai preteso negli scorsi decenni nella ricerca della tua emancipazione e liberazione. Troppo delle tue naturali funzioni di madre e di moglie hai voluto scaricare sulla società. Asili nido, mense scolastiche e quant’altre strutture pubbliche di sostegno alle funzioni di riproduzione e di cura familiare. E poi consultori e reparti ospedalieri per le donne che, così si diceva, erano costrette ad abortire. E’ venuto il momento anche per te di fare i conti con le possibilità limitate della società, e vedrai -aggiunge l’integralista o il pidiessino riconvertito sulla via della Conciliazione- ti sarà salutare perché riscoprirai che non c’è nulla di più bello, per la donna, della maternità e della crescita dei figli, di molti figli".

Inutile dire che questo "discorso" suona particolarmente duro, nei suoi concreti effetti, per le donne proletarie. Molte delle strutture ieri conquistate con le lotte vengono infatti chiuse nell’ambito del più generale smantellamento delle spese sociali considerate improduttive, con la conseguenza di ricaricare interamente sulle spalle delle donne, entro l’ambito privato e chiuso della casa, il peso di queste funzioni. L’attacco al diritto all’aborto (assistito nelle strutture pubbliche) s’inscrive all’interno di questo quadro più generale.

Ma non è tutto ciò in contraddizione con l’altra, fortissima, esigenza capitalistica di poter disporre crescentemente sul mercato della forza-lavoro femminile, e dunque di una crescente socializzazione della donna al lavoro extra-domestico? Lo è solo parzialmente, a misura che, quale che sia il carico di lavoro domestico loro accollato, la necessità di contribuire ad un reddito familiare da più parti intaccato spinge comunque una massa sempre più larga di donne sul mercato del lavoro, anche se questo significa per loro, come negli USA, per es., arrivare ad orari settimanali di lavoro, tra casa e fabbrica o ufficio, fino a 70-80 ore!

Ed è appunto quella dell’aggravio di fatica a carico della donna, la via che il capitale batte per la sua "soluzione" del problema: usare la forza lavoro femminile come forza lavoro precaria, al nero, iper-flessibile proprio in quanto oggettivamente più ricattabile, utilizzandola per premere sulla massa del proletariato maschile ed imporre anche a questa un generale peggioramento delle sue condizioni di lavoro e di vita. Ben si comprende quindi perché l’attacco ai diritti delle donne si connette, ne è anzi parte integrante, con la più generale offensiva portata avanti in tutti i paesi occidentali, siano essi governati dalla destra o dalla sinistra (governo Prodi incluso), contro le precedenti "conquiste" operaie. E’ il proletariato tutto che la borghesia intende ricondurre a sottomettersi, senza più le "vecchie" protezioni "parassitarie", al gioco selvaggio del mercato e della concorrenza.

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Una crociata etnica

Ma c’è anche, per dir così, una "terza dimensione" di questo rinnovato attacco contro il diritto all’aborto, ed è la dimensione che chiameremo etnica, avente anch’essa una matrice di classe. Attraverso la crociata portata avanti da Wojtyla e soci "in difesa della vita, della maternità, della famiglia" e le legislazioni restrittive passa anche, qui nelle metropoli, un’altra necessità della classe capitalistica: superare la stasi demografica sempre più preoccupante per i paesi occidentali. I toni allarmati sulla crescita zero e i richiami sciovinisti alla salvaguardia dell’identità nazionale si accompagnano a vere e proprie campagne di incentivazione a fare figli (dai sussidi alle giovani coppie, all’incentivo economico del Comune di Bologna per far figli). In Italia, dove agiscono in maniera preoccupante spinte alla disgregazione nazionale, agli appelli alla italianità (ben rappresentati dalle politiche familiariste del governo Prodi) si sovrappongono quelli alla salvaguardia della "razza locale" (come è accaduto, in alcune città italiane, negli accorati appelli all’incremento demografico autoctono) o della nascente micro-nazione padana. Appelli che sapientemente la Lega agita in direzione del necessario compattamento del "popolo padano" intorno al progetto secessionista.

In realtà le putrescenti società occidentali guardano con allarme alla senilità della propria forza-lavoro. Il Dio profitto ha bisogno di carne e sangue freschi a portata di zanne. Certo ci sono quelli d’importazione: le masse di immigrati che infoltiscono le fila del proletariato occidentale. Ma, e qui sta il busillis, insieme alla loro forza-lavoro, essi portano nelle metropoli la rabbia, l’odio, la fame di ribellione che emerge da tutto il sud del mondo. Una carica esplosiva che potrebbe saldarsi con quella, sempre meno appannata dalla sbronza del precedente sviluppo, della classe operaia metropolitana.

Così mentre nell’opulento occidente, in nome del rafforzamento della "cultura bianca", si lanciano campagne anti-immigrati e si santifica il diritto alla vita di due gameti in provetta, alle masse diseredate del Terzo Mondo si impone il controllo delle nascite, con buona pace di quello stesso "diritto alla vita" sul quale si spendono tante accorate petizioni rivolte alle popolazioni occidentali. Come ha significativamente evidenziato il dibattito della IV Conferenza mondiale delle donne patrocinata dall’Onu e tenutasi a Pechino nel settembre ‘ 95.

Per questo sono tanto vergognose quanto antiproletarie quelle posizioni femministeggianti che, in nome della difesa della donna e della lotta alla fame, plaudono agli "aiuti per lo sviluppo" ed alla "pianificazione demografica" sotto il patrocinio dei briganti ONU, FAO, UNICEF, ecc. Queste schiere di intellettuali e piccolo borghesi, incapaci di un solo gesto di lotta contro il sistema capitalista, vero affamatore e solo responsabile dello sfruttamento e dell’oppressione della donna, biascicano di emancipazione della donna nascondendo, in realtà, la loro impotenza e la loro paura che da là possa venire l’onda che abbatterà per sempre il loro fetentissimo benessere.

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La posizione dei comunisti

I comunisti chiamano le masse femminili e il proletariato a reagire a questo attacco in tutta la sua globalità, ed a farlo nel solo modo efficace: con una battaglia extra ed anti-istituzionale centrata sulla mobilitazione e l’organizzazione di massa.

I comunisti lottano contro l’oppressione della donna e contro tutte le misure che la sanciscono e rendono sempre più insopportabile per la donna proletaria la sua doppia oppressione. Tra queste misure rientrano le leggi che restringono o vietano l’aborto. "Queste leggi non sono che un’ipocrisia delle classi dominanti. Non guariscono le piaghe del capitalismo ma le rendono particolarmente maligne e gravi per le classi oppresse" (Lenin, "La classe operaia e il neomalthusianesimo").

Siamo schierati, dunque, in difesa del diritto all’aborto, ma con una posizione completamente demarcata rispetto a quella dei fronti abortisti borghesi. Per noi il (triste) diritto all’aborto non discende, come diritto naturale individuale, dal fatto che ogni singola donna abbia la proprietà assoluta del proprio corpo e la libertà di disporne come meglio crede (inclusa la possibilità di venderlo al miglior offerente), una concezione insieme reazionaria e falsante l’effettiva realtà delle cose. L’affermazione, la conquista e la difesa di questo diritto noi la vediamo inscindibilmente legata, così come storicamente è stato ed è, alla lotta collettiva delle donne (e del movimento operaio!) contro i vincoli della schiavitù domestica che il capitalismo, anche il più "avanzato", impone alla donna. E nella stessa ottica vediamo pure il suo concreto esercizio, benché esso passi "empiricamente" attraverso l’"auto-determinazione" della singola donna.

Battaglia di classe, dunque, contro la crociata anti-abortista borghese senza nessuna illusione di potere fermare questo attacco, perciò, attraverso alleanze trasversali con questo o quel settore della classe dominante. E con la consapevolezza che l’aborto esisterà e prospererà fino a quando esisteranno le condizioni di oppressione della donna. Esso infatti è una conseguenza della precaria condizione in cui essa si trova nella società divisa in classi, dove la maternità finisce per essere snaturata della sua valenza sociale, trasformandosi sempre di più, con il suo corollario di oneri e responsabilità, in una difficoltosa "esperienza" "mia" o "tua". Quando non addirittura nella drammatica e assurda "scelta" di vendere il proprio neonato, come avviene -a causa della fame- per tante sfruttate del sud del mondo.

Per questo anche la "specifica" lotta in difesa della possibilità delle donne di ricorrere all’interruzione volontaria e pubblicamente assistita della gravidanza, acquista tutto il suo più profondo significato solo in collegamento con la battaglia contro il capitalismo e per l’affermazione di una nuova forma di organizzazione della società che, spezzando le catene della segregazione domestica e dello svolgimento privato della riproduzione della vita, consenta una reale liberazione della donna.

A ben vedere, nello sviluppo dell’umanità ogni periodo economico ha avuto, per le sue finalità, la sua propria legge della popolazione ed una conseguente regolazione (o sregolazione, come oggi si evidenzia negli indici opposti dell’andamento demografico del Sud e del Nord del mondo, che riflettono -su questo piano- la legge capitalistica dello sviluppo combinato e diseguale). La società borghese ha bisogno di "far nascere molti, di uccidere molti, di far progredire popolazione e produzione decisamente, fino a grandi intervalli di distruzione compensatrice". Nel socialismo non sarà necessario far crescere la popolazione a dismisura e la funzione riproduttiva sarà riconsegnata alle esigenze della specie. Perciò le complessive questioni legate alla riproduzione non possono esaurirsi nella "scelta": aborto si, aborto no. La riproduzione e tutte le tematiche ad essa legate fanno i conti con le finalità del sistema e del modo di produzione.

Ma su questa base, non si vorrà, per caso, nel socialismo, privare la donna delle gioie della maternità strappandole, magari, il neonato dal seno? No. Si tratterà semmai di riportare questa funzione a coincidere con l’interesse dell’umanità. Una riconciliazione con i bisogni della specie nell’ambito di un assetto che aiuti la donna e l’umanità a realizzare uno sviluppo cosciente secondo le leggi di natura. Un assetto sociale in cui la donna si potrà liberare insieme del carattere privato della maternità e della corrispettiva paura di procreare.

Di tutto ciò, è evidente, sarà necessario riparlare in profondità.

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