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Situazione politica italiana

la manifestazione del 20 settembre 97:

CONTRO IL RESISTENZIALISMO "UNITARISTA",
CONTRO OGNI DERIVA LEGHISTA E FEDERALISTA

Il sindacato ha chiamato alla mobilitazione anti-Lega in difesa dell’unità nazionale. La base politica di essa è interclassista allo stato puro: unitaristi contro secessionisti, antileghisti contro leghisti. La manifestazione del 20 settembre sta tutta e solo sotto questo segno: unità dell’Italia contro secessione; punta cioè non a salvaguardare l’unità dei lavoratori, ma quella della nazione. Le due cose non coincidono affatto. Anzi, con questa piattaforma si rischia di andare alla contrapposizione tra settori del proletariato, tra nord e sud e all’interno dello stesso nord.

Iniziamo col dire una cosa con estrema chiarezza: nell’"altro" fronte, quello leghista, ci sono proletari (e non pochi!) che costituiscono una parte fondamentale della nostra classe -oggi per varie ragioni separata dall’"altra"- con la quale proprio per questo, diciamo noi, vanno riallacciati legami unitari.

Pazzie di fine estate le nostre? Un attimo. Intanto prendiamo atto che quelli dell’"altro fronte" sono lavoratori che vivono nelle stesse condizioni, hanno i nostri stessi interessi, devono affrontare problemi e difficoltà comuni alle nostre: condizioni di lavoro sempre più dure e precarie, sacrifici imposti per il "bene della nazione", paura della disoccupazione. Sono proletari stanchi di subire il peggioramento della propria esistenza sotto i colpi delle politiche padronali e governative, sono giustamente preoccupati per il futuro, tanto meno si bevono le assicurazioni di Prodi & c., piuttosto sentono l’approssimarsi delle tempeste a venire.

Gli si può forse dar torto di ciò, quando gridano la loro disillusione nel governo Prodi, la sfiducia verso un sindacato che concedendo sempre più all’avversario ha permesso questo peggioramento? (Una disillusione e una sfiducia analoghe non vanno diffondendosi in tutti i settori della classe operaia, compresi quelli che a tuttora seguono il sindacato?).

Non solo. Questi proletari sono alla ricerca di una strada "nuova", più radicale, più di lotta di quella "tradizionale" della sinistra. Sono profondamente convinti che per evitare il peggio è necessario mobilitarsi; che un cambiamento effettivo della situazione non può avvenire per la via istituzionale (con il voto, le riforme in Parlamento, etc.), le mediazioni della sinistra, le illusioni in governi "amici", ma esclusivamente con soluzioni radicali, portate avanti con la forza della mobilitazione di una massa organizzata che lotta non solo sul piano sindacale, ma su quello politico. E sono convinti che per questo è necessaria una risposta organizzata, militante, insomma di partito (proprio mentre tutti a "sinistra" cianciano, e praticano, dell’eclissi della forma-partito a favore di forme di dis-organizzazione a maglie larghe, prive di un centro di riferimento sociale e programmatico, che altro non è se non un invito al proletariato a dimissionare ogni proprio partito).

Tra i proletari leghisti prevale, poi, un sentimento che vede nello stato centralista italiano un apparato di oppressione e sfruttamento dei lavoratori e della "gente". Una macchina che succhia dal lavoro di chi produce per alimentare la burocrazia parassitaria e mafie di ogni genere -quella dei "politici" in particolare- che servono solo a conservare il suo potere, fingendo di dare in cambio dei servizi, che sono, per di più, sempre più inefficienti. E come si può negare che ciò sia vero? Questo sentimento è giustificatissimo. Possiamo dire che il proletario leghista si fa un’illusione a credere di poter risolvere il problema dando vita -in Padania- a uno stato "diverso" che immagina affrancato dal dominio del grande capitale, eppure la sua percezione scuote quella superstizione sullo stato che continua, invece, a dominare nel proletario di "sinistra", togliendogli ogni autonnoma prospettiva di classe.

Certo, per un proletario di "sinistra" è un po’ ostico ammettere la vera natura dello stato (che questo riesce sempre meno a nascondere) in quanto apparato al servizio del capitale nazionale e internazionale, essendo vissuto nella convinzione dell’intangibilità dello stato e nella difesa della sua legalità, da cui pensava di ottenere, lui stesso, delle ricadute positive e al cui potere riteneva di avere la legittima pretesa di essere associato in quanto singolo elettore e anche in quanto classe, tramite le sue organizzazioni sindacali e partitiche. Ma la realtà con cui fare i conti è proprio questa.

Non "egoismo dei ricchi", ma fallimento del riformismo

"Ma con chi proponete l’unità -ci si potrebbe chiedere- con degli egoisti, dei razzisti, che credono di avere interessi comuni con i "propri" padroncini? Sono loro a rompere la solidarietà tra lavoratori, non il sindacato! Li dobbiamo fermare!"

Attenzione! Non ci si deve far ingannare dal fatto che il contenitore-Lega sia reazionario, anticlassista e anticomunista (come più volte, e pressochè unici, abbiamo denunciato). Il contenuto è (anche e in buona parte) fatto di settori proletari che non possono essere considerati nè persi nè "nostri" nemici. Se oggi questa parte di proletariato si riconosce -transitoriamente, ne siamo convinti!- in quel "contenitore" (al Nord, ma il fenomeno inizia a essere visibile anche nel Mezzogiorno con l’emergere di vari "meridionalismi" ) non è perchè è mossa dall’"egoismo dei ricchi".

E poi, ricchi chi? i proletari che lavorano all’Alfa? egoista chi? chi lavora alla De Longhi o in boita e nelle fabbrichette del nord-est per dodici ore al giorno? No, l’adesione di questi proletari alla Lega è invece il risultato del fallimento della politica riformista. Questa politica subordina i bisogni e gli interessi della classe operaia agli interessi della nazione, ovvero dei grandi capitalisti e del capitale finanziario, e porta, così, il proletariato ad arretrare in modo disordinato, cedendo una posizione dietro l’altra. Non solo, è questa stessa politica ad avere concimato il terreno delle divisioni e, peggio, della competizione all’interno del proletariato in nome del mercato, quel dio che conquista proseliti in numero crescente dentro la "sinistra".

Non è grazie alle attuali direzioni riformiste politiche e sindacali che il nuovo, ennesimo attacco che si prepara allo stato sociale, alle pensioni dei lavoratori, alla sanità, alla scuola, ai salari operai rischia di avere la strada spianata? Primo, perchè mettono al primo posto non gli interessi dei lavoratori, ma quelli della contabilità dello stato e del finanziamento alle imprese, secondo perchè questa loro politica ha prodotto, ormai, la passività e il disorientamento in una grande massa di lavoratori.

Ci si può, dunque, stupire se settori operai hanno imboccato una strada "nuova" in risposta alle difficoltà del presente, contrapposta alla melma in cui naviga la sinistra? Contrapporsi a questi lavoratori -anche, nella migliore delle ipotesi, con il giusto sentimento di reagire alla politica della forza che al momento li guida, la Lega- significa nient’altro che scambiare masse e capi, schiacciare le prime sui secondi e, in fondo, non vedere che questa congiunzione antioperaia è dovuta alla politica del proprio fronte, dei propri capi.

Dividere e sottomettere il proletariato: programma non della sola Lega

La politica della Lega è diretta a staccare il nord dal resto dell’Italia. In questo modo si potrebbe consentire alla rete capitalistica del nord di affrontare le sfide poste dalla concorrenza crescente sui mercati mondiali senza avere dietro il "peso morto" del sud. E si otterebbe, anche, di dividere il proletariato indebolendone la forza organizzata. Da questo punto di vista quella della Lega non è altro che una delle soluzioni più coerenti per applicare all’Italia gli imperativi della "globalizzazione": precipitare il proletariato in una concorrenza sempre più aperta al suo interno, fino a sospingerlo in vere e proprie guerre, come nella ex-Jugoslavia.

Ma la politica di Prodi di aumentare la flessibilità, la politica della Fiat con Melfi, quella del Pds di diversificare i salari tra nord e sud, quella dei sindacati di piegarsi sempre più a queste richieste, non va forse nello stesso senso? E non va nello stesso senso quel federalismo che la sinistra pensa di opporre al secessionismo leghista?

Su questo piano -dividere e indebolire il proletariato- le distanze tra gli schieramenti, in verità, non sono nella sostanza, ma, tuttalpiù, nei tempi, nella radicalità delle misure.

Per quanto riguarda lo stato padano che la Lega prospetta è uno stato in cui il proletariato rinunci a ogni lotta per i suoi autonomi interessi di classe, e per il quale sia disposto a dare tutte le sue energie, persino (in prospettiva) la vita, pur di difenderlo da ogni nemico esterno (a cominciare dall’Italia).

Ma, anche su questa questione, sono poi così grandi le distanze dalla politica della destra e della stessa sinistra? Non è la stessa sinistra a educare da lungo tempo i proletari che gli interessi "di parte" (quelli di classe, cioè) devono fermarsi sulla soglia del "bene comune", che è costituito dalle leggi oggettive del profitto? Non è la stessa sinistra che si sta impegnando in una riforma dello stato che realizzi una maggiore centralizzazione del potere ("necessità" che la stessa Rifondazione non nega)? Non è la stessa sinistra a impegnarsi indefessamente a "rinnovare" sé stessa per dismettere ogni carattere "di classe" che, pur su di un piano già svenduto agli interessi del capitale, aveva in passato? Non è la stessa sinistra a invitare alla mobilitazione per la difesa degli "interessi nazionali" lesi dalle rivolte di Somalia o d’Albania?

Fronte unito del proletariato

Lottare contro la Lega è, dunque, per gli operai sacrosanto, a due condizioni però: la prima è quella di lottare contro la sostanza della politica della Lega riconoscendo che si annida, ormai, in tutte le forze della "sinistra" e nello stesso sindacato; la seconda è di distinguere tra la direzione leghista e i proletari che vi aderiscono. Con loro bisogna lavorare nella direzione di un fronte unico di lotta basato sulle necessità comuni a tutta la classe proletaria, che sono quelle di difesa delle proprie condizioni economiche, ma sono anche quelle di fare una lotta reale contro lo stato capitalista, di fare una lotta reale alla "globalizzazione" non accettando di farsi rinchiudere in mini-stati, né mettendosi al servizio di mega-stati, ma ricercando l’unità di tutto il proletariato internazionale.

Sappiamo quanto questo sia difficile, e non ci facciamo illusioni sulla possibilità di risultati immediati, ma di sicuro la mobilitazione del 20 settembre (nella quale saremo con tutto il nostro impegno su questi temi di battaglia) non solo non va in questo senso, ma rischia di far precipitare ancora di più lo scontro tra proletari.

Sappiamo che alcuni degli operai che vanno in piazza ci vanno perchè avvertono che sia indispensabile difendere il sindacato, perchè ritengono che la Lega sia un partito ultra-liberista che punta a eliminare del tutto i due pilastri del compromesso sociale che c’è stato finora, lo "stato sociale" e il contratto nazionale, con annesso il ruolo del sindacato confederale.

A questi vorremmo chiedere: pensate davvero che si possa conservare una struttura organizzata di difesa collettiva continuando a perseguire la linea sindacale e politica di Cgil-Cisl-Uil? Non vedete come siano gli stessi sindacati confederali a concedere, pezzo a pezzo, lo smantellamento dello "stato sociale"? Non vedete come siano loro stessi a estendere i sistemi che consentono di derogare sempre più alle norme contrattuali? Non vedete come gli stessi sindacati non fanno assolutamente nulla per fermare l’estensione dei lavori senza alcuna protezione (a termine, a part-time, con fasulle partite IVA, ecc.)? Che non fanno nulla per chiamare a una lotta unitaria i settori "protetti" (sempre meno) e quelli "senza protezione"? Non vedete come questa politica porta danni ai "non protetti" e, in prospettiva, agli stessi "protetti", che devono subire una concorrenza sempre più dura sul mercato del lavoro?

Si può allora pensare di conservare una organizzazione di difesa unitaria senza mettere radicalmente in discussione la linea dei sindacati confederali, senza denunciare il loro asservimento al capitale e allo stato, senza battersi per una linea sindacale-politica che corrisponda agli interessi dei lavoratori, senza subordinarli a quelli delle imprese, dell’economia nazionale, del profitto?

Rifiutiamo la linea dei cedimenti continui, dimostriamo di saper ricostruire una linea e delle organizzazioni sindacali che siano davvero in grado di resistere alle pretese del nemico di classe, e allora sarà possibile ritrovare dalla nostra parte -rinnovata!- anche quegli operai che oggi si rivolgono alla Lega!

Difesa dell’unità, sì: della classe operaia

Un’altro sentimento di rancore contro la Lega è quello che matura in molti operai e disoccupati del sud. Essi temono di finire con l’essere abbandonati, lasciati soli, in situazioni economiche, sociali e politiche che si vanno sempre più degradando. Questo sentimento raccoglie un dato reale: con la secessione si interromperebbe ogni rapporto unitario tra la classe operaia del nord (dotata di una certa forza contrattuale) e quella del sud, più ridotta, dispersa, e debole. Ma rischia di essere trasformato in una politica che invece di impedire la secessione, finisce con il favorirla.

Infatti i sindacati e la sinistra danno a questo sentimento reale la seguente risposta: dobbiamo conservare l’unità dello stato. D’altronde, non è una risposta che danno da ora, ma nasce da una lunga attitudine. Per anni e anni si sono dirottate le lotte del sud e per il sud non verso un fronte comune di tutti i proletari contro comuni nemici, ma verso lo stato a cui si richiedevano interventi, sovvenzioni, aiuti, ecc. E’ inevitabile che le conquiste fatte per il sud non siano state viste come il risultato dell’unità di classe delle lotte, ma come concessioni da parte dello stato. Vedendo, ora, che una parte dei proletari del nord vogliono distruggere lo stato unitario, molti dei proletari del sud lo percepiscono come un attacco a sé stessi, e danno credito alla politica sindacale di difendere lo stato unitario contro i proletari "egoisti" del nord.

Eppure lo stesso stato ha, da lunga pezza, ridotto l’aiuto al sud, e non per colpa delle pressioni leghiste, ma perchè le "compatibilità" imposte dall’andamento generale del capitalismo impongono di eliminare drasticamente tutti quei fondi non destinati direttamente al sostegno dei profitti. Lo stato ha cambiato la sua politica meridionalistica perchè tanto gli imponeva il capitale, cioè il sistema di produzione di cui lo stato rappresenta nient’altro che l’apparato di potere sulla società.

Non difendere lo stato contro i proletari leghisti del nord, ma allearsi con i proletari del nord per condurre una lotta contro lo stato, che sfrutta e succhia il sangue dei proletari del sud e del nord. Questa è la prospettiva per salvare e rinsaldare l’unica unità che davvero interessa il proletariato, quella della sua stessa classe!

Contro il secessionismo e contro il riformismo

Si vuole reagire contro la Lega? Bene, si reagisca contro Prodi, Dini, Agnelli; si reagisca contro la linea di chi li sostiene (la coppia complementare D’Alema-Bertinotti). Si lanci un appello e un indirizzo per una battaglia unitaria conseguente proprio sul terreno indicato dalla rabbia -tutt’altro che da smorzare!- e dalla determinazione -per quanto deviata- dei proletari della Lega: contro la piovra statale e contro il parassitismo del capitale, vera radice di quello statale.

Non si tratta di un sovrappiù. Il settore di classe oggi leghista è indispensabile per battere l’attacco borghese, non solo e non tanto in termini di difesa materiale, economica, ma per una questione politica fondamentale, oggi e in prospettiva. Infatti il proletario che va contro l’altro proletario va contro se stesso, contro la propria classe. Non c’è scelta: o si ricostruisce questa unità o si va dritti dritti alla sconfitta, tutti, come classe, perchè solo la borghesia, quella padana come quella italiana, ha da guadagnare dallo scontro tra proletari.

Non si tratta dunque di "fermare i leghisti", di contrapporsi cioè agli operai della Lega, ma di costruire con essi un’unità compromessa per le responsabilità del riformismo. Questo è possibile solo ritrovando una linea di classe che è insieme antisecessionista e antiriformista perchè coerentementte anticapitalistica, dunque solo rompendo con la politica riformista delle "nostre" direzioni (e con le illusioni riformiste che gli stessi operai in gran parte nutrono).

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