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Situazione politica italiana

I FATTI DI PIAZZA SAN MARCO E IL PROLETARIATO

Il caso San Marco ha portato alla luce del sole quello che il marxismo aveva permesso di rilevare da tempo: il leghismo non è un fenomeno folcloristico e marginale; è fortemente radicato tra le "masse popolari" (e il proletariato in particolare) ed è destinato ad avere improvvisi e impetuosi svolgimenti. Proprio in vista di questi sviluppi e della necessità -per i comunisti- di attrezzarvisi, giova fare una riflessione sulla vicenda.

Torniamo al fatidico 8 maggio. Siamo alla vigilia del referendum. Un nucleo indipendentista veneto, formato da artigiani e operai, mette in atto in piazza San Marco un’azione progettata e preparata da lunga pezza. I servizi di sicurezza e gli apparati dello stato italiano, che seguivano da un pezzo le attività del gruppo, lasciano fare. Come mai? Per vari motivi: per farne un’azione di delegittimazione della Lega Nord, alla cui "predicazione" viene subito attribuita la "responsabilità morale" dell’iniziatva; per contrapporre al proletariato che si sta raccogliendo intorno alla Lega il restante proletariato italiano e incardinare quest’ultimo dietro le forze armate tricolori; per dividere la stessa base leghista, portandone la frazione veneta e moderata sulla linea di Cacciari. Bossi fiuta la mossa e parte in quarta nella denuncia della "riedizione della strategia della tensione".

A questo punto, però, entra in gioco il vero protagonista della vicenda: la massa del "popolo del Nord-Est", la quale, davanti alla campagna repressiva e criminalizzatrice ai danni dei "patrioti veneti", fa quadrato intorno a loro. Non stiamo parlando solo degli imprenditori della Life. Questo moto di solidarietà ha coinvolto anche una porzione consistente del proletariato e ha rivelato un duplice sentimento di massa presente nel Veneto: il primo, di contestazione localista al... centralismo bossiano; il secondo, di intento acceleratore rispetto alle incoerenti titubanze della Lega in tema di secessionismo effettivo. Alla Zanussi di Pordenone, tanto per dirne una, diversi operai e delegati hanno parlato dell’assalto a San Marco come di "uno sciopero ben riuscito"!

Sotto la spinta di questa reazione "popolare", Bossi ha corretto la sua posizione iniziale, ma sempre per puntare diritto al suo obiettivo. Non ha più parlato di strategia della tensione, ma d’"infantilismo rivoluzionario". Ne ha assunto la difesa e, con una serie di lucide mosse politiche, ne ha raccolto la spinta ribellistica, incanalandola nell’alveo di un generale e centralizzato innalzamento di tiro contro lo stato e le forze borghesi "unitariste": prima il rilancio dell’aut-aut "o la riforma confederale o la secessione", poi i colpi di scure contro la gerarachia ecclesiastica, infine l’esca lanciata al Polo per le amministrative a Venezia.

La manovra difensiva e il contropiede di Bossi sono riusciti alla meraviglia perché è stata assente una seria reazione centralista borghese e, ancor di più, una reazione di classe contro l’intervento repressivo dello stato contro i proletari indipendentisti (intervento diretto, attraverso di loro, contro tutto il proletariato, anche quello non leghista). Lo stato tricolore e i suoi mass-media prezzolati hanno tentato di riportare in avanscena la marionetta Rocchetta per staccare le componenti più moderate della Lega. La manovra, però, si è trasformata in un boomerang, dato che non ha trovato (e non è stata in grado di trovare) una base di massa di sostegno. La manifestazione dei sindacati confederali a Venezia, che poteva essere un passo in questa direzione, è stata un flop (il che la dice lunga sul vero sentimento diffuso tra i proletari verso lo Stato italiano). Gli unici che si sono prestati (consapevolmente o meno poco importa) ai giochi "unitaristi" borghesi sono stati... gli autonomi veneti.

Oh certo, essi vogliono combattere i padroncini della Life: ma come intendono farlo? "Collaborando" con grandi padroni alla Carraro e alla Marzotto, che si sa sono oppositori incalliti dei centri dirigenti del capitalismo e dello stato nazionali! Oh certo, i giovanotti del centro sociale "Pedro" vogliono battere Bossi, ma per quale motivo e per quale progetto alternativo? Perché è troppo centralista, mentre il futuro è rappresentato dal municipalismo (da realizzare nelle maglie dello stato tricolore!) di un fior di compagno alla Cacciari! Oh certo, l’Autonomia rifiuta il razzismo, il croatismo della Lega, ma dove conduce il suo iper-federalismo? Alla concorrenza e alla micro-contrapposizione tra i vari territori e tra le rispettive sezioni proletarie, in una feroce gara a chi resta a galla nel mare in tempesta del mercato globale! In quel di Padova si è perfino giunti, sempre per non lasciar spazio a Bossi, a chiedere un incontro con Napolitano affinché anche lui offici dal suo altare degli Interni la nuova religione federalista. Tutto è stato tentato insomma, fuorché l’unica risposta possibile ai problemi sentiti sempre più pressantemente dai proletari e demagogicamente agitati da Bossi: e cioè un’azione militante comunista che denunci (verso i lavoratori di ogni colore politico) il fine della manovra repressiva dello stato italiano, sostenga il loro comune interesse ad opporvisi, e indichi (in opposizione a ogni resistenzialismo unitarista e a ogni deriva secessionista-autonomista) la strada verso cui incamminarsi per lottare davvero il parassitismo statale: la strada della lotta contro il parassitismo che vi è dietro, quello del capitale sul lavoro salariato.

Un proletario veneto incazzato con la macchina statale, sfiduciato nei metodi parlamentari di cambiamento, disposto a rischiare in prima persona per "smuovere le acque" del pantano italiano, un lavoratore animato da questo sentimento (e al Nord cominciano ad essere tanti, soprattutto tra i meno anziani) per quali motivi dovrebbe lasciare Bossi e correre dietro ai "compagni" dell’Autonomia? Dietro a coloro, cioè, che sono disposti a collaborare con le istituzioni di uno stato che egli (a ragione!) odia e vuole tagliare? O ancora: perché mai dovrebbe preferire chi è passato -con una giravolta in piena linea di continuità con le posizioni di ieri- dalla teorizzazione dell’illegalità diffusa alla diffusione del legalitarismo più sconcio? Ha così torto Bossi a chiamare gli autonomi i "barboncini del sistema italiano"?

Era inevitabile che in questa situazione Bossi avesse buon gioco: l’intera vicenda gli ha permesso di ottenere una maggiore centralizzazione delle forze leghiste (soprattuttuto quelle di estrazione proletaria) intorno alla bandiera della Lega. E, insieme a ciò, uno scompaginamento della base sociale del Polo con un’incipiente attrazione dei suoi elettori piccolo e medio borghesi verso il Carroccio.

In una lettera all’Unità, un esponente del PDS di Lecco denuncia che si sta realizzando "una saldatura tra l’elettorato leghista e quello del Polo (...) L’alleanza tra Lega e Polo, che qualche anno fa era stata attuata a livello di governo, ma non era stata recepita dall’elettorato, ora invece avviene proprio a quel livello". E, aggiungiamo noi, sul terreno secessionista della Lega Nord. Per Bossi un nuovo passo in avanti, da utilizzare come leva, come già sta facendo, per "invitare" le forze borghesi "padane" che contano (da Mediobanca a Berlusconi) a saltare sul suo carro e dare a quest’ultimo il nerbo capitalistico di cui difetta contro le tendenze centrifughe in atto nel Nord-Est e le mire degli stati capitalistici più forti.

Riuscirà la Lega in questo suo disegno? Allo stato delle cose non si può dire in quale forma avverrà la secessione del Nord, se in modo "ordinato" o "centrifugo". Certo i colpi che continua a ricevere Mediobanca dai mercati internazionali e dalla finanza vaticana (v. il boicottaggio della fusione con Marzotto e il fallimento del progettato matrimonio con la Cariplo e, attraverso di essa, con l’Ambroveneto) non lavorano certo a favore del primo sbocco. Così come non vanno sottovalutate le manovre (estero-dirette?) divisorie della Lega portate avanti in Veneto. Tuttavia, attenzione a cogliere il senso di marcia degli avvenimenti senza farsi impressionare dai giochi immediati. Il caso San Marco è molto istruttivo al proposito. Così come, su un altro piano, la vicenda passata del fascismo iniziale.

Sempre per analogia e con tutte le debite differenze, vediamo che anche in quel caso eravamo in presenza di spinte centrifughe incentrate sull’"autonomia" di interessi e ras locali. Ed anche in quel caso forti furono le tentazioni in molti ambiti di sinistra di giocare su tali divisioni (nell’intento di aspettarsi o promuovere una divisione del fascismo dal suo interno, magari con strizzatine d’occhio alla parte "responsabile" del movimento), nonché, al solito, di chiamare in proprio soccorso, in questo gioco, le forze istituzionali dello stato, sempre rigorosamente escludendo la propria mobilitazione di classe e lo scontro diretto proletariato-fascismo sul proprio terreno. In queste condizioni, era logico che un Mussolini, adoperando il bastone e la carota rispetto ai suoi, li abbia potuti ulteriormente affasciare sino agli esiti conclusivi. Non solo, ma abbia potuto utilizzare una cosa del genere per attrarre a sé non disprezzabili forze del campo nemico.

Che anche alle prossime elezioni padane verranno presentate liste anarchiche e comuniste dovrebbe essere un elemento di riflessione in più.

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