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La lotta dei lavoratori Ups:
una battaglia da cui imparare!

I lavoratori della Ups americana hanno vinto la loro battaglia. Con una mobilitazione massiccia, dura e determinata che ha saputo cercare la solidarietà di altri settori operai e della "gente", anche oltre i confini nazionali. Contro la flessibilità e la precarizzazione del lavoro, contro quel "modello americano" che ci viene presentato -anche nel sindacato e nella "sinistra"- come la panacea di tutti i problemi. Dagli Usa giunge un altro segnale dell’attivizzazione che va nel senso di una ripresa della riattivizzazione di classe. La strada èancora lunga, e l’incedere ancora incerto e fragile, ma pure suona come un invito e un appello ai lavoratori del resto del mondo a trarre lezione da questi episodi americani, scendendo su un terreno di lotta contro l’aggressione capitalistica, e dando così ulteriore forza alla stessa lotta dei lavoratori Usa.

I prezzolati della stampa nostrana hanno ben compreso la portata generale della lotta dei lavoratori Ups e si sono affrettati a suonare il campanello d’allarme e, insieme, a lanciare un monito a chi di dovere). "Vi è un pericolo: che il caso dell’Ups rallenti la liberalizzazione del mercato del lavoro in Europa... qualcosa (leggi part-time, flessibilità, ecc, n.) che da noi non esiste e di cui abbiamo un disperato bisogno", così S. Romano su La Stampa. Queste preoccupazioni -che per noi sono prefigurazioni più che positive- per il significato non settoriale né contingente, bensì politico e generale della lotta alla Ups, sono giustificate.

Per i metodi messi in campo dagli scioperanti, innanzi tutto: quindici giorni di picchetti duri in tutti i 2.400 uffici della compagnia, portati avanti con una determinazione e combattività che da tempo non si vedevano (gli stessi media, stizziti, hanno dovuto riconoscerlo), e che i numerosi scontri con la polizia e un certo numero di arresti non sono minimamente valsi a fiaccare. La scesa in campo dei 185.000 lavoratori iscritti al sindacato dei Teamsters è stata compatta (hanno lottato uniti bianchi, neri, ispanici, donne) e incisiva (praticamente ridotta a zero l’attività dell’Ups, multinazionale presente in molti paesi, prima società di spedizione americana, quinto datore di lavoro in assoluto con oltre trecentomila addetti negli Usa). Non solo: si è caratterizzata per la ricerca sistematica della solidarietà e, di più, dell’appoggio attivo degli altri lavoratori. Così è stato verso gli altri lavoratori dell’azienda, quelli non iscritti al sindacato, di cui solo una piccola parte, ed essenzialmente i quadri, hanno fatto crumiraggio; mentre la lotta ha cercato e ottenuto il sostegno dei piloti di aereo che lavorano per l’Ups. Così per i lavoratori di altri settori e gli iscritti di altri sindacati, che hanno partecipato ai picchetti o ai meeting di solidarietà e raccolto fondi per sostenere la lotta (e nulla toglie il fatto che l’iniziativa sia partita dal vertice della AFL che ha messo a disposizione i fondi centrali dell’organizzazione). E non è un caso che questo sciopero abbia incontrato il sostegno della "gente" (altro che panzanate tipo "disagi all’utente"!), cioè di altri lavoratori e oppressi che hanno visto in esso una lotta contro la flessibilità (dei salari, dell’occupazione, dei tempi di lavoro e di vita), realtà presente o prospettiva futura che non risparmia tendenzialmente nessuno. La situazione dei lavoratori Ups (60% con contratti a part-time, con paghe orarie pari alla metà del tempo pieno e bloccate dall’ ’82, più facilmente licenziabili, ma arma di ricatto tremenda nelle mani dell’azienda anche contro i "privilegiati") è lo specchio della situazione del proletariato americano a vent’anni, almeno, dall’inizio dell’offensiva lanciata dal capitale: un’offensiva che è valsa a ricacciarlo, anche nella sua componente bianca privilegiata, nei gironi del più classico sfruttamento; ma che sta ponendo, nello stesso tempo, le basi della sim-patia (sentire insieme) tra sfruttati, presupposto e segnale di un potenziale lottare-insieme.

E non solo entro i confini nazionali. E’altamente significativo che questa lotta sia stata preceduta negli scorsi mesi dalla costituzione di un coordinamento mondiale dei delegati sindacali (tenutosi a Londra a febbraio) e da una prima giornata mondiale di lotta il 22 maggio (come abbiamo riportato nello scorso numero di che fare). Non è solo un prima cronologico. L’iniziativa internazionale, la ricerca di collegamenti tra stabilimenti di diversi paesi che l’azienda gioca sistematicamente a contrapporre tra di loro per peggiorare le condizioni di tutti, ha rafforzato, anche in termini di fiducia, i lavoratori della casa-madre.

Questa iniziativa ha ricevuto ulteriore impulso dalla lotta, durante la quale i lavoratori hanno richiesto esplicitamente il sostegno dei colleghi degli altri paesi (vedi il volantino dal titolo "L’Ups esporta la miseria dall’America", con raffigurata l’Ups nelle vesti di un boss che con un piedone schiaccia l’Europa, diffuso dal sindacato americano nelle sedi estere dell’azienda) nella chiara consapevolezza che "gli esperimenti anti-lavoratori intrapresi negli Usa, in Italia, in Germania, in Giappone o in Brasile saranno esportati e sperimentati sui lavoratori ignari e sui loro sindacati negli altri paesi" e che per questo è necessaria una struttura sindacale permanente mondiale dell’Ups (così recita il messaggio del sindacato americano per l’incontro mondiale di Londra). Alla globalizzazione del capitale (l’Ups fa fatturare le spedizioni da una ditta dello Sri Lanka!) si può rispondere efficacemente solo con una proiezione internazionale dei lavoratori, con la mondializzazione della loro risposta. La lotta Ups ci dimostra che ciò è sempre meno una petizione di principio, e sempre più una necessità ineludibile di ogni lotta seria.

L’aver centrato gli obiettivi della lotta (diecimila lavoratori part-time assunti a tempo pieno; aumenti salariali maggiori per le retribuzioni più basse, così da diminuire una forbice che pure resta ampia; stop al tentativo aziendale di creare un fondo pensioni esclusivamente aziendale, tale da recidere i legami inter-categoriali tra lavoratori su cui si basa l’attuale sistema) rappresenta non solo un’iniezione di fiducia per chi ha lottato, ma un segnale per tutti i lavoratori Usa (un po’ ovunque è in corso un aumento degli iscritti alle unions e si aspettano con ansia le scadenze dei contratti). I pur decenti risultati di questa lotta sono tuttavia resi deboli dalla situazione generale del proletariato, negli Usa e nel resto del mondo.

Il dopo-accordo già si annuncia foriero non di pacificazione, ma di un inasprimento dello scontro sia con l’azienda (che ha minacciato licenziamenti) sia con lo stato che, col chiaro intento di attaccare la struttura in cui i lavoratori al momento si stanno riorganizzando, ha prontamente decapitato la direzione del sindacato che ha guidato questo sciopero (tanto valga per chi va cianciando di una presunta simpatia di Clinton per gli operai...). La classe borghese statunitense cercherà di utilizzare contro i lavoratori dell’Ups lo stato di difficoltà in cui si trova la restante grande massa dei lavoratori. Cercherà di far pesare contro di essi la pressione della concorrenza tra sfruttati indotta dall’arretramento e dalla disgregazione del proletariato internazionale sotto i colpi della "globalizzazione".

Proprio per questo, per continuare la "loro" battaglia, i lavoratori dell’Ups hanno bisogno di estendere l’unità conquistata all’interno del gruppo al resto del proletariato (dentro e fuori i confini statunitensi). Il che non può essere fatto dalla direzione del sindacato dei Teamsters o da quella dell’AFL, in quanto sostenitrici, l’una e l’altra, di una politica compatibilista con il quadro capitalistico che è... incompatibile con la promozione di una vera unità di classe internazionale. Una cosa del genere richiede che la spinta alla ripresa della lotta sindacale all’Ups cominci a respirare, al posto dell’aria appestata delle mille varianti del partito unico del Mercato, l’ossigeno di un indirizzo e un’organizzazione politici anti-capitalistici.

Non ci nascondiamo affatto le difficoltà esistenti su questo piano politico, anche laddove, come negli Usa, il proletariato è già stato costretto (perché ne è stato colpito prima e più profondamente) a prime reazioni difensive contro gli effetti della mondializzazione. Ma il fatto stesso che la lotta all’Ups abbia buttato sul tappeto questo problema nodale, è un risultato della massima importanza. Che spetta ai comunisti raccogliere e rilanciare.

E la "sinistra" di casa nostra, invece, cosa fa? Quando semplicemente non si ritrae spaventata da un richiamo alla lotta e da un movimento che sa potrebbe svilupparsi e sfuggirgli di mano (vedi l’eloquente, vergognoso silenzio del sindacalismo confederale su questa lotta), non trova di meglio che fare "gli auguri (!) allo sciopero dei lavoratori UPS" chiedendosi poi se "forse (!) non sia il caso di iniziare anche in Italia" (Liberazione del 12/08/97). Forse,... però iniziative di tal genere potrebbero... disturbare l’amico Prodi o forse creare qualche problemino alla nostra economia e al suo sudato ingresso in Europa, meglio non esagerare!

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