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Lode della Mondializzazione

Dalla crisi finanziaria del Sud-Est asiatico alle nuove aggressioni occidentali all’Iraq e all’Algeria, dal riemergere della questione nera negli Usa al peggioramento della condizione lavorativa in Europa, dalla vicenda degli allevatori alla diffusione della febbre federalista, tutto denuncia e richiama la dimensione planetaria dei problemi economici, sociali, politici e militari che sono davanti a noi.

Viene finalmente a compimento, così, la "missione" storica del capitalismo: unificare il mondo, o meglio creare un mercato mondiale che unisce sì il mondo, ma attraverso un meccanismo, la concorrenza intercapitalistica, che è la fonte e la matrice di nuove drammatiche divisioni.

La borghesia ha creato il mercato mondiale, ma non è in grado di creare una società mondiale fraternamente cooperante. Di più non può e non sa fare. Il caotico assommarsi ed intrecciarsi di contraddizioni esplosive dei nostri giorni ne è un’evidente dimostrazione.

Essa, però, ha anche il merito di avere prodotto la classe sociale, il proletariato mondiale, che può dare soluzione a queste contraddizioni, distruggendo il mercato e instaurando l’organizzazione comunista della società. Per questa ragione noi marxisti abbiamo tessuto in passato e ritessiamo oggi le lodi della mondializzazione capitalistica: perché avvicina la rivoluzione sociale, avvicina la liberazione degli sfruttati, avvicina la realizzazione di tutti i "sogni" fatti dalla specie-uomo nel corso della sua storia.

E invece, paradossalmente, questa dimensione mondiale, al proletariato, oggi fa paura. Fa paura perché il padronato quotidianamente la usa per imporgli ogni genere di sacrifici. E questa paura spinge a cercare riparo nella propria azienda, nella propria comunità locale, nella propria terra (Padania, Meridione) o in una dimensione più vasta come può essere l’Europa. Tutto, pur di sfuggire al compito che si avverte essere estremamente arduo: di levarsi unitariamente a scala mondiale contro l’avversario di classe mondializzato e abbatterlo a colpi di maglio. Per espropriarlo con la forza del tesoro di cui egli lo ha espropriato: la socializzazione mondiale delle forze produttive del lavoro.

Ma, come disse Rosa Luxemburg nel punto più basso raggiunto dal movimento operaio all’inizio del secolo: non s’è mai vista una classe sociale che si è ritratta dal compito che la storia le ha assegnato. Per quanto voglia nascondere la testa, il proletariato dovrà fare i conti con questa sua responsabilità storica.

Pena il suo precipizio in un vero e proprio inferno, insieme con lo slittamento della società nell’abisso dell’anarchia e dell’imbarbarimento.

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