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L’altra faccia del Nord-Est

NUOVO SCHIAVISMO ALLA FINCANTIERI: IL MODELLO DEL DUEMILA

Indice

Perline sindacali

La Fincantieri chiude il ’97 con un fatturato record di oltre 4 mila miliardi. È oggi un’azienda leader nel mondo nel settore delle navi da crociera. Vive un vero e proprio "stress da successo", come ha affermato Antonini, il boss dell’azienda. Negli ultimi 7 anni il cantiere di Portomarghera s’è aggiudicato il 60% della domanda di nuove navi. È l’unica azienda al mondo a gestire contemporaneamente, nei due stabilimenti chiave di Monfalcone e Marghera, la costruzione di 4 navi da crociera. Tutte costruzioni con un alto grado di complessità. Azienda di punta, perciò, non di retroguardia.

Con il boom delle commesse per la crocieristica di lusso, a Marghera, le linee di lavoro sono diventate 4: la linea in cui lavorano prevalentemente i dipendenti Fincantieri, quella delle imprese d’appalto, la mista -dove lavorano operai interni ed esterni all’azienda-, la linea adibita a deposito e stoccaggio di materiali.

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Laboratorio di flessibilità e precarietà

Ma a Portomarghera non si costruiscono solo le più belle e grandi navi del mondo, si sta soprattutto sperimentando il "nuovo" modello di organizzazione del lavoro del duemila, quello che i padroni cercano di generalizzare ovunque: appalto, subappalto, lavoro nero.

Ormai Fincantieri affida a terzi tutte le fasi di lavorazione: progettazione, costruzione dello scafo, allestimento e ancor più impiantistica per l’aerazione dei locali, pulizie. Sono presenti 200 imprese con un regolare contratto d’appalto (vinto con la regola del maggior ribasso), e altre 700 che operano in regime di subappalto. Il tutto con ritmi e condizioni di lavoro propri della giungla degli appalti: orari di 50, 60, 70 e più ore a settimana, salari bassissimi e spesso pagati con mesi di ritardo. Le protezioni antinfortunistiche non esistono, mense e servizi igienici sono insufficienti, i diritti sindacali sotto zero. Una miriade di cooperative e aziende gestiscono il servizio delle pulizie (250 persone a tempo pieno, 10 ore al giorno, nessun rispetto per le norme contrattuali e paga che non supera il milione al mese).

Negli ultimi mesi i dipendenti diretti della Fincantieri erano 1300, i lavoratori del subappalto 3500. Per gran parte di essi il contratto è a tempo determinato, da 30 giorni a un massimo di tre mesi. Molti lavoratori, soprattutto immigrati, supersfruttati e super-ricattati (anche con metodi mafiosi), sono costretti a vivere in spelonche e a lavorare come schiavi per un salario mensile di 600.000 lire (è il caso degli operai bulgari o rumeni dei cantieri navali "Ceaucescu"). Spesso il tutto è, almeno formalmente, "legale". Infatti, mentre per le aziende italiane che "importano" manodopera straniera esiste l’"obbligo" di applicare i contratti italiani, qualsiasi impresa straniera che vince un appalto in Italia può limitarsi al rispetto delle norme in vigore nel proprio paese.

È facile, dunque, servirsi di manodopera a bassissimo costo: la Fincantieri dà un segmento di lavoro in appalto a un’azienda di medie dimensioni, la quale a sua volta la subappalta a una più piccola, questa la spezzetta ulteriormente; al fondo della rete ci sono le aziende straniere (o presunte tali). Queste ultime importano dai rispettivi paesi forza-lavoro a basso costo, in moltissimi casi si tratta di manodopera qualificata. E così accanto al saldatore locale, che percepisce un salario orario discreto, c’è quello rumeno o polacco che prende appena 6.000 lire l’ora. E se un lavoratore, assunto in una impresa "terzista", vuole licenziarsi per spostarsi in una in cui le condizioni sono migliori, non può per almeno tre mesi lavorare nel cantiere. Regole non scritte ma rigidamente operanti, che impediscono all’operaio di "vendersi" al miglior acquirente e garantiscono la conservazione del meccanismo di funzionamento al ribasso della catena dell’appalto.

Queste, le condizioni che hanno permesso alla Fincantieri di costruire la "Rotterdam", la nave da crociera più veloce del mondo; ora la "Grand Princess", la più grande e la "Disney Magic", la più lunga. Massima flessibilità e precarietà. Condizioni di vita e di lavoro che ricordano i tempi degli schiavi.

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Come contrapporre lavoratori ad altri lavoratori

E il sindacato? Dopo qualche denuncia e difesa individuale di alcuni lavoratori degli appalti (per esempio sei rumeni che percepivano un salario di 500.000 lire e che, grazie all’intervento della Fiom, sono stati assunti con un "regolare" contratto di lavoro), di recente ha cominciato a rivolgersi alla magistratura e al prefetto affinché "facciano luce" sul fenomeno degli appalti e del caporalato. Fim Fiom e Uilm hanno chiesto alla Procura della Repubblica che "almeno" 500 lavoratori "non in regola" lascino i cantieri ex-Breda. Sono operai giornalieri, immigrati e italiani, che prestano lavoro senza copertura contrattuale e previdenziale nel subappalto.

Questa gravissima presa di posizione deriva dalla preoccupazione, fondata, che il sistema di subappalto finisca per stabilizzarsi e penalizzare la condizione di tutti i lavoratori. Ma come si risponde al pericolo? Agendo a tutela dei lavoratori degli appalti e chiamando in lotta i lavoratori della Fincantieri a fianco e alla testa dei supersfruttati e super-ricattati lavoratori dei cantieri? No. La "tutela" dei lavoratori viene inserita in un quadro politico in cui predomina la difesa dell’azienda: nessun attacco frontale al sistema degli appalti, solo una richiesta di razionalizzarlo e cogestirlo.

Chiedere di razionalizzare e cogestire gli appalti, in alternativa a quelli selvaggi voluti dall’azienda, significa in sostanza, accettare una gerarchizzazione della condizione dei lavoratori, ammettere che siano divisi in lavoratori di serie A e di serie B.

Così si mina strutturalmente l’unità dei lavoratori e s’indebolisce la loro capacità di reazione e di difesa dei propri interessi di classe.

Alla Fincantieri, infatti, esistono ben 13 figure contrattuali diverse che svolgono lo stesso lavoro ma con salari, orari e diritti diversi!

Chiedendo agli organi dello stato di allontanare dal cantiere centinaia di lavoratori, i vertici sindacali credono di salvare una parte di lavoratori (della Fincantieri innanzitutto) buttando a mare tutti gli altri. Si finisce invece, in questo modo, solo col dividere e contrapporre lavoratori tra loro: 1) con l’abbandonare i lavoratori degli appalti a sé stessi e agli scorticatori della loro pelle, 2) col far sentire ai lavoratori della Fincantieri che la minaccia alla loro condizione viene non dall’azienda, ma da altri lavoratori supersfruttati. Quale miglior regalo per tutto il padronato!

La pressione del sindacato ha portato alla sigla di un "verbale di riunione" tra i delegati e i responsabili dell’azienda. "Insieme" dovrebbero individuare tutti i problemi logistici esistenti nel cantiere. Il tutto allo scopo di "riqualificare e potenziare l’indotto e creare nuove professionalità nel veneziano al passo con gli sviluppi del settore" (La Nuova Venezia 3.12.’97). Veramente una coerente pratica di "federalismo solidale", non c’è che dire!

"Marghera non è Crotone", così titola un articolo uscito sulla Nuova Venezia (24.12.’97), in cui Sabiucciu, segretario generale della Cgil veneziana, commenta l’accordo siglato tra Cgil-Cisl-Uil e Unindustria riguardo alle nuove "regole anti-criminalità" nei subappalti. Secondo Sabiucciu "c’è stato un riconoscimento comune che Marghera non è Crotone e che la sfida non si gioca sull’abbassamento del costo e delle condizioni di lavoro ma sulla qualità, la ricerca, la formazione".

Questo il "federalismo solidale" per il quale i sindacati hanno mobilitato i lavoratori: si crede di poter salvare le condizioni di lavoro al nord cedendo su quelle dei lavoratori del sud, gettando a mare un pò di subappalti "forestieri" per dare spazio ai subappalti locali, per definizione -in quanto locali- più qualificati, più professionali etc..etc.. (un’idea di chi siano questi imprenditori la danno le lettere, inviateci da alcuni lavoratori delle cooperative, pubblicate nella pagina a fianco).

Partendo dalle specificità aziendali e locali il solo risultato che si ottiene è la divisione del proletariato, il suo indebolimento e la sua maggiore ricattabilità da parte dei padroni, i quali possono così utilizzare i lavoratori meno garantiti come spauracchio contro quelli più "garantiti". Non è un caso che alla Fincantieri siano peggiorate pure le condizioni di lavoro per i dipendenti diretti dell’azienda. I ritmi e gli orari sono aumentati per tutti, lo stress e i rischi per la salute pure. La flessibilità e la precarietà producono incertezza sul futuro, non solo per gli operai degli appalti, ma per tutti.

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Il nostro intervento

Per quanto ci hanno consentito le nostre forze, come OCI abbiamo denunciato a tutti i lavoratori e ai compagni più sensibili la situazione della Fincantieri di Portomarghera.

Lo abbiamo fatto con un manifesto affisso nella zona e nelle altre città in cui siamo presenti. Lo rifacciamo con questo articolo perché riteniamo importante far riflettere i lettori su quanto di "generale" c’è in questa situazione "particolare".

Il "nuovo" modello di organizzazione del lavoro che i padroni cercano di generalizzare è la massima flessibilità e precarietà. Il padronato sta lavorando a introiettare nei lavoratori l’accettazione della stratificazione delle condizioni di lavoro.

Davanti a tutto ciò, pensare di poter difendere le condizioni dei lavoratori "regolari" e italiani, cedendo su quelle degli "irregolari" e immigrati, è per la classe operaia una politica suicida. In questo modo si va solo allo scontro tra lavoratori: "regolari" contro irregolari, "indigeni" contro immigrati, lavoratori del nord contro lavoratori del sud.

La via da seguire è opposta, è quella della lotta unitaria contro tutta la macchina dello sfruttamento, si chiami essa Fincantieri (o Enichem o Fiat) o con i mille nomi delle ditte che da esse dipendono. Le sue migliori battaglie la classe operaia le ha combattute per unire, non per dividere, per parificare i trattamenti, non per stratificarli.

Compito delle avanguardie e dei comunisti deve essere quello di lavorare a spezzare la tendenza alla frantumazione del fronte di classe e allo scontro, ma perché ciò sia possibile è necessario che la classe operaia si desti dal torpore attuale e torni alla lotta vera, liberandosi dalle illusioni e dai pregiudizi aziendalisti, localisti e nazionalisti. È il capitalismo stesso che, globalizzandosi, crea le condizioni oggettive per l’unificazione del proletariato a scala mondiale.

E la Fincantieri ne è -in piccolo- un ottimo esempio: vi lavorano operai di diverse nazionalità, rumeni, polacchi, bulgari, albanesi, italiani, croati, marocchini.

I padroni lavorano a scatenare tra i lavoratori la concorrenza più spietata per meglio sottometterne ogni sezione e pezzo, il nostro lavoro deve mirare, all’opposto, a rilanciare l’autonomia e l’unità di classe.

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Perline sindacali

Riviera del Brenta. Sono circa 9 mila gli addetti che tra Padova e Venezia producono scarpe esportate in tutto il mondo, distribuiti tra 722 micro e piccole imprese sparse lungo la Riviera del Brenta.
Il 44% delle aziende ha da uno a cinque dipendenti. Si lavora per otto, nove ore al giorno ripetendo ininterrottamente una operazione di 3 /4 minuti, per 1.200.000 lire al mese.
Il 70% degli addetti sono donne, 1.500 lavorano a domicilio dodici ore al giorno, senza ferie né malattie.
Di fronte alla rabbia dei lavoratori e delle orlatrici a domicilio che denunciavano questa situazione, Sergio Cofferati, in una assemblea a Strà (Pd) il 24 novembre ’97 risponde: "Avete ragione in pieno. Ci siamo dimenticati per troppo tempo di questo settore e vi dobbiamo più attenzione. Il futuro è nel lavoro a domicilio. Quindi voi siete il futuro, che certamente vedrà il lavoro uscire dalle fabbriche e disperdersi nel territorio. Il telelavoro, affascinante sipario, è una scommessa" (La Nuova Venezia 25/11/97). Miracoli di un sindacato moderno: respirare e far respirare ai propri figli i collanti nocivi necessari per incollare le scarpe è diventato affascinante!

Treviso. Ad Altivole 42 cinesi sono stati trovati a lavorare in 4 seminterrati, completamente al buio. Cucivano per 16 ore al giorno con un salario mensile di 500.000 lire.
Le organizzazioni sindacali "dubitano" che possano essere coinvolti imprenditori italiani. Il segretario della Filtea-Cgil di Treviso commenta: "Sono molto scettico che siano coinvolti i nostri imprenditori ed è poco probabile che grandi imprese non si siano tutelate e abbiano dato commesse a gentaglia di questo tipo". I "nostri" imprenditori sono troppo brava gente per sfruttare così barbaramente i lavoratori, non sono "gentaglia", i cinesi, invece, si sa ... Liberazione si limita a riportare la notizia lasciando ai suoi lettori le dovute conclusioni.

Vicenza. Di recente è stato sottoscritto un accordo territoriale che riguarda 8.500 addetti del settore conciario. L’accordo prevede una clausola di dissolvenza degli aumenti salariali se ci sarà un intervento legislativo sulla riduzione dell’orario di lavoro:... "Nel caso di emanazione di una legge sulla riduzione degli orari le parti si incontreranno per verificare la possibilità di ristabilire concordemente i fattori di equilibrio sui quali si fonda (l’accordo), onde non vengano determinati oneri aggiuntivi per le imprese". Il segretario generale della Cgil Veneto commenta la clausola su Liberazione: "Chi ha dato il mandato? Nessuno, credo: mi preoccupa allora questo "federalismo" sindacale a fronte di una controparte che sa muoversi in maniera coordinata per scardinare l’unità dei lavoratori". Esiste forse un "diverso" federalismo che tuteli l’unità dei lavoratori? E non comporta forse, il federalismo, accettato anche dalla Cgil, che ogni struttura regionale, di categoria, aziendale vada per conto proprio, dando una mano -anche se non lo dovesse volere- a scardinare l’unità dei lavoratori, invece che a rafforzarla?

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