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Dossier Sud

Militarizzazione fa rima con ristrutturazione

Dagli inizi degli anni ‘90, da quando al Sud con la fine delle Partecipazioni statali e dell’intervento straordinario si sono iniziate a "sperimentare" le prime "applicazioni" di deregulation normative e salariali, è andato affermandosi un crescente processo di militarizzazione di ogni aspetto della società.

Iniziati col pretesto di combattere la criminalità organizzata sull’onda emotiva suscitata da alcuni crimini eccellenti, il dispiegamento dell’esercito sul territorio, la blindatura di intere aree, e il varo di un’accurata legislazione, sono divenuti un dato costante del panorama meridionale, che subisce ora una netta impennata in nome, manco a dirlo, della creazione di nuova occupazione.

Di blitz in blitz e con il sottofondo isterico d’una campagna d’ordine che unisce tutto lo schieramento politico, anche con cordate e schieramenti trasversali e/o territoriali, si assiste a uno stravolgimento di fatto di qualsiasi orpello di garanzia democratico-borghese e a un attacco, senza precedenti recenti, ai diritti politici, sindacali, alla libertà di lotta e d’organizzazione dei lavoratori.

Il primo banco di prova è stata la Sardegna.

Sfruttando il clima ipocrita d’esacrazione contro i sequestri di persona, preparato con campagne di "dis/informazione" degne della capacità di persuasione della propaganda nazista, il governo inaugurò, in terra sarda, per la prima volta, l’utilizzo dell’esercito in funzione d’ordine pubblico. Con l’altisonante nome "Forza Paris" i corpi speciali dell’esercito hanno scorrazzato per l’isola invadendo zone di pascolo e campi coltivati, terrorizzando pastori e contadini ed imponendo, in alcuni paesi, un clima d’occupazione militare con tanto di rastrellamenti, fermi indiscriminati con interrogatori "pesanti", il tutto con un atteggiamento di livore antiproletario e di aperta ostilità verso i disoccupati, precari a vario titolo e chiunque non rientrasse nei canoni borghesi "dell’onesto cittadino" con un buon conto in banca. Basta confrontare le zone interne dell’isola dove si registrano tassi di disoccupazione altissimi con le zone del turismo d’elite e balzano agli occhi gli squilibri sociali netti e polarizzati con il conseguente corollario di sfruttamento.

L’operazione "Forza Paris" doveva essere a tempo (sei mesi circa…), invece dura da anni con buona pace di quelle forze, come il Partito Sardo d’Azione ed altri confusi raggruppamenti locali, i quali, incapaci e impossibilitati politicamente a interpretare in modo corretto i moderni processi di ristrutturazione capitalistica, si attestano anacronisticamente a difesa di un presunto …"mondo sardo". Costoro, non comprendendo la collocazione della Sardegna dentro i mutati assetti geo-politici, rimangono ancorati a una realtà presente unicamente nell’oleografia da vecchia cartolina anche quando, in qualche versione "nobile", rispunta qualche scampolo di vulgata gramsciana cucinata in salsa "meridionalista".

In Sicilia, sfruttando l’eco degli attentati mafiosi, il governo varò l’operazione, tuttora in pieno corso, "Vespri Siciliani".

Anche qui la militarizzazione del territorio è servita a imporre uno standard di "presenza statuale" fatto di interi paesi e borgate circondate e messe a soqquadro, di città percorse da auto blindate a folle velocità con incidenti mortali ai danni di ignari passanti, di aree industriali completamente blindate con i lavoratori schedati, controllati e opportunamente "classificati", …insomma un asfissiante controllo di ogni comportamento sociale definito "deviante".

Inoltre i militari di "Vespri Siciliani" sono responsabili, al pari della Marina militare, dei tanti episodi, volutamente oscurati dai media, di intimidazione e di aperta repressione verso gli immigrati che dalla vicina Africa tentano, attraverso il canale di Sicilia, di sbarcare sull’isola. Specie d’inverno, quando l’attenzione è meno desta, le isole di Lampedusa e Pantelleria vengono usate per assemblare i clandestini rastrellati sui vari litorali siciliani e per meglio predisporre le espulsioni forzate.

Stesso scenario in Puglia, dove a partire dalla prima ondata di albanesi (e il ricordo corre al porto e allo stadio di Bari trasformato in un lager), fino al criminale e pianificato (…le regole d’ingaggio dettate dal governo Prodi erano state chiare ed esplicite…) affondamento della nave carica di profughi nel canale d’Otranto, è in vigore un collaudato meccanismo interforze in permanente funzione anti-immigrati. Un meccanismo versatile e utile come muro contro gli immigrati, ma anche per i vari "rientri forzati" messi in opera periodicamente, nelle puntuali scorribande nelle periferie di Lecce, Bari, Brindisi contro la "criminalità" o come "testa di ponte" operativa verso l’Albania e i Balcani.

Del resto, Taranto è sede della Marina militare, di numerosi opifici bellici e di importanti centri di comando e di controllo del dispositivo bellico della Nato; Brindisi, invece, è sede del battaglione San Marco, ossia di uno dei segmenti maggiormente addestrati dell’esercito italiano. In definitiva la Puglia, configurandosi sempre più come un terminale dell’imperialismo italiano verso l’Oriente, ha bisogno di essere "bonificata" d’ogni ostacolo.

In questo contesto il contratto d’area di Manfredonia è complementare con il lavoro nero e malsano dei lavoratori "clandestini", ma anche con i cosiddetti distretti industriali, come quello Natuzzi nella Murgia, in cui quotazione in Borsa a Wall Street e decentramento produttivo ultraparcellizzato sono intimamente legati. Una forza lavoro che deve competere con quella delle vicine Albania e Romania in un territorio dove lo Stato si impegna a garantire agli investitori la cosiddetta sicurezza e tranquillità necessarie alla riperpetuazione del comando capitalistico sulla forza-lavoro.

In Campania, invece, la militarizzazione conosce i suoi massimi picchi di concentrazione nell’area napoletana e casertana.

Oltre a un enorme quantitativo di poliziotti e carabinieri presenti nell’area e all’utilizzo dei militari dell’Operazione Partenope, il territorio di Napoli è stato scelto per sperimentare l’istituzione dei cosiddetti "contratti di sicurezza".

Questi contratti, mutuati dall’esperienza avviata negli States dal sindaco Giuliani, prevedono l’accorpamento del sindaco nella struttura operativa del comitato provinciale per l’ordine pubblico al pari del prefetto, del questore, del colonnello dei carabinieri e della guardia di finanza. Inoltre è prevista la trasformazione dei consigli circoscrizionali in sensori locali verso la criminalità, l’affasciamento in questa "crociata" delle realtà dell’associazionismo presenti nelle zone, delle parrocchie e delle scuole, con tanto di delegati preposti all’uopo, e perfino l’utilizzazione sperimentale di tecniche di controllo satellitare (in collaborazione con le strutture Nato).

Inoltre, nel dicembre scorso, per la prima volta in Italia, un prefetto, quello di Caserta, ha imposto il coprifuoco coatto a un paese "ad alta densità camorristica" per 20 giorni e le procure stanno rispolverando articoli inutilizzati del codice penale (la scorreria in armi, una serie di aggravanti da applicare ai reati associativi…) allo scopo di forzare le inchieste, rendendo obbligatoria la carcerazione per qualsiasi reato e appesantendo i termini stessi della carcerazione preventiva.

La crescente escalation di misure repressive è accompagnata da una martellante campagna d’ordine in cui, anche con l’uso apparentemente disinvolto di moderne tecniche di consenso, si crea l’humus sociale adatto all’imposizione di tali misure.

Ecco allora Bassolino che invita ad arrestare i disoccupati che bloccano la città, ecco il presidente della provincia, il verde Lamberti, che fa affiggere manifesti che invitano alla delazione di massa o che, attraverso arditi parallelismi, equipara chi non ritira uno scontrino fiscale a un boss camorristico. Ecco di nuovo Bassolino intitolare parchi e strade a vittime della camorra ed ecco le puntuali filippiche del procuratore Cordova, che sulle pagine della grande stampa nazionale si scaglia contro la "cultura dell’illegalità", rigettando qualsiasi "lettura sociale" dei fenomeni criminali fino ad arrivare alla consueta richiesta di ulteriori mezzi e nuovi poteri! E’ sempre lì che si finisce..., ed è inutile dire contro chi si chiedono questi nuovi poteri.

Non è un caso, quindi, che, come stabilito a Roma il 24 marzo scorso, tra governo, sindacati e rappresentanti di comuni e regioni, in ogni zona dove si avvieranno contratti d’area e patti territoriali si applicherà il "progetto di sicurezza" con le stesse modalità di quello napoletano. E non si baderà a spese in quanto per questi costi ulteriori si attingerà non solo ai fondi già stanziati, ma anche a quelli messi a disposizione per i patti territoriali (…in teoria soldi per nuova occupazione!).

Considerando che il governo prevede per l’intero Sud almeno 25 patti territoriali, di cui 10-15 da istituire entro il 1998, è facile delineare la ragnatela di blindatura e di militarizzazione in tutti i poli industriali e nelle maggiori aree metropolitane.

A questo punto, alla luce degli scenari che si delineano, non è azzardato affermare che la lotta alla camorra, attraverso l’armamentario che lo Stato sta dispiegando, si configura, al di là dell’ufficialità e della patina giornalistica, come un ulteriore passaggio della guerra preventiva che lo Stato conduce contro ogni possibile insorgenza di classe.

Il meccanismo combinato di nuovo sfruttamento/aumento della militarizzazione porta con sé questo inequivocabile segno e il territorio meridionale, in tutte le sue specificità, è il campo di applicazione privilegiato.

Del resto nella "nuova" geografia produttiva e sociale che il governo sta delineando per il Sud, nonostante qualche mugugno di parte confindustriale, il segno prevalente non sarà quello, pur tante volte evocato, della "Florida del Mediterraneo", ma quello, più concreto e spietato, della "Corea del Mediterraneo"…

Lo sappia il proletariato, e sappia anche apprendere la lezione di combattività classista dei fratelli coreani.

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