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ex-Jugoslavia

ZAGABRIA, 20 FEBBRAIO:
IL FRONTE UNITO DEL PROLETARIATO AFFILA LE ARMI
CONTRO IL FRONTE UNITO DELLA BORGHESIA!

Indice

La mafia italiana (privata e di stato) per la "libertà" della Croazia

 

Il marchio di fabbrica dei mass-media: "La Voce del Padrone"

Per i mezzi d’informazione le notizie si dividono logicamente in due categorie: quelle importanti e quelle prive di rilievo; la "prossimità" o meno a noi (ci tocca o non ci tocca?) aggiunge o toglie importanza al fatto in oggetto, al di là dei fattori intrinseci.

Si comprende, perciò, come anche l’Unità o il "progressista" TG3 ci rendano coscienziosamente conto delle sorti del gatto di Downing Street temporaneamente scomparso, delle infreddature di Di Caprio, di ogni scodinzolata di top model e via dicendo. Tutti eventi importanti e... toccanti.

Allo stesso modo si comprende la coltre di silenzio stesa sulle imponenti manifestazioni di classe svoltesi in Croazia di questi tempi, con epicentro il 20 febbraio a Zagabria, in quanto assolutamente prive d’interesse intrinseco e glamour (del tipo fondoschiena della Naomi o delle stimmate di Madonna). In questo mondo post-industriale o della "produzione immateriale", il proletariato non esiste; quindi non lo vediamo, soprattutto quando c’è e si fa sentire. In secondo luogo, notoriamente, Zagabria è distante qualche decina di anni luce da noi, nessun nostro politico o industriale ci ha mai messo piede, non sappiamo neppure da che parte dell’Universo stia, e la consegna è quindi: silenzio! E se poi, per avventura, se ne parla (vedi il manifesto, e gliene diamo atto), la consegna è comunque di tener ben presenti le distanze tra qui e laggiù, l’inesistenza, qui almeno, di un problema di classe e l’assoluta incomunicabilità -per principio!- che deve esistere tra fatti di casa croata (per i quali si può anche ammettere l’esistenza di una questione proletaria residuale) e quelli di casa nostra.

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I proletari croati, nostri fratelli di classe

Chi ci segue sa bene come stiano in realtà le cose. Il disfacimento della Jugoslavia, attuato per conto terzi occidentale dai caporioni nazionalisti locali, ha provocato, al di là dei morti e delle rovine, la più terribile delle sciagure: la frantumazione e la sottomissione del proletariato, reso (e resosi) impotente a contrastare la deriva sciovinista micronazionalista ed ora sotto il giogo più che mai diretto delle grandi potenze imperialiste straniere. Ma, come da anni andiamo propagandando richiamandoci alla teoria ed ai fatti, questo stesso proletariato messo a dura catena da nuovi e spietati padroni, di lì e di qui, man mano che la sbornia nazionalista va a smaltirsi, è costretto a scontrarsi con essi riprendendo coscienza di sé, delle ragioni della propria sconfitta nella fase precedente (non l’adesione al bellicismo nazionalista, ma l’incapacità di batterlo come classe operaia jugoslava, senza compromessi interclassisti nazionali). Anche in Croazia, nella culla del più tronfio, idiota e apertamente fascista, sin nei simboli, nazionalismo? , anche, e in qualche modo soprattutto qui, a misura che qui si misurano concretamente tanto il deterioramento verticale delle condizioni di vita materiali e politiche del proletariato "nazionalmente liberato" quanto il carattere oppressivo del regime borghese "liberatore" e la presenza immediata, dietro e sopra di esso, del vero ed ancor più spietato padrone imperialista occidentale. Perciò abbiamo sempre seguito con viva e fraterna partecipazione il cammino della ripresa della lotta di classe in Croazia in quanto segnale di riscossa, in prospettiva, per la riunificazione dell’insieme del proletariato jugoslavo e per l’inevitabile ricaduta positiva sulle lotte del nostro stesso proletariato, della frazione italiana del proletariato internazionale. Già, perché spezzare l’ordine che tiene alla fame ed in ginocchio il proletariato croato significa contestualmente attentare all’ordine borghese nel suo complesso, all’ordine di qui. Anche se alla sordità di qui non basterà un Amplifon e se destre e "sinistre", addirittura estreme, lavorano qui ad approfondire anziché colmare le distanze tra le rispettive frazioni proletarie per evitare la resa definitiva dei conti.

(Giova ricordarlo: qualche sparuta frangia "rivoluzionaria" italiota, consonante ad altrettanto sparute e scoppiate frange "comuniste" pseudo-jugoslave, ha colto "come noi" il significato imperialista che sta dietro la tragedia jugoslava, ma diversamente e contro di noi, vi ha risposto con l’appoggio "tattico", "militare e non politico" -secondo un consumato gergo-, ad un centro di resistenza "anti-imperialista" nazionale, borghese e il primo frutto di ciò è consistito nell’opposizione "alla Croazia". "La Croazia"? Quella dei Tudjman, sì, ma insieme quella dei proletari croati da cui ci si separa ed a cui ci si contrappone nei fatti. Noi, al contrario, non siamo "anticroati", ma appoggiamo politicamente, e lo faremmo militarmente se ne fossimo in grado, il proletariato croato per sbaraccare tanto i Tudjman che i Milosevic, tanto i Clinton che i Prodi e le loro code rifondate perché un vero centro di resistenza e riscossa proletaria in Croazia esattamente questo significa in ultima istanza. Lì piantiamo la nostra bandiera internazionalista).

Non la faremo di nuovo lunga sulle condizioni materiali di vita, o sopravvivenza, delle classi popolari in Croazia come frutto della "liberazione nazionale" e della "libera"... entrata in Occidente (o meglio: dell’Occidente). Ricorderemo brevemente appena come i salari medi attuali (comprendendo nella media quelli esorbitanti degli strati favoriti) tocchino i 400 dollari mensili di fronte a costi iperlievitati delle merci e dei servizi sociali, tanto che "il potere d’acquisto è stato dimezzato" (Il Sole-24 ore, 21-2-’98), come l’80% dei pensionati riceva un mensile sulle 250.000 lire appena, come un decimo dei lavoratori non riceva da mesi il proprio salario. Non la faremo lunga sull’inverecondo arricchimento, per contro, delle camarille legate all’HDZ se non per suggerire che tale "scandalo" rappresenta la normalità di un sistema di fatto dipendente e che, in esso, ancor più forte e scandaloso è il tasso di spoliazione della "ricchezza nazionale" da parte dei "puliti" e poco appariscenti padroni esterni. A questi dati si accompagna la crescente privazione dei diritti sindacali e politici del proletariato, che non è "altra cosa", bensì l’olio necessario ad ungere la macchina dello sfruttamento.

A tale insieme di condizioni un inizio vigoroso di risposta di classe è cominciato da tempo, come si potrà leggere in precedenti numeri del nostro giornale. In una prima fase partendo dalla singola situazione aziendale o locale e dando per scontata la divisione, anche a tal scala, indotta dal sistema attraverso varie sigle sindacali di riferimento intente a dividersi concorrenzialmente tra loro fette di clientes proletari. E, sempre in questa fase, con una passiva delega elettorale alle forze del mercato parlamentare più prodighe di promesse. Successivamente, però, il movimento è andato verso la propria generalizzazione, ha assunto tratti più marcati di mobilitazione diretta da parte della base, ha costretto -in forza di ciò- all’unità sindacale ed ha, insieme, obbligato i vari partiti politici a misurarsi con le richieste di classe sottraendo ad essi la delega elettorale ad essi precedentemente rilasciata in bianco. Come da copione: un vero movimento sociale si protende "naturalmente" verso la riacquisizione della propria anima politica.

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... e non è che un inizio!

Non siamo ancora a questo, e lo mostreremo senza inutili infingimenti autoconsolatorii, ma questa è la direzione obbligata di un processo oggettivo cui manca "solo" un efficace punto di riferimento politico soggettivo (per il cui respiro l’aria esclusivamente croata, tra l’altro, è del tutto insufficiente).

La manifestazione proletaria del 20 febbraio a Zagabria, che ha richiamato decine di migliaia di persone in piazza, a scontrarsi con uno schieramento di forze dell’ordine a suon di blindati (come non si sono mai visti a Pristina, tra l’altro, e che però i nostri bravi giornalisti non hanno qui visto!), non è stato che il compendio di decine di altre manifestazioni più o meno locali in precedenza, tra le quali ricorderemo soltanto quella di pochi giorni prima a Pola, e la base dell’ulteriore rilancio del movimento più in avanti.

E non solo il proletariato è sceso in piazza, ma esso ha con ciò stretto dietro di sé la maggioranza della popolazione, anche non proletaria, stremata proponendosi come voce generale di essa: "In base ad un sondaggio svolto nella capitale, oltre il 75% degli interpellati hanno espresso il proprio appoggio alla protesta e circa il 60% ha dichiarato di volervi partecipare. Il fronte dei no è ridotto nei due casi rispettivamente a circa il 9 e 29%". (La Voce del Popolo di Rjieka-Fiume, 17 febbraio). La manifestazione era stata indetta principalmente dai Sindacati operai diretti da Boris Kunst, ma è significativo che su di essa si siano convogliati gran parte degli altri sindacati e varie forze politiche cui pure tale paternità poteva risultare sgradita: segno evidente che quando una battaglia vera deve essere condotta e realmente lo è il suo esercito si unifica e definisce inesorabilmente sotto le insegne di classe. In esso viene perciò trascinata anche la Federazione dei sindacati autonomi, SSSH, costretta a denunziare: "Due terzi della popolazione a un passo dalla povertà", e impossibilitata ad "astenersi" da manifestazioni "altrui". Ma persino l’HUS, Unione sindacale croata legata al governo, è costretta a parteciparvi -splendida lezione di marxismo applicato che sarà bene tenere a mente anche per le cose di casa nostra!-, e che al suo leader Nik Gunjina sia poi stata negata la partecipazione al congresso dell’HDZ equivale a dimostrare come sia il movimento ad espellere da sé i germi del nemico di classe scavando un fossato tra il regime ed i suoi rappresentanti nella classe.

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Movimento sociale e movimento politico separati in casa?

Naturalmente, lo stesso Kunst aveva precisato che la manifestazione avrebbe avuto un carattere esclusivamente sociale e non politico. Pure chiacchiere, e pure illusioni "sinceramente" nutrite da parte di chi non vorrebbe lo scontro decisivo (per il quale -questo è vero!- non esiste ad oggi né un programma né una direzione all’altezza). Tutti gli attuali "dirigenti" del movimento si sono accodati a questo copione "apolitico". Ma quanto poco esso valga ce lo dice un esponente della Dieta, Dami Kajin, quando bluffa: "Che importanza ha quale partito o sindacato abbia organizzato la protesta se in questo Paese vivono male tutti, sia gli appartenenti alla destra, che alla sinistra e al centro?... I partecipanti alla manifestazione e i cittadini di Zagabria hanno dimostrato chiaramente che la protesta non ha avuto motivazioni politiche, ma esclusivamente sociali" (id., 23 febbraio). E una così generalizzata protesta contro il malessere sociale in grado di coinvolgere trasversalmente "tutti" non avrebbe portata politica? Un movimento in grado di spezzare dentro la società l’artificiosa coltre delle divisioni politiche tra gli sfruttati potrebbe mai rifiutarsi di prendere atto di questo risultato politico e farsene carico? Nulla come prima e tutto come prima? Eloquente prova di viltà politica da parte di chi ambisce alla conservazione del sistema mettendo il movimento a servizio delle future "verifiche" elettorali! Persino La Voce del Popolo (25 febbraio) sembra accorgersene allorché, distinguendo dalla compattezza ad una sola voce del movimento l’eterogeneità di nome e di fatto degli "organizzatori" (quattro sindacati, nove partiti, quattro associazioni), afferma che il primo "ha avvicinato la prospettiva del dopo-HDZ" e con ciò quelle di un’alternativa ad essa "in cui le varie e diverse forze d’opposizione cercano di ritagliarsi un loro spazio e guadagnarsi un ruolo". Movimento delegante e forze istituzionali delegatarie, ecco tutto.

Ma sarà mai possibile per il movimento regredire a tal punto dai risultati già oggi conseguiti? Ciò equivarrebbe ad un suicidio, e chi invita al suicidio non è che manchi... Sempre il Kajin: "Se il popolo non chiederà con decisione, non ci sarà alcun cambiamento decisivo a livello di governo e di politica governativa... Quando capiremo che non ha senso la paura, anche il governo inizierà forse a tener conto dei desideri del popolo" (id., 9 febbraio). Così si deve invece dire: se il proletariato, senza paure, saprà manifestare il suo programma trascinandosi dietro la stragrande maggioranza oppressa del "popolo", questo governo, questo sistema potranno, come devono, essere rovesciati e noi potremo decidere da noi e per noi. Non lo dirà Kajin, non lo dirà Kunst, ma questa è la petizione che oggettivamente sale dal movimento e che attende chi la esprima soggettivamente, politicamente. Senza arrivare a tanto, il Feral Tribune (riportato da La Voce del 24 febbraio) arriva comunque ad individuare il nodo dialettico del problema: "Boris Kunst e gli altri organizzatori... si erano sforzati inutilmente di convincere l’opinione pubblica che le dimostrazioni non si ponevano obiettivi politici ma avevano esclusivamente un significato sociale" (e ciò per non spaventare le "diversità politiche" presenti nell’opinione pubblica, per non comprometterne una benevola "astensione"), sennonché "i pur gravissimi problemi sociali in quel pomeriggio sono passati in secondo piano, sovrastati da un’esigenza ancor più elementare, ossia l’affermazione del diritto politico dei cittadini a raggrupparsi e ad esprimere la propria insoddisfazione" (col risultato che l’"opinione pubblica" si è schierata in maniera militante dietro una classe in grado di parlare "per tutti" nei fatti).

La realizzazione di una guida politico-programmatica ed organizzativa del proletariato, vale a dire l’elemento soggettivo postulato dalle condizioni reali dello scontro di classe, non sarà cosa semplice né immediata, lo sappiamo. Troppi sono gli aspirati tutori del "popolo cittadino elettore" ed il movimento è tuttora troppo infante per rifiutare la tutela ed essere finalmente sé stesso. E tuttavia alcuni passi in questa direzione si sono fatti. Uno per tutti (a verifica di quanto avevamo già scritto da lunga pezza): gli "ex-comunisti riformati" di Racan che, stando ad una visione gradualista delle cose, avrebbero meglio potuto avocare a sé la protesta sociale, se ne sono subito ritratti spaventati. "Racan, pur ribadendo il diritto dei cittadini a scendere in piazza, ha rilevato che il suo partito si è distanziato dalla protesta. "Non a caso siamo stati tanto presenti al Sabor... (cioè al parlamento), l’HDZ non deve avere paura di un SDP non democratico..." (La Voce, 25 febbraio). Il parlamento contro la piazza, la democrazia parlamentare contro le "derive estremistiche". Siamo sulla lunghezza d’onda dei Bertinottic, indefessi lavoratori parlamentari e governativi!

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Maria Antonietta e la ghigliottina

Il Novi List (che riprendiamo sempre dalla Voce, 25 febbraio), riferendo sul congresso dell’HDZ, in cui Tudjman ha qualificato di "gentaglia" la gente scesa in piazza attribuendo ai manifestanti "un tentativo di destabilizzare e rovesciare il potere..., provocare il caos e l’anarchia, fomentare disordini e puntare all’albanizzazione (!) della Croazia" ed ha promesso che la prossima volta la polizia "non si limiterà a spintonare i dimostranti", conclude che con ciò "il partito al potere si è completamente estraniato dal popolo... alla stregua di Maria Antonietta". Alla "sinistra", la sindrome di Maria Antonietta ha colpito anche i Racan. Non hanno pane? Qu’ils mangent du Sabor! Non resta che rivedere all’opera la vecchia, cara ghigliottina e i conti saranno pareggiati! Tudjman che schiera migliaia di poliziotti armati di tutto punto e le auto blindate contro i manifestanti, inibisce ad essi con la forza la piazza, li insulta e li provoca compie un’opera per noi meritoria: egli mostra al movimento cosa e come si deve rivendicare. Lo Stato? Il parlamento? Ma Stato e parlamento erano lì, armati. Togliete di mezzo Tudjman e lasciate integro il sistema, col suo Stato, il suo parlamento, la sua polizia, e nulla cambierà, a parte, forse, l’intenzione di evitare il ricorso alla piazza con più parlamento e meno polizia. In realtà, sarà sempre più parlamento e più polizia, e ne vediamo anche in Italia i prodromi in presenza di un "governo amico". Soviet ed esercito di classe, ecco quale sarà il nostro "dialogo" col potere, vecchio stile o rifondato alla Racan.

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La mafia italiana (privata e di stato) per la "libertà" della Croazia

Ecco il contributo della mafia italiana (di stato e privata) alla "liberazione" della Croazia e il riconoscimento della "liberata" Croazia per l’aiuto ricevuto.

L’ex-capo della mala del Brenta racconta [nel suo recente libro Una storia criminale] di avere trafficato con il figlio del presidente croato Tudjman. "Da quattro anni -scrive Maniero- avevo relazioni commerciali clandestine con personaggi di spicco di quel paese. Ero in amicizia e in affari con il figlio di Tudjman, il presidente della repubblica di Croazia. Il giovane Tudjman era destinato a diventare il capo dei servizi segreti del suo paese. Con lui mi vedevo spesso (...). Provvidi a inviare al fronte due grandi camion carichi di abiti e alimenti. Tutta merce di buona qualità acquistata dai miei soldati in alcuni grandi magazzini italiani. (...) Con Tudjman, quando venne a casa mia, avevo poi concordato una fornitura d’armi. La Croazia ne aveva bisogno e io sapevo come procurargliele. Servivano carri armati, cannoni, elicotteri da combattimento, armi pesanti in genere. Allora avevo incaricato un amico perché se ne interessasse. Mi fece incontrare due volte con un commerciante d’armi di Verona, che si dichiarò disponibile a entrare nel traffico. Avrebbe fatto arrivare gli armamenti dall’Austria, dove c’era un grandissimo hangar in cui Tudjman avrebbe potuto scegliere tutti i cannoni che voleva. In seguito, tramite un suo agente, ho ottenuto dalla Croazia diverse forniture d’armi leggere che servivano alla mia organizzazione." Un rapporto, quello tra Maniero e Tudjman, che continua quando il bandito, latitante, sposa "un’alcolizzata di 45 anni, Maria Ramic, di Fiume, per ottenere la cittadinanza croata". Una finta moglie procurata personalmente dal figlio del presidente (Dal Corriere della Sera 26.4.1997)

"Le armi della banda Maniero arrivavano dalla Croazia, in auto o via mare, a getto continuo e con rigore militare: decine di Kalashnikov, munizioni, granate anticarro, detonatori. Un vero e proprio arsenale al cui rifornimento provvedeva periodicamente Z. Kis, croato, latitante. "Ho conosciuto Kis nei primi mesi del 1990, credo fosse un elemento dei servizi segreti croati -ha detto Maniero- comunque praticava i prezzi più bassi e diventò rapidamente dei nostri". Le armi di Kis servivano naturalmente per le rapine ma anche, come ha raccontato Maniero e confermato Matterazzo, per farle ritrovare alla polizia come favore. Felicetto ha poi ricordato l’episodio in cui un ufficiale del Sismi gli avrebbe chiesto di organizzargli un ritrovamento e Zammattio portò davanti al Motel Agip di Marghera un’Alfa piena di armi. (dalla Nuova Venezia, 17.4.1997)

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