[che fare 48]   [fine pagina] 

L’OCI TRA I PROLETARI DELLA LEGA,
PER RIUNIFICARE IL FRONTE DI CLASSE

  Indice

Per chi, perché eravamo là?
Con le masse oppresse, ovunque collocate, per trascinarle in avanti
Dare a certe sane istanze del "popolo leghista" una risposta di classe, alternativa a quella bossiana.
La "sinistra" reclama, invece, più Stato, più manganello.
Comunisti del genere i proletari leghisti non li avevano mai visti.
Attenti: il tempo stringe!

 

Il 13 settembre scorso, come ogni anno, la Lega aveva chiamato i suoi a Venezia per la tradizionale manifestazione nazionale.
Noi eravamo là come organizzazione, col nostro materiale affisso e in distribuzione, con nostri militanti provenienti da tutta Italia nelle tipiche casacche rosse con falce e martello che in ogni manifestazione vestiamo ad indicare subito chi siamo e come lavoriamo, pur entro i limiti delle nostre forze, da organizzazione centralizzata.

Per chi, perché eravamo là?

Lo eravamo non per la Lega "in generale", ma per la sua stramaggioritaria base militante -quella a cui ci siamo espressamente rivolti in termini specifici e discriminatori con un volantone il cui titolo non a caso era: "Ai lavoratori della Lega"-, una base fatta di proletari e di "popolo", cioè di strati sociali vicini al proletariato quanto a condizioni d’oppressione nella società presente (Lenin scrive: oppressi quanto e talora più dei proletari in senso stretto).
Questa la prima considerazione, che non discende da un’astratta considerazione sociologica, ma fa riferimento alla teoria, al programma, alla politica del marxismo.
Qualche snob della pretesa "sinistra" ci spiegherà che la categoria sociologica dell’oppressione non basta, perché, talora (e mettiamoci pure: spesso) essa può nel "concreto" pencolare dalla parte reazionaria, che va battuta. Grazie, lo sapevamo già per conto nostro.
È precisamente per questo motivo che diciamo che deve esistere un Partito di classe nel senso marxista, che non funga da riflesso delle temporanee ideologie (necessariamente borghesi) delle masse, dei loro temporanei stati d’animo, ma agisca da cosciente e solidamente strutturato organo dei loro interessi storici. Trotzkij scrive, con espressione dal sapore greve per certi palati bene educati: non siamo di quelli che stanno in adorazione del deretano delle masse. Tradotto in linguaggio più forbito: non siamo dei codisti, degli spontaneisti, degli immediatisti. Che non ci sia granché da adorare delle masse proletarie e popolari leghiste "in quanto tali", cioè secondo la "concreta realtà attuale", ci è ben noto. (Così come ci è ancor meglio noto che uno schifo assoluto ci separa da certo antileghismo "di sinistra" lontano ed ostile alla prospettiva comunista in modi e misura assai meno contingenti, come vedremo).

 [indice]  [inizio pagina] [next] [back] [fine pagina]

Con le masse oppresse, ovunque collocate, per trascinarle in avanti

Ma se la distanza tra Partito e masse è non già un’eccezione, bensì la regola -salvo momenti storici eccezionali di quasi fusione tra i due termini-, e se tale distanza è certamente "massima" oggi tra noi e le masse oppresse leghiste, mai e poi mai potremmo immaginarci, senza smentire l’insieme del nostro impianto dottrinario, che il Partito possa e voglia separarsi da esse ed abdicare dalla sua permanente consegna: con le masse oppresse sempre, fronteunitariamente! Non per lasciarle e corteggiarle laddove stanno, ma per trascinarle avanti e contro il loro "stare". Ciò è doveroso e possibile ove si parta dalla nostra ferma considerazione materialistica di fondo: ad ogni falsa (ed autodistruttrice) posizione contingente del proletariato e degli altri strati oppressi corrisponde un reale disagio, una reale protesta contro questo o quell’effetto dell’oppressione capitalista, o ad un complesso groviglio di tali effetti, e questa è la leva potente su cui si deve giocare per sciogliere le loro forze dalle sirene borghesi; per la loro posizione materiale nella società presente esse sole sono in grado di rappresentare la possibilità di un antagonismo storico dispiegato e globale, la possibilità dell’"alternativa" rivoluzionaria. Di più: ogni loro provvisorio piegamento a prospettive borghesi e "persino" reazionarie, consegue al tradimento nei loro confronti da parte delle forze riformiste, della "sinistra" che le dovrebbero, stando ad una certa logica, "rappresentare". Ci siamo capiti? Qui sta un settore non indifferente della nostra classe; una parte decisiva del nostro esercito di classe che soffre, come ogni altra, degli effetti della crisi capitalistica; noi non la abbandoniamo a sé stessa (e cioè alla borghesia), ma lavoriamo a trascinarla a noi su questa base e nella necessaria, implacabile lotta contro il riformismo "per bene" che, fattosi complice ed araldo della borghesia, la colpisce e la devia dai suoi argini.

Su queste basi, negli anni successivi al ’14, il marxismo non ha cessato per un solo attimo di rivolgersi fraternamente, fronteunitariamente, stando fermo sulle proprie basi antagoniste, ai proletari smarritisi, grazie alla socialdemocrazia, nei fronti nazionali di guerra, nel più bieco e reazionario interclassismo armato, fratelli contro fratelli di classe. Lo ha fatto riscattando il marxismo autentico dalle montagne di letame riversategli addosso dal riformismo, mostrando concretamente alle masse da dove derivassero le sue sofferenze e contro chi appuntare i propri strali. Su queste stesse basi, nel corso della seconda guerra mondiale (ed ancor prima in Spagna), la nostra corrente si è battuta per la fraternizzazione di classe contro la politica dei fronti popolari e ciellenistici pro-borghesi, e lo stesso vale per tutti gli episodi successivi di lotta sino ai nostri giorni.

Se settori rilevanti del proletariato e degli sfruttati stanno oggi con la Lega, la colpa non è loro e neppure, principalmente, della Lega stessa (che rappresenta piuttosto un effetto indotto), ma del tradimento di queste masse da parte del riformismo. Il proletario che milita nella Lega non può fare a meno di sentire sulla propria pelle i colpi infertigli dal capitalismo, non dimentica con ciò la sua individualità di classe, ma si svelle provvisoriamente dal suo terreno perché da esso lo ha svelto il riformismo. L’oggettività della sua situazione di classe reale, combinata con l’azione soggettiva del Partito, è quanto potrà ripristinarne l’antagonismo oggi assopito e deviato. A condizione che il Partito sappia assolvere sino in fondo e senza esitazioni al suo compito.

 [indice]  [inizio pagina] [next] [back] [fine pagina]

Dare a certe sane istanze del "popolo leghista" una risposta di classe, alternativa a quella bossiana.

Chi si prenda la briga di ascoltare e imparare quel che va appreso dal "popolo" leghista si accorgerà con facilità che in esso vivono in potenza tutti gli elementi di una critica radicale al capitalismo.
Si accorgerà, per incominciare, che una buona parte di esso aderisce tuttora al sindacato confederale cui chiede la doverosa difesa dei propri interessi immediati né più né meno del resto della classe. Lo sdoppiamento, a livello di massa, tra fede politica leghista e scarsa o nulla adesione al SINPA mostra come esista una contraddizione tra "politica" leghista e sano istinto di classe dei lavoratori salariati leghisti di per sé in grado di svuotare il contenitore politico fasullo se... se esistesse un reale sindacato di classe, se esistesse un reale partito di classe in grado di prospettare ad essi una soluzione emancipatrice. Ma chi, se non proprio questa "sinistra", alimenta oggi, in seno alla classe, la divisione per linee territoriali, per rami produttivi, per singole aziende persino giungendo a contrapporre di fatto garantiti e sgarantiti, occupati e disoccupati, Nord e Sud, giovani e vecchi e via dicendo? E chi se non proprio questa "sinistra", tutti subordina e schiavizza alle regole impersonali ed "oggettive" del capitale?

Nel "popolo leghista" si potrà altresì vedere come è vivo quel sentimento di odio contro lo Stato borghese attuale, oppressore e parassitario, che dovrebbe costituire l’elemento centrale di una vera politica antagonista di classe, a cui fa da contrappunto, invece, un iperstatalismo borghese sino al midollo da parte delle forze della cosiddetta "sinistra". Vedrà che, come risposta all’infezione statalista, esso cerca di darsi una propria autonomia, di crearsi delle proprie realtà di vita e degli ambiti di vita comunitaria "alternativi" (e non stiamo qui a spiegare il senso delle virgolette) proprio mentre la cosiddetta "sinistra" tende ad ingabbiare tutta la vita sociale entro le maglie di questo Stato a spese della società reale. Lo sforzo di produrre forme comunitarie di vita nei più svariati settori della vita sociale (scuola, cultura, spettacolo, sport, salute, associazionismo di ogni genere...) si lega qui, senza alcun dubbio, a programmi sorpassati e persino reazionari (nel senso messo in luce da Marx nel Manifesto a proposito dell’utopismo rétro degli strati sociali schiacciati dalla macchina stritolatrice del capitalismo), ma, al tempo stesso, rappresenta una doppia testimonianza in positivo per la nostra prospettiva: l’esistenza di una contraddizione antagonista nella società che va a colpire in profondità la massa, e un principio di sana reazione di solidarietà militante a livello di essa. Per strade sbagliate? Certo, e se no che ci staremmo a fare noi? L’importante, però, è che esista un viandante che si è messo in moto e che possa essere indirizzato lungo il suo cammino.

Prendete la scuola, di cui parliamo altrove: a "sinistra" siamo arrivati all’ignobile rivendicazione della "libertà" scolastica identificata con un’ulteriore overdose di stato borghese sotto la bandiera, non meno ignobile, del "laicismo". Qui si lotta per una propria scuola "di popolo" libera dallo Stato, dai suoi lontani e contrapposti interessi, dalle sue menzogne, basata sulla partecipazione diretta e attiva del "popolo" con qualche buona dose di sessantottismo leghista. I comunisti non hanno, in proposito, rivendicazioni diverse "se non" nei contenuti reali con cui la riempiono: cosa significa cioè, realmente, una scuola libera antistatalista in quanto anticapitalista, e come e con chi arrivarci da un punto di vista classista.

Un attento osservatore potrà anche prender nota di come la solidarietà (relativa) del proletariato leghista con elementi di altre classi, come gli allevatori o i piccoli padroncini, rappresenti a suo modo una protesta contro il monopolismo stritolatore del grande capitale (italiano ed internazionale: vedi le rivendicazioni contro le "sopraffazioni" derivanti dalla globalizzazione imperialista) e contro il suo braccio armato fatto di legislatori, giudici, polizie e guardia di finanza come rivendicazione dei diritti del lavoro, della produzione reale di beni, rispetto alla mangiatoia di un parassitismo in putrefazione. Una prospettiva, si potrà dire, ed a ragione, che non porta di per sé da nessuna parte, se non da quella sbagliata, ma che può essere reincardinata sulle basi di classe solo assumendone sino in fondo l’istanza di fondo nel nostro senso (anziché, ad esempio, come nel caso dei putrefatti del Manifesto o di Liberazione, invocare "più Stato" e più polizie per "redistribuire" al parassitismo sociale i profitti derivanti dal lavoro). Nel popolo leghista vi è certamente un’insufficiente distinzione ideologica e politica tra proletariato e padroncini, sino ad arrivare, spesso, a un’identificazione di interessi -perlomeno immediati- tra di essi. Cantonata non da poco, ma derivante da una distinzione non banale tra lavoro e parassitismo dello Stato (del capitale nella sua fase imperialista e dello Stato a suo servizio, correggiamo noi). I distinti e contrapposti interessi di classe vanno posti certamente, per noi, come tali, ma ciò si può dare solo partendo dalla rivendicazione dei "diritti" del lavoro produttivo per arrivare alla radice del problema posto dalla Lega, che confonde le cause con gli effetti ignorando e mistificando la reale natura delle une e degli altri. Ci vuole un bel coraggio, però, a salutare i bracci armati dello Stato imperialista contro gli indisciplinati microbi della piccola-produzione quale strumento di perequazione, redistribuzione sociale etc. etc. Questi bracci armati non operano alcuna "perequazione sociale"; taglieggiano il lavoro produttivo di tutti (micro-padroni e... micro-proletari) per alimentarsi parassitariamente di esso e, magari, redistribuirne le briciole ai loro scagnozzi prezzolati, come nel caso di certi "centri sociali" chiamati a fare da manovalanza parallela allo Stato. Essi meritano esclusivamente tutto il nostro odio e la nostra cosciente, organizzata azione per fare del parallelo odio del "popolo leghista" uno strumento nostro di emancipazione.

Persino in campo internazionale si potrà constatare -vedi il caso Iraq o la vicenda Ocalan- come la rivendicazione dell’autodecisione nazionale per la Padania possa ricollegarsi, in termini deviati, a una critica dell’oppressione "mondialista" (leggi: imperialista) con accenti di identificazione della causa "padana" con quella delle masse oppresse del globo sul piano, è ovvio, dei propri interessi micronazionali e senza alcun soggettivo richiamo a una lotta comune; una posizione, comunque, meno forcaiola di certune di "sinistra" tutte imperniate sul ruolo e gli interessi dell’Italia e dell’Europa e condite di miserevole mitologia ONU. Non è forse questa un’identificazione che va riportata vitalmente alla sua vera sostanza internazionalista di classe? E come lo si può fare se non ponendosi realmente in alternativa allo statalismo euro-italianista alla coda del patrio imperialismo?

 [indice]  [inizio pagina] [next]  [back] [fine pagina]

La "sinistra" reclama, invece, più Stato, più manganello.

Non ci nascondiamo affatto che, nella generale deriva cui spinge la Lega, questi spunti prendano tutt’altra collocazione rispetto alla nostra, ed arrivino a veicolare, anche tra i militanti proletari di essa, delle aberrazioni senza limiti. Così nella fattispecie dell’atteggiamento verso i fratelli di classe del Sud e dell’immigrazione. La mobilitazione "anti-immigrazione" da parte della Lega ne è un esempio palmare, così come la campagna antimeridionalista. Ma anche a tal proposito va fatta qualche precisazione. L’antimeridionalismo leghista deve già oggi distinguere, nella propria demagogia, tra lotta ad un determinato "sistema meridionale" parassitario ed oppressore nei confronti di un supposto "sistema-Padania" e la realtà di una massa di lavoratori meridionali autentici con cui i proletari leghisti si trovano quotidianamente a convivere e a condividere le stesse rivendicazioni e le stesse lotte di classe.

E qualcosa di simile si può dire rispetto alla questione dell’immigrazione. Dei lettori proletari della Padania si chiedono e chiedono pubblicamente: tolti gli spacciatori e i delinquenti immigrati, che ne facciamo di quelli tra essi che lavorano con noi e come noi e sono già parte integrante del nostro esercito di classe? E’ proprio qui che va piantato un cuneo per agire sul rapporto tra i lavoratori leghisti e la loro direzione. Facendo leva anzitutto sulla loro natura sociale e dunque sulla valenza oggettiva dei loro sentimenti e delle loro rivendicazioni. In secondo luogo sul dato, altrettanto oggettivo, della esponenziale crescita dei contrasti di classe, tra questi stessi lavoratori (e strati popolari) e l’insieme dell’ordine capitalistico, nonché sul corrispondente incremento del fenomeno immigratorio che costringerà sempre più a toccarsi tra loro "popolo" indigeno ed immigrazione (con i due possibili esiti della unione e della collisione, s’intende). Ed infine contando sulla duplice crescita della spinta all’auto-organizzazione dei lavoratori (o aspiranti tali) immigrati e della riorganizzazione di classe nostrana con crescenti momenti di unità tra i due termini. Inutile dire che il felice esito della combinazione di questi processi oggettivi e soggettivi non solo non può essere affidato né alla Lega né alla "sinistra", ma dipende interamente dallo svincolamento della classe lavoratrice da entrambe queste ipoteche, con la riconquista di una autentica prospettiva di classe.

La cagnara antimeridionalista ed anti-immigrazione, insomma, si può cancellare solo a partire da questo dato: dando ai lavoratori meridionali ed immigrati una occasione unitaria di organizzazione e coscienza di classe. Chi lo fa qui ed ora? Forse quella "sinistra" politica e sindacale che, prima ancora di separare e contrapporre italiani e "forestieri", ha fatto lo stesso all’interno del proletariato "nazionale"? Un sindacato ed un partito in grado di unificare tali forze non solo toglierebbe l’erba sotto i piedi alle speculazioni reazionarie del leghismo, ma ne attirerebbe a sé le schiere proletarie senza soverchi problemi. Ma dove sono questo sindacato, questo partito? Chi si fosse preso la briga di seguire il Moby Dick di Santoro di questo 7 gennaio avrebbe potuto "sorprendersi" del razzismo anti-immigrazione della ricca e "rossa", o verde-Ulivo, Bologna, della totale sintonia di quel "popolo di sinistra" e dei suoi esponenti della politica e dell’amministrazione con quello della Lega, salvo il fatto di una più conclamata rivendicazione dell’utilizzo degli immigrati utili e buoni quale merce schiavizzata del capitale nostrano. Una "sinistra" da strapazzo finge di indignarsi per le sparate leghiste, ma volta la testa dall’altra parte quando lo Stato respinge sistematicamente i "clandestini" o addirittura li affonda, quando li chiude nei ghetti, li costringe al lavoro nero in concorrenza con quello dei nostri proletari o li affida alla delinquenza (di cui mafia e Stato di qui tirano le fila). Danno fastidio le "camicie verdi" allorché scendono in piazza ad assicurare l’"ordine" rispondendo in modo reazionario ad una esigenza reale connessa al degrado cui buona parte degli immigrati è condannata, ma accendono fremiti d’entusiasmo le camicie armate di polizia, carabinieri e finanza che non si limitano a "sorvegliare il territorio", ma lo "ripuliscono" con la forza.

Noi comunisti autentici non fingiamo che non esistano i problemi sollevati dalla base leghista (e non solo da quella, come si è visto da Santoro). Si tratta di problemi reali e non da poco per chi vive nei quartieri popolari (lontani dagli attici di lusso dei pontefici del "buonismo"). La concorrenza sleale va combattuta, la delinquenza va combattuta. Solo che per farlo occorre mettere ordine nelle nostre fila; occorre organizzare la massa proletaria locale ed immigrata; occorre indirizzarne la lotta contro la logica del capitale, partendo dalle sue conseguenze per arrivarne alla radice. Esattamente il contrario delle posizioni di una "sinistra" il cui cuore batte per il capitale e lo Stato.

Perciò ripetiamo: la lotta contro il "leghismo" è indissociabile da una lotta a fondo contro l’attuale deriva di "sinistra" in seno al proletariato, contro la sua opera di smobilitazione e deviazione a tutto campo.

Sono le stesse cose che nella sostanza (al di là delle forme e delle contingenze particolari) dicevamo nel 1921 nella lotta contro il Fascismo: per battere il Fascismo occorre battere all’interno della classe il riformismo, la sua opera di divisione, di edulcoramento statalista ed interclassista dello scontro, di scostamento verticale dalla prospettiva rivoluzionaria in nome dell’unità con i "democratici" parlamentari, i magistrati, le guardie regie.

Ed a proposito di ’21 e di... ’99. Leggiamo su un giornaletto di Rifondazione, oltraggiosamente chiamato Ernesto, ad indecoroso sfruttamento dell’immagine del "Che":
"Stiamo assistendo ai preparativi di un colpo di Stato (da parte della Lega, n.)... (Si tratta di) un movimento reazionario di massa (di cui, peraltro, l’ultima cosa ad interessare sono le masse, n.)... Per rinvenire nella storia un progetto così radicalmente reazionario bisogna forse risalire a Hitler, più ancora che a Mussolini... Ma che fa la sinistra? Che fanno i comunisti?... Sia pure tra incertezze e ripensamenti, il presidente della Camera sottolinea il diritto dello Stato nato dalla Resistenza a difendersi con ogni mezzo; Ettore Gallo ed altri illustri giuristi esigono l’arresto di Umberto Bossi; e invece a frenare, a raccomandare cautela e comprensione sono spesso elementi di sinistra e persino comunisti... (Gramsci) dichiarava che il fascismo avrebbe portato alla rovina la nazione italiana nel suo complesso e che sarebbe spettato alla classe operaie e ai comunisti risollevarne le sorti. Attualizzare questa lezione significa denunciare il tradimento nazionale di quei settori della borghesia che, pur di cancellare lo stato sociale, civettano con Bossi; significa inoltre denunciare lo stesso Bossi a causa della catastrofe che egli prepara anche per la popolazione del Nord nel suo complesso".

Persino (si fa per dire...) la "sinistra" di Rifondazione si è allineata a questa posizione a favore dell’intervento antileghista da parte dello Stato, con "tutta la nazione" a rimorchio in nome del "diritto", con un Ferrando che potrebbe addirittura rivendicare la primogenitura della proposta di costituire squadre "proletarie" dedite a picchiare i leghisti militanti, cioè, in fondo, quella base proletaria e "popolare" di cui si sta dicendo...

Ma che bellezza! Lo Stato resistenzialista che "con ogni mezzo" ci salva dal novello Hitler rimettendo in riga le masse reazionarie! Gallo con altri illustri giuristi ed illustri poliziotti chiamati a salvare la nazione "nel suo complesso"! Lo stato sociale salvato dai "traditori della nazione" costituiti da certi, non meglio identificati, settori della borghesia (non l’ulivista Agnelli!) che tramerebbero per Bossi! Ma non c’è alcun bisogno di invocare questo spettro per giustificare gli attacchi al cosiddetto stato sociale: esso se ne sta bellamente andando in frantumi proprio sotto la gestione capitalista della "sinistra" e sotto la spinta e l’appoggio autogratificante della grande borghesia interessata alla catastrofe del proletariato nazionale nel suo complesso. Tale operazione grava anche sui borghesi di mezza tacca, o tre quarti di tacca, che, però, guarda caso, si guardano bene dall’appoggiare direttamente e massicciamente la Lega anche quando, in astratto, potrebbero essere interessati al suo messaggio "nordista" ed antimonopolista. Perché? Per la semplice ragione che questi strati sono immediatamente e prepotentemente interessati all’opera di frammentazione e compressione del proletariato nel suo complesso portata avanti dai governi tradizionali e in più, temono come la peste l’attivizzazione militante delle masse popolari leghiste in quanto di per sé suscettibile, in uno scenario di crisi galoppante, di sfuggire di mano ai controllori politici della Lega stessa.

Ebbene: il PRC evoca qui dei padroni del vapore "traditori" (da redimere in bravi padroni "responsabili" di fronte a... Dio e alla Nazione Capitalista) per nascondere il fatto che si chiama lo Stato ad intervenire contro una parte del nostro esercito di classe in quanto "reazionario". Che il canchero vi freghi!

 [indice]  [inizio pagina] [next]  [back] [fine pagina]

Comunisti del genere i proletari leghisti non li avevano mai visti.

Noi, incommensurabilmente discosti da questo merdaio al servizio del capitale, ci siamo direttamente rivolti al "popolo leghista" col volantone inserito nel precedente numero del Che Fare, ribadendo subito le ragioni di principio del nostro indirizzo fronteunitario di fraternizzazione di classe e, su questa ineludibile base, demolendo (o tentando di demolire) una per una tutte le posizioni di fondo su cui si regge l’equivoco leghista. Non abbiamo nascosta nessuna delle nostre posizioni antagoniste rispetto alla Lega, e sfidiamo qualunque malintenzionato a dimostrare il contrario. Ma quest’opera di demolizione l’abbiamo fondata su un richiamo fortissimo all’unità di classe, sull’apprezzamento (non tattico, ma reale) dei sentimenti di rabbia di classe presenti nel "popolo leghista" che spetta ai comunisti liberare dall’involucro in cui sono imprigionati e deformati e sulla denunzia spietata dell’opera di una "sinistra" colpevole non di essere sinistra, o addirittura comunista, ma di non esserlo affatto, e di sfruttare tali bandiere solo per meglio svolgere il proprio lavoro di cani da guardia del capitale ed infangarne così il significato agli occhi delle masse.

La nostra falce e martello ha provocato qualche reazione qua e là scomposta (di cui forniamo qualche esempio nel riquadro qui accanto), da noi subito rintuzzata col massimo sforzo di arrivare ad un aperto dialogo. E chi ha letto il nostro volantone o si è fermato a discutere con noi ha visto immediatamente che tra noi e loro non esiste alcun filo spinato divisorio, che noi non stiamo lì, da bravi ernestini, ad invocare lo Stato armato contro la "reazione", ma ci stiamo da fratelli di classe, qualunque cosa si possa al momento pensare di quel che diciamo e facciamo; che proponiamo temi reali di classe che essi stessi avvertono sulla propria pelle ed a cui tentano di reagire e che a questi temi diamo spiegazioni e soluzioni con cui è d’obbligo confrontarsi. Molto interessante lavoro si è potuto fare in questo senso. E, particolare "curioso", se qualcuno ha cercato di impedircelo di fare è stato proprio qualche organetto del potere locale, nella fattispecie alcuni vigili -o vigilantes che siano- della squadra Cacciari rimessi in riga da noi e da leghisti intenti a discutere con noi. Di che si preoccupavano? Non certo della nostra incolumità, non certo dell’"ordine pubblico" (vista l’utilizzazione di certi "centri sociali" in altre occasioni per arrivare alla rissa antileghista). Più probabilmente erano preoccupati che dei comunisti riuscissero a parlare da comunisti a fratelli di classe leghisti rompendo il muro di una divisione artificiosa (ma ben reale e funzionante a pro’ del capitale) in seno alla classe.

Dopo la manifestazione abbiamo ricevuto la lettera di un leghista di questo tenore:
"Amici, il 13 settembre, a Venezia, partecipavo alla manifestazione della Lega Nord. Vi ho visto con le giubbe rosse e con i vostri volantini "falcemartello" e devo avervi insultato. Me ne scuso. Ho letto il vostro scritto. Di solito ci scrivono solo per dirci che siamo degli ignoranti da osteria. Il vostro, invece, era un ragionamento pacato e rispettoso. Ho scoperto che abbiamo un sacco di nemici in comune: il Vaticano, il capitale, la mafia, i due poli, la polizia, l’America, l’Europa, i mass-media. Non posso che chiedervi qualche numero del vostro giornale. Mi avete incuriosito...".

Senza gonfiare l’episodio, che sta insieme, però, con un mucchio di discussioni fatte sul campo, troviamo qui la verifica del nostro lavoro. Il proletario leghista è realmente, spesso, convinto di avere i nemici di cui sopra e di essere stato lasciato orfano e tradito dalla attuale "sinistra" nei loro confronti (ha sorpreso in certa misura finanche noi il constatare quanti mai dei partecipanti alla manifestazione di Venezia avessero in precedenza appartenuto alla "sinistra storica" e, in qualche caso, anche a quella "extra"). Capire che si tratta di "nemici in comune" è un passo avanti che solo un atteggiamento di principio pacato e rispettoso, cioè fronteunitario, può permettergli di cogliere. Da ciò alla comprensione ulteriore che il comunismo non ha nulla in comune con la demagogia populista, e talora persino "proletaria", della Lega certamente ce ne corre, ma qui sta il filo da tessere. Che questa "sinistra" stia con i nemici di cui sopra è semplicemente un dato di fatto, e salutare a condizione che arrivi tutto il resto.

 [indice]  [inizio pagina]   [back] [fine pagina]

Attenti: il tempo stringe!

Un’ultima notazione importante. Dell’insieme dei militanti leghisti i più disposti al dialogo con noi erano quelli con un minimo di tradizione di organizzazione e di lotta di classe. Molti dei giovani e delle donne si mostravano, di regola, assai più programmaticamente chiusi ed ostili nei nostri confronti. Ciò sta a significare, per noi, che sussiste tuttora un residuo di tradizione classista che va sfruttato sino in fondo ed a tempo per portare nella base popolare della Lega il nostro discorso, e far esplodere le contraddizioni ivi esistenti prima che il movimento prenda, in assenza di un punto di riferimento anche e soprattutto organizzativo alternativo, la corsa catastrofica verso il peggio. I giovani e le donne, in quanto sono gli elementi più oppressi, privi di una tradizione classista alle spalle o per la prima volta ridestati alla politica attiva, sono anche i più radicali, in questo caso arrivando a confondere questa "sinistra" e comunismo in una sola ripulsa. È un segnale d’allarme pericoloso che, tuttavia, non ci fa cambiare neppure d’un millimetro la nostra strada. Al contrario, e come sempre, si deve lavorare con forze centuplicate a far sì che questo radicalismo che è al servizio incosciente della borghesia si rovesci in antagonismo cosciente di classe.

I tempi sono stretti e la melma attuale lavora contro di noi. I vari "ernesti" fanno la loro brava parte nel renderci le cose più ardue, ma avremmo già perso la partita se non capissimo sino in fondo come le nostre soluzioni possono e devono poggiare su un disagio radicale e crescente alla cui base sta il "capitalismo reale". Questa la nostra incrollabile fede oggettiva cui commisuriamo ogni nostro sforzo soggettivo. Il comunismo autentico si è sempre dovuto scontrare con la contraddizione di masse che soffrono i mali del capitalismo e vi rispondono ubbidendo a "soluzioni" false e reazionarie corrispondenti alla "falsa coscienza" iniettatagli dall’egemonia borghese. Oggi lo scontro è diventato più drammatico e profondo.

Per questo occorrono una teoria, un programma politico ed un’organizzazione rivoluzionari. E in ciò sta il senso del nostro lavoro.

[che fare 48]  [inizio pagina]