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CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA,
DALLA PARTE DEL POPOLO SERBO

E DI TUTTI I POPOLI BALCANICI

E DI TUTTI I POPOLI BALCANICI

Indice

Dobbiamo aprire questo articolo ponendo una pregiudiziale.

Noi siamo, o perlomeno cerchiamo in tutti i modi di essere, aperti al massimo verso gli interlocutori che ci interessano indipendentemente dal grado "in sé" di distanza che ce ne separa ad un momento dato. La "battaglia delle idee" non è una battaglia tra entità fisse, ma entra nel gioco di un movimento dialettico in cui le "idee" si modificano in rapporto al modificarsi dei dati materiali oggettivi di riferimento (e a questa stregua agiscono a loro volta da fattore soggettivo di cambiamento).
C'è, persino nei nostri dintorni, chi addirittura ci accusa di essere troppo aperti verso questa o quella realtà, naturalmente senza mai entrare nel merito di cosa diciamo e come operiamo.
Il difetto di questi criticoni è proprio quello di non intendere le leggi della dialettica, del movimento, ma di riferirsi ad una categoria idealistica, astratta e perciò immutabile, delle posizioni in campo. E c'è anche di peggio: quando si cerca di trattenerci dal discutere con soggetti troppo lontani da noi temendo che possiamo contaminarci, si dà a credere che esista una graduatoria di vicinanza o meno delle varie posizioni altrui alle nostre, e questo è puro gradualismo riformista, ancorché rivestito di "purismo". Il marxismo non ha parenti prossimi cui guardare, così come non ha estranei da cui guardarsi in astratto. Esso è unitario ed unico e combatte sulle sue proprie esclusive gambe per sé, ma guardando alla dinamica possibile del movimento su cui intervenire. In questo senso, ad esempio, possiamo e dobbiamo discutere (e lo facciamo anche in questo numero, come sempre) col proletario leghista entrato in una certa dinamica positiva _per noi (e se noi…)- senza doverlo considerare "troppo lontano" da noi in rapporto, putacaso, a certo rifondarolismo impantanato cui soccorrerebbe il riferimento "comunista" come etichetta. Non ci sono compagni in senso pieno, cioè compagni della battaglia marxista, fuori di noi e fuori da una dinamica di scontro reale di classe. Compagni si diventa quando ci si schiera e si è schierati, e conta poco o nulla, in questo caso, il marchio di fabbrica con cui ci si presenta al pubblico in partenza. Dirsi compagni (e farselo dire) senza esserlo sul serio val peggio che zero.

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Il nostro primo interlocutore, al presente

E veniamo alla pregiudiziale preannunziata. Nel caso di questa sporca guerra imperialista il criterio su cui cerchiamo degli interlocutori è quello sopra esposto, e lo chiariamo subito in pratica. Il nostro interlocutore vero al presente è colui che, qualsiasi altra cosa "pensi" e in qualsiasi modo si autodefinisca politicamente, sente _in primo luogo- ribollire il proprio sangue di fronte al crimine in atto e vuole effettivamente combattere per mettere fine a questo crimine. È colui che, perlomeno, comprende, o può essere portato a farlo, che la mano assassina è quella del grande capitale imperialista d'Occidente. È colui che avverte nella vittima "lontana" dell'aggressione imperialista, un fratello a lui vicino, con cui solidarizzare sulla base di interessi comuni di lotta anti-imperialista. Tutte le necessarie chiarificazioni del caso vengono dopo ed in conseguenza di questa base di partenza. Se questa base c'è si può e si deve ragionare, si può e si deve dare battaglia politica, a cominciare dalla teoria, perché su di essa si costruisca il nostro edificio. Ma se questa testa e questo sangue, soprattutto, mancano, ogni parola sarebbe superflua.
Chi, di fronte all'aggressione NATO, si attarda a soppesare i demeriti reciproci di Clinton e di Milosevic mettendo sullo stesso piano l'imperialismo e la sua vittima e condiziona la sua (eventuale) opposizione all'operazione NATO alla precondizione di far fuori "anche" Milosevic non ha sangue comunista nelle vene. Chi finge di far la voce grossa contro la NATO reclamando l'"indipendenza" dell'Italia dagli USA rifiutandosi così di riconoscere i motivi imperialistissimi che fanno del nostro paese non una tenera pecorella smarritasi dietro le sirene USA, ma un lupo criminale (ancorché dai denti più deboli di quelli del capobranco) vitalmente interessato all'oppressione internazionale dei popoli "terzi", e non riconosce la prima verità marxista fondamentale _e cioè che il nemico principale è in casa nostra- non ha sangue comunista nelle vene. Chi si appella ad un'ONU reintegrata nei suoi diritti violati, al Papa, alla resipiscenza della nostra "sinistra" e del nostro parlamento per ristabilire la "pace" e non vede la necessità, invece, di una guerra di classe contro l'imperialismo in grado di unificare il fronte proletario internazionale al di là dei confini di stato in cui esso si trova diviso e schiacciato, non ha, nel migliore dei casi, né sangue né testa degni di questo nome, e senza bisogno di aggettivi in aggiunta; o, altrimenti, è un cosciente affittato al nemico.
L'attuale "sinistra", italiana ed internazionale, trabocca di simili individui e ciò dimostra solo il grado di decomposizione cui essa è giunta e nella quale ha lavorato a trascinare il proletariato. La putrefazione del riformismo ci impedisce di interloquire coi liquami di tal fatta. L'embrione potenziale di un'uscita da tale putrefazione non si potrà mai più, e in nessun caso, manifestare attraverso dei riaggiustamenti di rotta in seno al vecchio riformismo: i vertici di esso sono irrimediabilmente e definitivamente passati al nemico; la sua residua base di classe potrà riacquisire la propria dignità di classe solo entrando in verticale conflitto con costoro in vista di una riorganizzazione delle proprie file. Non sarà, dall'oggi al domani, la formalizzazione del partito comunista rivoluzionario (e men che mai automatica), ma siamo già alla dimostrazione che non si potrà più vivere come prima; non lo potrà il riformismo, non lo potranno le masse. E questo avvicina, sempre in potenza, la nostra soluzione.
Non è un caso che i segni più interessanti (in quanto preannunzi del futuro) non sono venuti, in questo caso, da nessuna delle varie formazioni della "sinistra" classica, ivi comprese le cosiddette minoranze rivoluzionarie, ma dal tessuto proletario della Lega, come esaminiamo in altra parte del giornale. Non che la Lega "superi" il vecchio riformismo nel nostro senso: essa, semplicemente, lo ha raccolto in eredità rapportandolo alle incombenti sfide del futuro nel mentre le sue forme tradizionali si mostrano incapaci dell'unico riadattamento possibile, quello social-sciovinista, imperialista-"operaio". Il merito oggettivo della Lega è quello di segnalare che una partecipazione ed una mobilitazione proletarie per le "riforme" è oggi possibile unicamente a patto di affrontare la sfida con il colosso imperialista anglo-americano (ed israeliano) sulla base di una strategia unificata di "popoli" in armi e senza alcuna delega ai poteri forti nazionali (tanto forti contro il proletariato quanto deboli nei confronti degli USA); si cambi il termine "popoli" con quello di proletariato e si sostituisca alla chimera nazional-capitalista-popolare padana l'obiettivo internazionalista del comunismo e saremo alla nostra soluzione. Diametralmente opposta, va da sé, rispetto a quella dei Bossi, ma sul terreno di scontro mondiale da essi riconosciuto ed accettato, che è lo stesso sul quale noi ci misuriamo: rimessa in discussione dell'ordine capitalista mondiale attuale nel suo complesso; rottura col centro dell'imperialismo attuale; nessun richiamo a regole, codici etc. etc. in chiave più o meno parlamentare, ma appello alla lotta aperta; necessità, su queste basi, di un fronte internazionale combattente. Da questi cardini, su cui la Lega imposta la sua battaglia (certamente antisocialista) e su cui noi impostiamo la nostra (per il socialismo), si sono defilate le vecchie "sinistre".

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Il nostro referente è quello di sempre: il proletariato.

Noi non cambiamo il nostro referente, sia ben chiaro. Non "preferiamo" la Lega e non "ricusiamo" chi tuttora sta ancora dalla parte del "riformismo". Tantomeno intendiamo rivolgerci solo a chi ha già oggi "capito" ad esclusione della "massa bruta", come se potesse bastare alla lotta contro la guerra e contro il capitalismo l'adesione dei "coscienti". Il nostro referente è sempre uno e sempre quello: il proletariato intiero, la massa del proletariato. Diciamo unicamente una cosa, ben chiara e forte: che il terreno dello scontro di classe a venire non si potrà dare sulle basi "tradizionali" del vecchio riformismo, trapassato dalle promesse di un pacifico sviluppo capitalista allo schieramento guerrafondaio dietro l'imperialismo ed alla messa in atto qui, nella società metropolitana, dei suoi "valori" (liberalismo schiacciasassi contro il proletariato). Si darà sul terreno di scontro segnalato dalla Lega che, però, dovrà essere rovesciato di segno. Su questa trincea più avanzata dello scontro si devono piantare le nostre bandiere una volta spazzato via l'equivoco leghista micidiale di una "lotta dei popoli" con tutte le classi "nazionali" in un sol mucchio per fronteggiare l'imperialismo in nome dei propri diritti "capitalistico nazionali". La Lega va combattuta e battuta su questa trincea, ed a questo chiamiamo i proletari dei vari partiti "operai"-imperialisti. Pensare, invece, di batterla perché "è di destra" restando al di qua della sfida che essa lancia, rifiutando lo scontro con l'imperialismo, affidandosi a possibili resipiscenze "di pace" da parte del riformismo, invocando l'ONU dei briganti etc. etc. significa soltanto avere la testa volta all'indietro, significa fungere da retroguardia del nemico.
Meglio Bossi o Cossutta, per dire? Noi non "preferiamo" nessuno dei due, ma il primo ci dà modo di affondare la lama della posizione (e dell'organizzazione) marxista in un movimento -essenzialmente proletario- che si muove, che lotta; il secondo si oppone ad ogni movimento reale su cui poterlo fare agendo due volte da nemico della nostra classe. Bossi porta in piazza contro la guerra dei proletari cui utilmente rivolgersi; Cossutta rappresenta solo un immondo cumulo di merda sopra poltrone governative insanguinate: può far la finta estrema di ritirare i suoi ministri dal governo, ma assicurando in compenso il suo appoggio ad esso per evitare che "venga la destra". La destra, cornutissimo figuro che non hai neppure fatto in tempo a scrollarti di dosso i crimini dello stalinismo di cui sei stato complice unicamente per sporcarti di quelli della NATO!, la destra è già venuta, ha già vinto. O non hai contato i voti di FI, di AN, del Kossiga con cui avevi giurato di mai collaborare, per D'Alema-Clinton? Non hai visto Napolitano flirtare da Vespa con Fini in nome del cacciariano "superamento delle barriere destra-sinistra" quando si tratta di guerra? E se si tratta di pace cosa cambia?

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Una guerra per gli albanesi del Kosovo? E come si fa a crederci?

Il ritornello che questa guerra si fa per la libertà dei kosovari viene ripetuto ancora solo per quella larga manica di deficienti o prezzolati che ne sentono il bisogno per schierarsi a favore di essa o, comunque, di non schierarsi sul fronte di lotta anti-imperialista.
Questa infame menzogna, per nostra fortuna, è tuttavia in fase di superamento. Essa corrispondeva alla fase uno dell'intruppamento del pecorame, allorché ancora occorreva ammorbidire le coscienze per portarle a pro del massacro bellico. Oggi le cose si cantano più chiare perché stiamo decisamente entrando nella fase due, quella della mobilitazione pro-imperialista aperta.
In un articolo sul Corriere di Ernesto Galli della Loggia (la loggia sionista!) si chiamano finalmente le cose col loro nome. Tanto di cappello (in attesa di poter rispondere con altri mezzi)! Riassumiamo. La motivazione umanitaria deve essere messa da parte una volta per tutte. Del destino dei kosovari può importarci un fico secco, così come non c'importa un bel nulla dei palestinesi _specie se il cuore batte da una certa parte-, dei kurdi, che anzi contribuiamo a cannoneggiare, e di qualsiasi altro popolo oppresso. Nel caso specifico, poi, sappiamo benissimo che in nessun caso il Kosovo potrebbe essere semplicemente "restituito" ai kosovari, visto che non abbiamo neppure restituito l'Albania agli albanesi. Bisogna dirlo chiaro e netto: quel che ci preme sono i nostri interessi economici, politici, militari. I Balcani sono stati rimessi in subbuglio e noi, noi Italia di santi, navigatori ed eroi, da Mussolini a Baffetto, dobbiamo metterci mano per non restar tagliati fuori dalla rispartizione dell'area. E diciamolo con altrettanta franchezza: se combattiamo a fianco della NATO non è neppure qui perché abbiamo un'"idealità" superiore da difendere al di sopra dei nostri confini, ma perché la partecipazione ci serve per non lasciare ai nostri alleati l'intero affare. Stando nella NATO difendiamo gli interessi dell'Europa, e dell'Italia in particolare, anche rispetto agli USA nel solo modo che l'imperialismo ci concede.
Sulla rivista Limes, poi, questi temi sono ulteriormente sviluppati in chiave "geopolitica" (un altro modo per dire imperialista) e con toni molto "scientifici", quindi senza ulteriori preoccupazioni di demagogia umanitaria, buona solo per i dementi. La stessa Albania, vi si legge, non può essere lasciata a sé stessa, e noi abbiamo dimostrato di non volercela affatto lasciare. Essa, come altri stati "sovrani" nati dalla dissoluzione indotta della Jugoslavia, deve essere trattata per quel che vale, e cioè come un nostro protettorato. Figuriamoci il Kosovo! Ne prendano nota quei "patrioti" albanesi che da Gad Lerner si vantano di aver brindato a champagne per i bombardamenti "liberatori" USA!
Anche il tentativo, sin qui largamente riuscito, di sganciare il Montenegro da Belgrado non ha proprio nulla a che fare con ideali di "democratizzazione" tant'è che la prima "democrazia" che vi abbiamo portato è stata quella della delle nostre mafie, del contrabbando etc. etc. Ma l'opera di questi battistrada serve ad un obiettivo ben preciso: "Quando la situazione si sarà stabilizzata (!), per il Montenegro la via principale d'integrazione con l'Occidente rimarrà il Mediterraneo, con lo sviluppo dei rapporti transfrontalieri con altre regioni e paesi legati dal confine marino. Potrebbero così aprirsi nuove prospettive e nuovi mercati specialmente per il Mezzogiorno e alcune regioni, come la Puglia, potrebbero candidarsi come porta d'Europa per l'economia balcanica". "Per noi imprenditori del Sud qui ci sono ottime opportunità", chiosa un imprenditore pugliese, e mafie e cannoniere ben vengano a realizzarcele!
È "curioso" leggere, tra le pagine dedicate alla nostra missione imperiale nell'area, la candida ammissione che gli albanesi del Kosovo godevano di standard di vita senz'altro superiori a quella degli albanesi di Albania (uno stato che non è uno stato, vi si dice, ma un incontro-scontro di clan tribali: il che spiega perché debba essere protettorato!). Ed ancora la particolareggiata ammissione che il Kosovo di fatto godeva di una larga autonomia sostanziale che lo stesso Milosevic si apprestava ad allargare ulteriormente, tanto da permettere a Rugova di far eleggere "illegalmente", ma non clandestinamente, un proprio parlamento e di farlo tranquillamente funzionare assieme ad ogni altra forma amministrativa (dai tribunali agli uffici imposte, tanto per dire). Dove stava il difetto, dal punto di vista delle banche e delle cancellerie occidentali? Nella chiusura di queste riforme di fatto all'interno di un quadro statale jugoslavo ermeticamente chiuso alla manomissione diretta dell'Occidente. Ragion per cui un Rugova (dopo aver fatto anche lui da battistrada) doveva passare la mano all'estremismo secessionista, utile non a "liberare" il Kosovo e, magari, a ricongiungerlo ad una "grande Albania", ma ad aprire ancor più decisamente la strada ad ulteriori protettorati occidentali, e possibilmente italiani, nell'area.
L'ambasciatore USA Vershbow chiaramente annunciava: "Se dovessimo intervenire con la forza, il principale obiettivo sarebbe certo Milosevic; ma la nostra non sarebbe affatto un'azione a sostegno degli albanesi e del loro programma politico". L'UCK, insomma, è stato messo in piedi, superarmato e diretto politicamente dagli occidentali, ma non si sognasse di giocare in proprio! Le pedine servono al gioco del re e in questo senso vanno utilizzate.
L'UCK è stato messo in campo precisamente per impedire che la situazione del Kosovo "ristagnasse", che le rivendicazioni albanesi nel Kosovo non rimettessero in gioco i confini che all'imperialismo interessa far saltare. Esso è servito da arma primaria proprio contro i vari Rugova, che pur non sono degli stinchi di santo, per annullare la dialettica sociale tra quelle popolazioni e costringerle a ricompattarsi nazionalmente per fini puramente "irredentistici" a servizio dell'imperialismo. Le prime, "brillanti", operazioni dell'UCK sono state rivolte precisamente contro i "collaborazionisti", gli elementi cosiddetti "passivi", cioè non pregiudizialmente schierati a favore dei giochi NATO, e non c'è dubbio alcuno che molti dei massacri di albanesi del Kosovo portano la firma dell'UCK a tal fine. Un particolare istruttivo: la nostra "libera" stampa si era già sbracata a denunziare lo sterminio dei "moderati" ad opera di Belgrado, a cominciare da Rugova e dai suoi più stretti collaboratori; poi si è visto che Rugova e gli altri sono vivi in quanto la polizia serba li tiene sotto la sua protezione e, tra l'altro, chiedono la cessazione dei bombardamenti. E da chi vengono protetti? Dai colpi dell'UCK e della NATO a cui essi, dopo aver svolto la loro parte, non servono più, sono d'intralcio.
Non ci stancheremo mai, questo è sicuro!, di denunciare la stupida politica di Milosevic che erge un muro tra serbi e kosovari. Proprio queste vicende mostrano sino a qual punto una diversa politica (una politica comunista) potrebbe infiammare unitariamente lavoratori serbi e kosovari e scardinare nel Kosovo la possibilità stessa di un "ricompattamento nazionale" fissando anche lì (come lo dovrebbe fare unitariamente in Serbia) un fronte sociale e politico di classe. Al di fuori di ciò ogni prospettiva di soluzione pacifica del problema del Kosovo è inesorabilmente esclusa, dal momento che essa non è una semplice questione nazionale interna, ma una questione più generale, internazionale, di classe che riguarda e attraversa la Serbia stessa e il mondo intero. I confini nazionali non possono essere né difesi né meglio ridefiniti oggi dal momento che il vero confine è quello di uno scontro internazionale di classe a cui rapportarsi.

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Usa contro Europa? Si, ma per la spartizione imperialistica del mondo. Una contesa tra briganti.

Una certa parte della nostra "sinistra" (assieme ad un'altra certa parte della nostra borghesia più "indipendente") denunzia i pericoli della guerra in atto sotto questo aspetto: si tratterebbe di una guerra che conviene principalmente agli USA e da cui "sarebbe bene" che l'Europa si tirasse fuori, anche perché i suoi costi verranno a ricadere su di noi, i suoi profitti saranno immagazzinati da Washington. Si potrebbe addirittura ipotizzare che l'obiettivo reale di questa guerra, dietro le sue apparenti giustificazioni formali, cui nessuno crede, sia costituito dall'Europa anziché dalla Serbia, che ne funge da solo da mezzo.
Lo avevamo già sentito a proposito dell'Iraq; certo c'è del vero in tutto ciò.
Che gli USA tendano a destabilizzare il quadro dei Balcani per i loro sporchi interessi mettendo nel contempo scompiglio in Europa, sovraccaricandola di costi "impropri" e di contraddizioni di ogni tipo, in pratica impedendole di svolgere una sua funzione concorrenziale autonoma, è un dato di fatto.
Quello, però, che da queste "analisi" non risulta è che l'alternativa non potrebbe comunque essere quella di una "diversa politica" europea (magari una "politica di pace") perché i termini ipotetici di un'autonomia europea in questo campo consistono nella stessa necessità di operare in vista della spartizione imperialistica del mondo in atto. Non dimentichiamo che i primi fautori della dissoluzione della Jugoslavia sono state proprio le grandi potenze europee, a partire dalla Germania, ma col coinvolgimento diretto anche dell'Italia, allorché gli USA parevano tuttora stare alla finestra a guardare. L'Europa (quella vera, imperialista, e non quella immaginaria, "semisocialista", alla Manifesto) ha aperto per prima le ostilità contro i popoli balcanici illudendosi di poter svolgere la propria parte in modo indipendente ed autonomo dagli USA. L'ha fatto assieme ad una Ostpolitik rivolta verso la Russia, a qualche velleità iniziale di costituire un proprio esercito "fai da te" e mille altre misure concorrenziali nei confronti degli USA. Ma l'ha fatto da nano finanziario, militare e soprattutto politico. Gli appetiti "indipendenti" non mancavano e non mancano; mancano zanne e denti sufficienti.
Chi questo non dice o nasconde è due volte servo dell'imperialismo, primo perché non può in alcun modo contrastare il colosso USA nella sua azione acchiappatutto (e distruggitutto), secondo perché chiama a solidarizzare con interessi "specifici" europei non meno imperialisti nelle ambizioni e negli scopi e nei metodi ad essi connessi. L'alternativa non è l'Europa, ma il proletariato europeo contro l'Europa imperialista. Il nemico principale non è in casa d'altri, è qui.
Molto più seri di simili "sinistri" sono i fascisti alla Rauti. Costoro hanno tutto il diritto di dire "per l'Europa contro gli USA" dal momento che lo dicono in nome di un imperialismo europeo vitalmente saldato al retroterra russo (e, più oltre, cinese), in nome dell'unità nazional-sciovinista, imperialista, tra le classi, così come ha il diritto di dirlo un Bossi invocando uno "spazio padano" entro uno "spazio europeo" di più ristrette, ma non diverse, ambizioni.
Ci tocca dire qualcosa anche a proposito di certe interpretazioni su questa falsariga che hanno corso in certi ambienti "rivoluzionari" che osano, talora, persino richiamarsi alle tradizioni della sinistra comunista.
Abbiamo letto da alcune di queste parti che, nelle guerre in corso, non c'entra l'Iraq, non c'entra la Serbia, non c'entrano i popoli oppressi, i quali soffrono della "sola" scomoda situazione di trovarsi piazzati in punti vitali dello scontro inter-imperialistico, dal momento che l'unica realtà di tali guerre consiste in tale scontro causato dalla "caduta tendenziale del saggio di profitto".
Noi credevamo, con Lenin e Bordiga, di sapere che lo scontro inter-imperialistico si fa per e sulla pelle dei popoli del mondo, sulle loro terre votate alla spartizione ed al macello. Credevamo di sapere che la caduta non tendenziale, ma effettuale di bombe su di essi chiama i popoli direttamente coinvolti a ribellarsi e che questo è il fattore decisivo in grado di rimettere in moto la guerra internazionalista di classe chiamando alle proprie responsabilità le metropoli.
È molto "bello" dire che, siccome l'unica realtà è quella della crisi mondiale del capitalismo e dello scontro inter-imperialistico, la sola risposta plausibile è quella del "comunismo mondiale". Ma chi salta allegramente al di sopra delle sofferenze dei popoli colpiti, deciso a non prendersi alcuna responsabilità nei loro confronti se ed in quanto non siano disposti a combattere per il "comunismo mondiale" (qui da noi difeso arditamente da intrepidi… studiosi), rinunzia a priori a fare di queste sofferenze e della ribellione cui esse chiamano la leva di una vera lotta comunista. Ai popoli oppressi non si può chiedere di non battersi "se non". Ad essi si deve chiedere di battersi sul serio perché solo una loro seria lotta può dischiudere la possibilità di un indirizzo risolutore per cui battersi, che non si dà in astratto, nelle Idee, ma nella solidarietà militante di cui noi, qui, saremo capaci. E qui, nelle metropoli, battersi realmente per il comunismo non può darsi al di fuori, o addirittura in contrapposizione, al battersi contro la NATO, contro il nostro governo, contro le menzogne "pacifiste" nel movimento; non può darsi senza un movimento che cominci dalla risposta agli effetti per risalire alle cause. Se non vi piace il micronazionalista Milosevic (così come a noi non piace) sappiate che solo la più vasta mobilitazione di massa in Serbia nella lotta contro l'imperialismo potrà metterlo alle corde. Se non vi piace il nazional-imperialista D'Alema e il nazionalistuccio riformista Bertinotti sappiate che solo la più vasta mobilitazione di massa qui contro l'aggressione NATO in cui siamo coinvolti, quali che ne siano i contorni iniziali, può aprire le porte ad analogo risultato. O la "verità" (triviale rigurgito d'illuminismo?) sta chiusa nei "testi" da voi amorosamente custoditi? E' vero quel che disse Bordiga: certa gente sfoglia i testi come fossero biglietti da mille, o, aggiungiamo noi, dei santini con la promessa d'indulgenze plenarie.
Gente di questo genere, che rifiuta di sporcarsi le mani per salvare… l'anima, si sporca due volte le mani, e quanto all'anima Dio l'abbia in gloria!

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Dallo smembramento della Jugoslavia all'inferno per tutti i Balcani e per il mondo intiero

A parole doveva essere una guerra "per gli albanesi del Kosovo" da protettorare. In realtà, questa guerra riaccende il conflitto nell'insieme dell'area balcanica.
Si era partiti dalla rivendicazione di una forma di autonomia illimitata del Kosovo entro il quadro statuale jugoslavo con la "semplice" avvertenza che le stesse forze di polizia di stato jugoslave dovevano rimanerne fuori provvedendo a tutto l'esercito della NATO. Oggi chiaramente si dice che l'obiettivo è quello di staccare il Kosovo dalla Jugoslavia per ricongiungerlo alla "madre patria" albanese. Senonché questo preludio di "grande Albania" dovrebbe in primo luogo ridefinire il potere "autoctono" di Tirana per armonizzarlo al meglio agli interessi USA (anche a costo _com'è meritato!- di tagliar fuori dal controllo albanese la partnership europea, e specificamente italiana). In seconda istanza, questa Albania grandicella dovrebbe poi trovare modo di arrivare a "completarsi", magari secondo le carte di rivendicazione "etnica" dei vari Berisha, UCK e della jena sionista Albright. Ne verrebbe in primo luogo colpita la Macedonia, paese che, pur sotto controllo militare diretto USA, si mostra colpevole di eccessivo pacifismo multietnico e scarsa propensione al coinvolgimento nel conflitto imperialista. La cosa, poi, si proietterebbe sulla Bulgaria e, soprattutto, sulla Grecia, già "avvertita" in occasione del caso kurdo di star nel mirino USA e quello del suo fedele alleato turco.
A ciò si aggiunga il tentativo di coinvolgere la Vojvodina per offrirla come zuccherino ed arma di ricatto all'Ungheria, che fin qui non si è mostrata troppo propensa a sporcarsi le mani nella faccenda. (Ma se una tale sciagurata eventualità si realizzasse, come non pensare all'estendersi di un revanscismo ungherese ai danni della Romania, e con quali conseguenze?).
Ma, soprattutto, quel che sta succedendo ridà fiato a tutti i fuochi di guerra momentaneamente sopiti in Bosnia-Erzegovina con rischi incontrollabili. Izetbegovic è pronto a giovarsi della situazione per "ridefinire" i rapporti col popolo serbo bosniaco, ma, allo stesso modo, Tudjman, approfittando del caos in corso, mira a "ridefinire" quelli con i musulmani bosniaci. E via dicendo, in una spirale senza fine.
La posta in gioco, d'altra parte, non sarebbero solo i Balcani chiusi in sé stessi e lo scontro d'interessi su essi acceso tra USA ed Europa, ma la Russia stessa, di cui da un bel po' si predica la fine imminente, ma di cui da sempre si teme il riscatto (imperialista) ed il pericolo di una sua saldatura d'interessi economici e militari con l'Europa. Allo stato attuale la Russia non è in grado di giocare ancora a carte scoperte, e tanto meno lo è in quanto non lo è l'Europa, ma questa resta la grande incognita a venire, soprattutto se si pensi all'oggettiva necessità che Russia e Cina hanno di far fronte comune contro l'invadenza USA. Basti leggere quanto scrive il Manifesto sul progetto del "Corridoio 8", "il grande progetto finanziato con miliardi di dollari dal FMI… per la realizzazione di un asse di comunicazione est-ovest che unisca la costa bulgara del mar Nero, attraverso Macedonia ed Albania meridionale, all'Adriatico" con cui "si verrebbe a creare la seconda, decisiva, linea di deflusso delle risorse energetiche di produzione asiatica… sottratta ad ogni influenza russa" (27 marzo). I tentativi di "mediazione" russi con Belgrado, per quanto minimalisti, sono stati presi a schiaffi dalla NATO perché, per chi non lo sapesse, bisogna, attraverso la Serbia, colpire la Russia. Ma la Russia, noi confidiamo, resterà un osso duro da mordere e, chiamata infine alla guerra aperta, saprà rispondere come si deve.
C'è una "piccola" incognita in tutto questo gioco. La guerra facile dall'alto non potrà mai raggiungere i suoi obiettivi senza completarsi con la guerra dal basso, sul territorio. Persino in Iraq gli USA hanno potuto vincere facilmente la prima, ma, a distanza di molti anni, non sono riusciti a conseguire i loro scopi finali non osando posizionare sul suolo le proprie truppe e politicamente ("solo" questo, per ora) Saddam ha vinto restando al suo posto e proponendosi come bandiera di riscatto delle masse arabe oppresse oltre i confini del paese, nonostante tutte le no-fly zones. C'è qualcosa di più forte delle interdizioni aeree e che si va diffondendo nonostante tutti i divieti dall'alto. Bene. In Jugoslavia un attacco da terra costerebbe ben più caro, e in molti se ne rendono conto. Apprendiamo che in USA sono già in vendita dei giochi elettronici sulla guerra contro la Jugoslavia. Noi ci aspettiamo che i giochi si facciano a terra, e sul serio, e poi si vedrà. Vedremo allora una quantità di fessi elettronizzati doversi misurare con un nemico vero, faccia a faccia, dovendo magari spostarsi dalle zone di "turismo di guerra" in quel di Aviano per beccarsi delle sacrosante pallottole in faccia e tanta gente, oggi rassicurata da D'Alema sull'assenza di rischio per gli italiani, dover rischiare sul serio. E ci aspettiamo che finalmente i boys americani, reclutati in primo luogo tra i desperados neri e latini, si debbano chiedere a questo punto per chi è fatta questa guerra.
Venite a terra, ragazzi, venite, vi aspettiamo con ansia!


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