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COSSUTTA E BERTINOTTI:
L'UNO AL GOVERNO, L'ALTRO ALL'OPPOSIZIONE,
MA ENTRAMBI ORA E SEMPRE PER L'ITALIA!

Nel libro nero della storia questa infame aggressione dell'Occidente al popolo serbo sarà ricordata come la guerra socialdemocratica. Non una guerra imperialista approvata dai socialdemocratici (che non sarebbe neppure una notiziola di cronaca); una guerra imperialista interamente diretta da loro, se è vero che tutto lo staff direttivo della macelleria NATO in cui giorno e notte si squarta carne umana balcanica appartiene alla "grande famiglia" della sinistra occidentale. Unita, da Clinton a Jospin (il campione di Bertinotti), da Blair a Schroeder (per la cui vittoria esultò Il manifesto), nel vomitare morte e distruzione sulla Serbia. Unita nel perseguire l'annientamento totale del nemico serbo. Unita nel riaffermare a raffiche di bombe i sacri diritti universali di sfruttamento e di saccheggio dell'imperialismo contro chiunque, tra gli oppressi, osi metterli in discussione.
Anche l'Italia di Scalfaro-D'Alema è in guerra. Lo è con un governo a guida di "sinistra", con dentro un sedicente partito comunista, il Pdci di Cossutta, appena appena nato (morto) da una costola del Prc. Non è vero, come pretende un certo "pacifismo", che sia la prima volta, dal 1945, che l'Italia è in guerra. L'Italia capitalistica (o no?) del regime DC e della "opposizione costruttiva" (social-nazionale) del PCI, la "repubblica nata dalla Resistenza" è stata in guerra permanente contro i popoli del Terzo Mondo. Ha appoggiato e compartecipato a tutte le guerre colonialiste e neo-colonialiste degli ultimi cinquant'anni (per lo più a controfirma ONU). Sui corpi dei popoli coreano, vietnamita, palestinese, somalo, iracheno, e via dicendo, anche la nostra brava Italia amante della pace ha affondato le sue lame. Lo ha fatto, più che con l'impegno diretto operativo in compiti militari di prima linea, agendo da forza di complemento della NATO, con le mansioni proprie di un infido imperialismo di secondo rango; fornendo basi, logistica, armi, e lavori sporchi di ogni specie (per ultimo la partecipazione alla consegna di Ocalan alla Turchia). Stando sempre dalla parte degli schiavisti aguzzini, mai (e come avrebbe potuto?) da quella degli sfruttati in lotta per la propria emancipazione.
Perciò, piagnucolare sul tradimento, da parte dei Ds e del governo D'Alema, delle "migliori tradizioni democratiche e pacifiste" di un'Italia che sarebbe geneticamente aliena dal ricorso alla guerra, è pura retorica. Rivoltante retorica nazionalistica, priva di un qualsiasi contenuto di verità storica. Il governo in carica è il degnissimo erede di una lunga... tradizione, democratica e fascista, di schiacciamento dei popoli terzi "arretrati" che principia con un altro convertito della "sinistra", il Crispi, e poi attraverso il liberalismo di Giolitti (caro anch'esso al socialismo riformista), il ventennio mussoliniano e l'interminabile era democristiana, arriva senza soluzione di continuità ai giorni nostri.
E tuttavia, due novità reali di una certa importanza ci sono.
Per la prima volta l'Italia partecipa ad una guerra imperialista con un governo a guida di "sinistra". Certo, gli interventi "umanitari" in Albania, in Somalia o il massacro dell'Iraq ebbero il consenso, più o meno con il mal di pancia, del Pds (o, per citare un solo esempio del passato, anche il PCI di Togliatti fu a favore della continuazione dell'amministrazione coloniale italiana sulla Somalia). Ma ora sono proprio i capi dell'ex-Pds, da D'Alema all'ultras sionista Fassino, a organizzare e guidare (senza tentennamenti, parola del boia Clark) la mobilitazione bellica italiana, portandosi dietro al guinzaglio i Cossutta e i Diliberto, già "irriducibili combattenti" anti-NATO.
Per la prima volta dal 1945, poi, la partecipazione dell'Italia ad una guerra imperialista è veramente centrale e decisiva per l'esito della guerra. L'Italia ha in quest'aggressione alla Serbia la stessa funzione che ebbe (e ha) l'Arabia saudita nell'aggressione all'Iraq. Tanto che si può sottoscrivere la franca definizione dell'agente CIA Luttwak: si tratta di una guerra italo-americana, con partecipazione collaterale di altre nazioni NATO.
Queste due novità lasciano sorpresi, e perfino sgomenti, compagni giovani e meno giovani che si domandano, e ci domandano: come è possibile che alla testa di una mobilitazione bellica di questa portata e che "ci" coinvolge così a fondo, ci siano uomini che da una vita militavano nel "campo della pace" ed al fianco dei lavoratori?
È possibile anzitutto perché il "campo della guerra" imperialista e il "campo della pace", altrettanto imperialista (come quella di Dayton o di Rambouillet), non sono affatto antagonistici, sì che il passaggio dall'uno all'altro non ha, in linea di principio e di fatto, niente di sconvolgente. Ed è possibile, anzi è necessario, in secondo luogo perché la "pace" a cui tanto a lungo si sono appellati e abbarbicati i capi dei partiti "operaio"-borghesi, la pace di Yalta, quella che è costata decine e decine di milioni di morti per fame e per conflitti armati nelle dimenticate periferie del mondo, quella pace banditesca, è definitivamente tramontata insieme con il ciclo dello sviluppo post-bellico. E col suo tramonto si è aperta una fase storica sempre più "disordinata" (è un vecchio ordine che si decompone) e carica di tensioni esplosive, che prelude ad un nuovo scontro generalizzato per la rispartizione dei mercati mondiali. In questa nuova fase è sempre più all'ordine del giorno da un lato la guerra imperialista, e dall'altro la guerra di classe anti-capitalista (i due "campi" effettivamente antagonisti). E tutte le forze politiche agenti sono chiamate a posizionarsi nell'uno o nell'altro, tendendo rapidamente allo zero gli spazi intermedi tra l'uno e l'altro.
Ebbene, dove altrimenti avrebbe potuto posizionarsi un "riformismo" come quello cossuttiano, da sempre inestricabilmente avvinghiato agli interessi supremi della nazione-Italia, se non dal lato della guerra imperialista? È giustificato coprire rifiuti alla Cossutta di ogni genere d'insulti, in specie per l'inarrivabile gesuitismo con cui osano chiamare contributo italiano alla pace il concorso di Roma a produrre un mare di distruzioni e di sangue, ma non gli si può negare la coerenza. Una coerenza, questa si davvero sinistra, nel mettere l'Italia, il capitalismo imperialista italiano e le sue brame di profitto e di dominio al di sopra di tutto. Questo è stato lo stalinismo italiano, e lo stalinismo in genere: l'essere al fianco del proletariato, anzi alla sua testa, assumere la difesa dei suoi interessi, ma solo e rigorosamente entro i limiti di quelli del "proprio" capitalismo nazionale e dell'ordine capitalistico internazionale entro il cui recinto "pacificamente" competere tutti. Non altro che dei caporali dell'imperialismo nostrano (e NATO) potrebbero essere i suoi ultimi detriti, che si distinguono esclusivamente per il cinismo con cui passano sopra alle aspettative anche le più modeste dei lavoratori.
Se un pezzo importante di quello che è stato fino a ieri il suo vertice è parte integrante e inamovibile dello stato maggiore della guerra imperialista, Rifondazione può vantare di aver dichiarato il suo no alla guerra, e di averlo praticato portando nelle piazze un movimento contro la guerra. Per parte nostra, non abbiamo difficoltà a riconoscere che una sezione minoritaria della base ancora militante di Rifondazione (non ci riferiamo, naturalmente, alla minoranza congressuale che anche in quest'occasione ha brillato per il suo nullismo) si è sforzata di reagire con prontezza al salto avvenuto con lo scatenamento della guerra, disponendosi alla mobilitazione perfino prima che giungessero chiare indicazioni dal suo vertice. È uno sforzo che abbiamo apprezzato molto (così come quello di settori della auto-organizzazione), e che ci auguriamo continui e si rafforzi, ma proprio perché questo accada dobbiamo dire che la linea politica che presiede alla risposta di Rifondazione è tale da non garantire in alcun modo lo sviluppo di una vera azione di classe contro la guerra alla Serbia.
A che cosa si è appellato, infatti, Bertinotti nel dichiarare la contrarietà di Rifondazione alla guerra? Al Parlamento, alla democrazia, all'ordinamento costituzionale, allo Stato, all'ONU e perfino, qua e là, allo statuto violato della NATO. E di seguito, e in crescendo, al Vaticano. Insomma, all'insieme delle istituzioni borghesi e imperialiste responsabili prime, in solido, dello smembramento della Jugoslavia e dell'accensione delle guerre "inter-etniche" nei Balcani. Ed in nome di che cosa lo ha fatto? In nome, anch'egli, dell'Italia, di un ruolo dell'Italia più autonomo dagli USA, un "ruolo attivo" nel promuovere un regolamento "pacifico" della questione kosovara, naturalmente per mano delle stesse grandi potenze imperialiste che ora stanno sbranando la Serbia. I titoli di Liberazione nei giorni cruciali dell'inizio dei bombardamenti sono monocordi: "Italia parla"; "L'Italia è stata tradita"; "Una giornata nefasta nella storia del nostro paese"; "L'Italia ripudi la guerra e i governi che la fanno"… Ancora e sempre, quindi, come nella vicenda di Cossutta e del Pdci, il punto di riferimento è la nazione Italia, il suo ruolo nel mondo, cioè: il suo ruolo nel mercato mondiale, il suo ruolo di potere, potere di sfruttare e di dominare nei Balcani e dovunque. Anche se poi, con un misto di falsa ingenuità e di vero social-sciovinismo, si pretende da parte di Bertinotti, che il ruolo di questa Italia, dell'Italia della Fiat e di tutto il resto, debba essere un ruolo "diverso", non aggressivo, da onesto sensale di tutte le controversie, perfino quasi da buon seminatore di "elementi di socialismo", un'Italia inesistente ed inesistibile.
Mai, dicasi mai, un solo appello, neanche di sfuggita, all'unico soggetto, italiano ed internazionale, che ha realmente l'interesse e la possibilità di battersi contro la guerra imperialista e contro l'imperialismo: il proletariato. Men che meno, poi, un solo atto che vada nel senso dell'affratellamento e della comune organizzazione di classe per la guerra all'imperialismo, tra il proletariato italiano ed occidentale e quello balcanico. Addirittura, a Bertinotti ed al giornale di Rifondazione non consta neppure che esista un popolo serbo, di cui sa qualcosa la stessa Padania. Gli unici serbi o serbe buoni sono quelli che fanno precedere a qualche critica all'Occidente la dichiarazione di ostilità senza quartiere a Milosevic. Ma siccome di codesti, tra un po', ce ne saranno davvero pochini, ecco che scomparirà il problema.
È successo perfino che quando ad una manifestazione di Rifondazione sono accorsi migliaia di lavoratori serbi da tutto il Nord, come è accaduto a Vicenza il 28 marzo, alcuni dirigenti di Rifondazione si sono sentiti così imbarazzati da una simile adesione da giustificarsi davanti all'opinione pubblica reazionaria che chiedeva una loro presa di distanze dal nazionalismo (degli oppressi!) dei serbi con le seguenti auree parole: "La manifestazione è nata così, un po' inaspettatamente. Come facevamo a stare loro da una parte e noi dall'altra?" (Il Giornale di Vicenza, 29.3.99). Ci si può sedere quotidianamente accanto ai Fini, ai Berlusconi, agli Agnelli, agli Andreotti, e alla banda di criminali capitanata da D'Alema che democraticamente guida il massacro nei Balcani, senza provare vergogna, anzi appellandosi col cuore in mano ad un parlamento così composto perché fermi la guerra per cui si sa che scalpita. Ma imbarazza tremendamente trovarsi al fianco di lavoratori che, lasciati soli dal più degenerato "movimento operaio" occidentale che la storia ricordi, si serrano, per elementare autodifesa, attorno alla loro bandiera nazionale e ai loro sentimenti di appartenenza nazionale.
Nessuna lotta conseguente contro l'imperialismo si può sviluppare sulla base di queste premesse. E' forse sorprendente che neppure il 20% degli iscritti e l'1% dei votanti di Rifondazione sia sceso finora in piazza? E quale reale iniziativa di battaglia è stata sviluppata da Rifondazione dentro e fuori la CGIL per svellere il movimento sindacale dalla sua complicità con l'aggressione e per esporre alla condanna dei lavoratori la politica dei suoi vertici? La stessa lotta contro la NATO, la vecchia parola d'ordine "Fuori l'Italia dalla Nato fuori la Nato dall'Italia" viene riproposta con sempre meno convinzione, lasciata in gestione ai circoli giovanili o a qualche tollerata sopravvivenza di "estremismo". Questo perché non si vuole allarmare quella parte dell'Italia così determinante, per Rifondazione, costituita dalle organizzazioni cattoliche "non governative" (leggi: sub-governative e filo-governative) che tanto generosamente hanno contribuito a diffondere in Europa e nel mondo l'odio anti-serbo e a smembrare la ex-Jugoslavia…
Insomma: all'opposizione, certo, per ora, ma anche per Rifondazione il valore supremo da tutelare è quello degli interessi della nazione Italia, del capitalismo italiano. Ed è per questo che la sua mobilitazione "contro" la guerra non può che procedere in modo così blando, come se ci si dovesse preoccupare di non dare troppo disturbo alla nazione impegnata in guerra. Ed è soprattutto per questo che, al fondo, portata avanti conseguentemente, la prospettiva di Rifondazione non potrà che approdare a gettare benzina sul fuoco dell'incendio inter-imperialistico.
Anche ai militanti proletari di Rifondazione, perciò, incombe, se non vogliono risvegliarsi di qui a poco anch'essi cossuttizzati, di spezzare le catene della lealtà nazionale, degli interessi nazionali e ritrovare finalmente, liberi dalla cappa di piombo del capitale nazionale che ci soffoca, la propria autonomia di classe, il proprio programma di classe, la propria organizzazione di classe. Ma attenzione: bisogna darsi una scossa. Le sirene di Belgrado suonano il tempo dell'emergenza anche per noi!


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