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CONTRO LA SCHIFOSISSIMA "PACE"
DEI BANDITI DI WASHINGTON E DI ROMA

Pace? Ma quale pace!?

L’infame guerra "umanitaria" con cui la NATO ha martoriato i popoli della Jugoslavia è, momentaneamente, sospesa. I comandi occidentali sventolano ora, davanti alle masse, l’accattivante prospettiva della pace. Una pace difficile, certo, si dice, ma che alla fine riporterà in Kosovo quella "civile convivenza" che i "demoni serbi" avevano reso impossibile. Credetelo, o gente, sulla parola di "liberatori" della stoffa di un generale Jackson, vile massacratore di irlandesi.

In realtà, la "pace" targata NATO è schifosa almeno quanto la guerra appena sospesa, di cui è la continuazione con altri mezzi. Essa fa di un Kosovo smembrato in cinque zone, come da piani antecedenti la guerra, un protettorato degli stati imperialisti. Ossia, un luogo da cui i gangster del dollaro e dell’euro proteggeranno non i kosovari, che per loro sono soltanto della miserabile carne da cannone (tanto più tale, quanto più li riempirà di fiori e di benedizioni), bensì i propri interessi di rapina e sfruttamento. "A tempo indeterminato", e in armi. Il meno che costoro intendano fare in Kosovo è arraffarvi le ricchezze naturali. Il più, l’essenziale, è continuarvi ed intensificarvi l’aggressione contro tutti i popoli balcanici, e oltre... in direzione Asia. Nessun mistero sugli ulteriori passi già largamente in gestazione. Cacciare i serbi dal Kosovo, come ieri li si espulse -l’ambasciatore americano in testa- da Krajna e Slavonia, o come ieri si impose la sanguinosa spartizione della Bosnia; tutto per affermare, sulle macerie della "multietnica" Jugoslavia di Tito, la lurida pratica degli stati "etnicamente puri" (validata dagli accordi onuisti di Dayton). Quindi, facendosi beffe dell’impegno a rispettare l’integrità territoriale della Jugoslavia, provocare la secessione di Montenegro, Vojvodina, Sangiaccato e quant’altro. Poi, o -se si riesce- pure prima, installare a Belgrado quel governo-quisling che invano si tentò di imporre anni orsono col miliardario californiano Panic, e/o precipitare la Serbia nel più totale caos. Ma, anche, disciplinare i recalcitranti greci e i non entusiasti macedoni, ammonire i rumeni (i combattivi minatori rumeni per primi) a non permettersi insubordinazioni di sorta verso il sacro verbo, quello dittatoriale per davvero, del FMI. Ed ancora, scoraggiare sul nascere ogni, pur remota, velleità di "indipendenza" dei Tudjman, Izetbegovic e soci, rassicurando al contempo il fido alleato di Ankara di essere lì, a un tiro di Cruise, pronti a dargli manforte nella "soluzione finale" della questione dei kurdi, ove non bastasse loro la consegna a tradimento di Ocalan, e il suo tristissimo auto-tradimento.

Pace? Ma quale pace!? La guerra imperialista ai popoli jugoslavi è appena cominciata. E con i suoi 50.000 miliziani NATO, che si vanno ad aggiungere ai 30.000 insediati in Bosnia, il protettorato-Kosovo è destinato ad essere, da un lato, una enorme caserma di polizia da cui e con cui minacciare l’intero proletariato balcanico, frammentato in mille segmenti, con l’umanitario ricatto democratico: "o nostri schiavi, o morti"; e dall’altro, un’importante base per lo scatenamento di nuove guerre di aggressione contro la Serbia, la Russia, la Cina, contro le immense masse degli sfruttati d’Oriente. La "pace" di giugno non è che una pausa, e di non lungo periodo, tra una guerra banditesca e l’altra. Poiché il colonialismo finanziario e termo-nucleare, che dal 1945 detta la sua legge usuraria al mondo intero, è obbligato a ricorrere sempre più spesso all’uso diretto e massiccio della sua macchina di violenza. Lo è in quanto il solo cappio dei crediti e la pura e semplice deterrenza atomica (senza che poi questa si concretizzi in un’effettuale pioggia terroristica di missili e bombe all’uranio) non gli sono più sufficienti a puntellare un ordine imperialista che scricchiola, crescentemente delegittimato, da ogni parte. Metropoli incluse.

Del resto la "pace" del G-8 è a tal punto instabile da poterla quasi definire evanescente. Essa non contiene alcun solido regolamento di conti su nessun versante. Né rispetto ai popoli jugoslavi, che non sono e non si sentono battuti. Né tra gli alleati assassini della NATO, allineati sì bon gré, mal gré dietro i super-padroni (e super-killer) yankee, epperò vogliosi -l’un contro altro- di contendersene oggi i favori nell’attesa (non del tutto passiva) di potersene emancipare domani. Né sono del tutto chiare le cose tra la NATO ed il suo braccio armato per i servizi più sporchi dell’UCK, così galvanizzato oggi dopo la sequela di brucianti sconfitte patite per mano serba da "pretendere", al modo della Stern sionista di quei dì, un proprio spazio di potere "indipendente". Né lo sono tra la NATO e la sgradita guastafeste Russia di Eltsin, cui è riuscito di imporre la propria presenza parzialmente autonoma in Kosovo, e -tantomeno- tra la NATO e la sempre più arroccata Cina di Jiang. E infine, neppure -è cosa importantissima- tra i governi bellicisti dell’Occidente e le rispettive popolazioni lavoratrici, che la canaglia giornalistica non è riuscita ad attivizzare pro-massacro e che il crescente astensionismo dimostra essere, anche in Europa, sempre più distanti dalle istituzioni del capitale. Dunque: una "pace" ad un tempo schifosa e fragile.

Vittoria? Ma quale vittoria!?

Non a caso Clinton, a differenza dei suoi più bavosi leccapiedi, ha esitato a parlare di vittoria. E si è ben guardato dall’usare toni trionfalistici. No, non c’è stato assolutamente nessun trionfo della NATO, e neppure una sua decisiva vittoria sul campo.

Il solito fantasioso ultra-ottimismo da accecamento ideologico? Beh, consideriamo i fatti storici, a cui da marxisti ci sforziamo di attenerci rigorosamente, in un’ottica, si capisce, rivoluzionaria. Nell’aprile del 1941, alle armate nazifasciste (supportate dai soli scagnozzi ungheresi) bastarono 10 giorni, dal 6 al 15 aprile, per occupare l’intero territorio jugoslavo quasi senza colpo ferire, e salutate in Slovenia, in Croazia, dai separatisti montenegrini (brutta genìa da sempre!) e dagli elementi filo-bulgari della Macedonia, dunque: dall’estremo nord fino all’estremo sud della Jugoslavia, da manifestazioni di consenso, e perfino di giubilo, di non infimi settori di massa. Nella primavera del 1999, alle armate NATO, infinitamente superiori a quelle nazifasciste per potenza di fuoco (e superiori anche per determinazione criminale), sono stati necessari 78 giorni, oltre 32.000 missioni aeree di bombardamento, e una quantità di esplosivo pari a più di dieci Hiroshima per riuscire ad occupare, in modo contrastato, e perdendo un centinaio di aerei (3 o 4 Stealth inclusi, pare), il solo Kosovo. Non c’è stata né la resa incondizionata della Jugoslavia, né la rotta del suo esercito, e la NATO non è stata libera di massacrare le truppe jugoslave, come fece vigliaccamente a guerra del Golfo conclusa con quelle irachene sulla "autostrada della morte" Kuweit-Iraq. E badate che la Jugoslavia aggredita usciva da 10 anni di stremante embargo, e questa volta a collaborare con gli aggressori non era solo l’Ungheria come nel ’41, ma pressocché tutti i paesi confinanti con la Jugoslavia. E quanto poi al consenso ed al giubilo di massa, questa volta, nonostante il profluvio di dollari, esso è rimasto confinato alla sezione più sprovveduta e smarrita degli albanesi del Kosovo, non pochi dei quali avranno presto modo di pentirsi del malfatto; mentre la parte più avveduta e dignitosa della masse kosovare già è avvertita che i mafiosi della NATO non sono lì per la sua libertà, ma per un nuovo, e più estremo suo asservimento. In tutte le altre regioni dell’"ex"-Jugoslavia, incluse la Croazia e la Bosnia appena appena uscite da sanguinose contese con i serbi, i sentimenti più diffusi non sono stati pro-NATO (e si consideri che non c’è nella Jugoslavia di oggi alcun partito che sia lontanamente paragonabile, per orientamento e forza di radicamento, al PCJ dei primi anni ’40). Finanche un Dizdarevic, ex-direttore di Oslobodjenje, fogliaccio anti-jugoslavo di Sarajevo, è costretto a dirci, nel mezzo della guerra, che in Bosnia, nella Bosnia occupata e amministrata dall’ONU, cresce a vista la nostalgia per il tempo del titoismo e della Jugoslavia non "etnicamente pura" (demolita dall’Occidente e dai sub-nazionalismi locali in affitto). E che a Spalato, la prima città della Dalmazia croata, si è deciso, sempre nel mezzo della guerra, di riporre al suo posto, nella piazza centrale, la targa che ricorda la "eroica armata di Tito" che liberò la città e il paese dagli occupatori nazifascisti; targa che i neo-ustascia di Tudjman, seguaci prediletti del guerrafondaio Wojtyla, avevano provveduto a rimuovere (Diario, 12 maggio). Indicativo, no?

Era tale la sproporzione di forze tra la sola Jugoslavia (minata per giunta dal sabotaggio del giuda montenegrino Djukanovic) da un lato, e l’intero establishment militar-imperialista dall’altro, libero di colpire a volontà da tutte le ideali postazioni italiane, garante il centro-sinistra di D’Alema, Cossutta e verdastri vari neri più della pece, che l’esito provvisorio, iniziale, della guerra non poteva essere diverso. Ove, come desideravano ardentemente i serbi, le truppe NATO avessero osato scender a terra, le perdite per la nostra macelleria sarebbero state ben altrimenti pesanti. Attenzione, però: per l’Occidente l’ossessione di poter fare guerre senza dei "nostri" morti (salvo quelli che morranno, a decine di migliaia, negli anni seguenti per gli effetti "collaterali" chimici e nucleari, sul tipo "sindrome del Golfo"...) si rivelerà, nel tempo, un pericoloso boomerang. La semplice esistenza di questa ossessione dovrebbe far riflettere. Gli stati maggiori politici e militari dell’imperialismo -è questo il fatto- non si fidano più non soltanto degli eserciti di leva, ma neppure di quelli di mestiere, perché, al fondo, sanno di essere seduti su un immenso sistema vulcanico planetario. La polarizzazione sociale sempre più spinta in atto non solo tra Nord e Sud del mondo, ma in profondità nel Nord e per primo negli Stati Uniti (consigliamo vivamente di leggere, al riguardo, La dittatura del capitalismo di Luttwak), non può non riflettersi prima o poi catastroficamente, corrodendoli dall’interno, anche negli eserciti di mestiere composti in gran parte da elementi di estrazione proletaria e popolare, da colorati, da minoranze nazionali e, crescentemente, da donne. È per questo che, a buona ragione, i Clark e soci temono così tanto le operazioni di terra. Ma a terra, ormai, ci sono. E si può essere sicuri che le terre, e le masse oppresse e sfruttate, dei Balcani non saranno con i sanguinari eredi, e superatori, del nazi-fascismo più arrendevoli di quanto lo furono nel 1941-’45 con le "invincibili" divisioni nazi-fasciste.

Lo si è visto già nell’atto di apertura di questa guerra. L’Albright contava di ottenere la resa totale in 2-3 giorni, modello blitzkrieg riveduto e corretto. Lei e le jene sue pari hanno sbattuto il grugno su una resistenza dei popoli jugoslavi semplicemente magnifica. Nelle circostanze date internazionalmente e localmente, questi non avrebbero potuto fare di più e di meglio. Con la loro fierezza e lo stoicismo con cui hanno sopportato le morti e la devastazione delle loro vitali infrastrutture, hanno dato a tutto il mondo, come a loro tempo iracheni e vietnamiti, la misura del loro valore. Attoniti, sgomenti, increduli, forse, perché (ingenuamente) non si attendevano che il libero, civile, democratico Occidente potesse macchiarsi di un simile delitto. Ma, nonostante la sorpresa, pronti a condannarlo, a combatterlo. Il proletariato jugoslavo, e il proletariato serbo per primo, non lo vedremo mai inginocchiarsi all’imperialismo. Per questo lo si criminalizza, e lo si demonizza, senza sosta. E si cerca, invano, di umiliarlo, senza riuscirci. Sentite questa, che ci è stata riferita da nostri compagni. Conegliano (Tv), assemblea pubblica organizzata dalle RSU con alcuni operai della Zastava. Il burocratino sindacale di turno, un bel campione di quel "proletariato borghese" di cui parlò Engels già nel 1858, si rivolge a loro con aria tra lo sprezzante e il commiserativo, chiedendogli: "Che cosa volete, in sintesi: medicinali o soldi?". La risposta è: "Né l’uno né l’altro. Non siamo qui per chiedere l’elemosina (bestia!, avrebbero fatto bene ad aggiungere -n.), ma per illustrare le conseguenze di questa guerra in Jugoslavia in particolare sui lavoratori jugoslavi" (illustrarla a voi, lavoratori dell’Occidente, che nulla avete fatto per impedirla, avrebbero fatto bene ad aggiungere. Non l’han detto, ma si vedeva che ce l’avevano in cuore). Non si comportano così degli sconfitti.

È qui che siamo mancati!

Onore, dunque, al proletariato e ai popoli della Jugoslavia. Feriti, certo, ma eretti davanti al più potente schieramento imperialista di tutti i tempi. È qui, invece, che siamo rimasti in modo pauroso al di sotto dei nostri compiti di battaglia anti-imperialista e anti-capitalista. E lo siamo rimasti, come proletariato, e come movimento di lotta contro la guerra, non solo per le colpe di una "sinistra" divenuta irreversibilmente organica al capitalismo imperialista, ma anche per colpa di un "pacifismo" più che mai alieno da qualsiasi vera lotta contro l’imperialismo, contro l’Occidente, contro la NATO, più che mai indisponibile non diciamo a battersi con coerenza contro il proprio governo assassino, ma anche solo ad augurarsene la sconfitta. Un "pacifismo" a tal punto impestato di sciovinismo e di razzismo da avere escluso programmaticamente dal suo raggio d’azione "contro" la guerra proprio i lavoratori jugoslavi immigrati in Italia e in Europa, e da essere arrivato all’ignominia di aggredire in più occasioni i pochi jugoslavi presenti nei cortei, gli stessi che sono stati brutalmente aggrediti dal nostro governo, dal nostro stato, dal nostro imperialismo.

Non si dica che queste aggressioni sono state opera solo di alcuni esponenti diossinati dei "centri sociali del nord-est". Non è stato così, disgraziatamente. La questione è più vasta e complessa, e va al di là, come perimetro politico, delle truppe di complemento, retribuite un tanto al mese (vuoi in denaro, vuoi in altra roba), del governo D’Alema e della giunta del neo-dipietrista Cacciari. Riguarda l’ideologia e la prospettiva politica maggioritaria nel "movimento", che ha espresso sì un "rifiuto della guerra", ma in quanto guerra americana contraria agl’interessi, alle leggi ed alla "vocazione" dell’Europa e dell’Italia. Quasi caduta, ma per stato di necessità, l’invocazione alla defunta ONU, ci è toccato di sentire invocare dall’inizio alla fine l’Europa. L’Europa sociale, eh, l’Europa della pace (?!?!), si precisa, non avendo più la faccia tosta d’invocare l’Europa socialdemocratica del mitico Lionel Jospin, in prima fila nei bombardamenti. Ma cosa cambia? La cosiddetta Europa sociale è inesistente e inesistibile, e la sola Europa che oggi può esistere, in quanto Europa del capitale, -è di questo che si tratta, visto che non c’è nessun "pacifista" che osi mettere in dubbio il capitalismo-, è quella che si è espressa con le bombe e il bel piglio para-mussoliniano dell’antifascista Barbara Spinelli.

È arrivata ‘l’ora delle scelte strategiche sovrane’ (il duce disse: l’ora delle decisioni solenni...), ha scritto costei su La stampa dell’11 giugno. E l’Europa non può, né deve mancare. Ma deve sapere che è solo ‘nel ferro e nel fuoco’ (testuale -n.) che può affermare mondialmente il suo ‘modello di convivenza civile’ (da imperialismo schiavizzatore delle classi lavoratrici del mondo intero). E dev’essere pronta a mettere a ferro e fuoco, al di là dei Balcani, anche potenti ‘nazioni anti-atlantiche come Russia e Cina’ (testuale -n.). In questa prima prova non se l’è cavata al meglio, dato che in tanti nel suo seno hanno ‘osteggiato il tardivo, immensamente tardivo, impiego delle armi contro Milosevic’ (testuale –n.). E tuttavia, l’Europa sta cominciando, facendo quel che ha fatto ‘a Pristina e nei cieli sopra la Serbia’ (testuale -n.) a sono rinascere a quel che era, è e sarà (finché il proletariato europeo non vi schiaccierà definitivamente sotto i suoi cingolati, signora): capitalista, colonialista, imperialista, anti-comunista. L’identico messaggio lanciava, è l’Europa unita no?, Die Zeit del 2 giugno: "la guerra forma l’identità dell’Europa". Vecchie lenze di un Bertinotti e di un Curzi, è questa l’Europa, la sola Europa social-borghese esistibile, dal momento che non vogliamo farvi il torto di pensare che "alludiate" ad un’Europa sovietica parte della Repubblica mondiale dei soviet, nevvero?; ebbene, questa Europa vi ordina di mettervi in riga, coperti e allineati, e di marciare senza far troppe storie e moine, e di far capire ai vostri che anche in Italia, sui cieli e sulle terre d’Italia, verso i serbi del fronte interno, non è più tempo di melodie ‘catto-comuniste’ e neppure sotto-keynesiane, è tempo di bombardamenti "intelligenti", poi verranno anche quelli a tappeto, sulla classe operaia.

Ma nonostante questo, è stato proprio il richiamo all’Europa e/o all’"Italia che ripudia la guerra" a mettersi di traverso ad un processo di maturazione e di radicalizzazione in senso di classe della mobilitazione contro la guerra. L’OCI è rimasta quasi da sola a "ricordare", nella propaganda e nell’agitazione, che nei paesi imperialisti il primo e principale nemico è la "propria" borghesia, il "proprio" stato, il "proprio" governo, il "proprio" imperialismo, ed è contro questo nemico che si deve concentrare l’azione politica organizzata della nostra classe. A maggior ragione in questo caso in cui l’Italia (dell’art.11...) ha svolto un ruolo assolutamente determinante nel criminale assalto alla Jugoslavia. Il "pacifismo" di opposizione, invece, è riuscito a non dire mai, neppure una sola volta, che questa è stata, è una lurida guerra italo-americana. Il lealismo nazionale, nazionalistico, non è venuto mai meno, in gente, gentarella si direbbe alla napoletana, sempre pronta peraltro ad accusare i serbi anti-NATO di pericoloso nazionalismo. "Disfattismo" sì, ma solo se si tratta dell’imperialismo degli altri, americano, tedesco, etc., mai del "nostro". Poi è arrivato Scognamiglio, ministro della guerra, che, abituato com’è personalmente a far conti (a dividendi di miliardi per volta), ha dato un po’ di numeri. 1.378 missioni degli aerei italiani, 3.600 ore di volo, 54 aerei impiegati, 115 missili anti-radar lanciati, 1.300 tonnellate di carburante consumate, insomma: "per qualità abbiamo dimostrato di non essere secondi a nessuno" (La stampa, 12 giugno). Manca soltanto un particolare "insignificante": i morti, i feriti, i danni inflitti al "nemico jugoslavo", ma la dichiarazione è comunque notevole. Pensate che tra i grandi capi politici del "pacifismo" se ne sia accorto qualcuno? Avevano altro per la testa: le elezioni. E una volta perse le elezioni, eccoli indaffarati a ricucire il filo con la "sinistra di governo". Quella sinistra di governo che Clinton e Clark hanno lodato come una roccia, la roccia, appunto, dall’alto della quale la NATO ha straziato jugoslavi, serbi e kosovari. Quella sinistra di governo che ora si appresta a proporre come commissaria "per" i Balcani nientemeno che quell’assassino NATO della Bonino, che si è agitata come una furia perché avvenisse lo scannatoio di terra in Kosovo da cui s’attendeva il definitivo sterminio dei "serbo-comunisti"…

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