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Guerra, "pace", guerra: un ciclo infernale...
Lo può spezzare solo il proletariato.

Se critichiamo il "pacifismo" come ideologia e prospettiva generale, non è per nascondere il grandissimo ritardo della stessa "massa" che è scesa in campo nelle dimostrazioni "pacifiste" o in quelle della Lega (nelle quali c’era mediamente un po’ di grinta antimperialista in più). E meno ancora per nascondere quello, perfino superiore, del proletariato, rimasto complessivamente indifferente agli eventi, a guardare questa ennesima tragedia capitalistica come qualcosa di estraneo. E tuttavia con la nostra abitudine a tastarle di continuo il polso, abbiamo potuto rilevare nell’atteggiamento della classe operaia un qualche cambiamento dall’inizio alla fine della guerra: è cresciuto in essa un senso di preoccupazione, un timore per la crescente vicinanza della guerra e -in certi casi- si è avvertito un dispiacere sincero per quello che accadeva ad altri lavoratori visti sempre, però, come altri da noi proletari dell’Occidente. Questa lenta evoluzione, omologa a quella avvenuta in ristretti settori del "movimento", doveva essere e dovrà essere "guidata" verso la piena comprensione della indivisibilità dell’aggressione ai popoli ed ai proletari balcanici (e di tutto il Terzo Mondo) dall’aggressione strisciante ancora, ma sempre meno soft, al proletariato delle metropoli, e quindi della necessità di unire a scala mondiale le forze di classe sul terreno del vero anti-imperialismo, del vero anti-capitalismo, del comunismo.

È certo, per noi, che il massimo di aiuto oggettivo al superamento di questo atteggiamento di indifferenza del proletariato occidentale ci verrà dal decorso obbligato della crisi generale, sistemica, del capitalismo internazionale. Questo decorso, non da oggi, bensì dal 1974-’75, va in direzione di un’acutizzazione esponenziale di tutti i contrasti e gli antagonismi di questo decrepito modo di produzione, in direzione della riproposizione in termini di bruciante attualità del dilemma: guerra imperialista o rivoluzione socialista. Non ci si bevano le favole su futuri piani Marshall per il Kosovo o per la Jugoslavia. Finiranno nel nulla come quelli per il centro-America, per l’Africa, per il medio-Oriente, per l’Est-Europa, per la Russia. Gli USA e l’Europa super-indebitati non hanno "generosi" anticipi di capitali liquidi da fare a chicchessia, hanno soltanto avidissimi prelievi aggiuntivi da attuare scorticando vivi arabi, islamici, balcanici, slavi, cinesi, indiani, indonesiani, latino-americani e quant’altri. E per meglio scorticare queste pelli, debbono continuare a demolirne e minarne con tutti i mezzi i "loro" circuiti economici e le "loro" strutture politico-statuali (borghesi -si capisce).

La manomissione della Jugoslavia non è affatto ultimata. Meno ancora è concluso l’orrido ciclo delle guerre balcaniche del capitale. La Serbia, è chiaro, cercherà di tendere le proprie forze per rialzarsi come è riuscito a fare mirabilmente, per un certo tratto, l’Iraq. Ma nulla di intentato lascerà la gang degli stati imperialisti per fare fallire questo suo tentativo, lucrando contemporaneamente su di esso (i porci affaristi italiani sono tra i massimi specialisti in questo campo). Del pari, non è affatto ultimata la manomissione della condizione operaia nel centro dell’imperialismo. Greenspan ha appena ammonito gli operai statunitensi a rassegnarsi alla continua perdita del potere d’acquisto dei loro salari. Schroeder sta per calare legnate da orbi su quelli tedeschi. D’Alema presenta ai lavoratori italiani un primo conticino di 20.000 miliardi (dai 4.000 previsti all’inizio) per la "guerra umanitaria" che rende, e come se rende!, ma ai pescecani fratelli Berluska, Agnelli, Dini, etc. E siamo solo ai primi passi del grande riarmo in arrivo. Volevate l’Europa più autonoma dagli USA? Costa, miei cari. Quindi, mano al portafogli (dei lavoratori) e zitti (i lavoratori). La guerra imperialista è destinata ad essere "una contingente necessità" per un bel pezzo, poiché nel mirino dell’Occidente e della NATO -altro che Milosevic!- ci sono nientemeno che le masse lavoratrici della Russia e della Cina, anzi dell’intera Asia. Per cui bisogna stringere i tempi per un esercito europeo, un’aviazione europea all’altezza dei tempi, una missilistica europea, un arsenale atomico europeo. Pace? La vicenda della Jugoslavia è la vicenda dell’intero mondo: vedete pace nella Jugoslavia frantumata e occupata dall’imperialismo occidentale?

Nessuna smobilitazione, perciò, di quello che realmente si è mosso contro la guerra alla Jugoslavia. Bisogna al contrario continuare ed estendere la lotta, importando nel movimento, per potenziarlo, -è questa l’autentica azione da partito da svolgere nel segno del binomio vincente partito-e-classe-, la piena coscienza delle cause e degli scopi di questa guerra, della momentanea "pace" di oggi, e del ciclo guerra-"pace"-guerra che tende ormai ad espandersi all’intero mondo. E importandovi la certezza, che non può essere spontanea, che solo il proletariato jugoslavo, europeo, mondiale unito può spezzare questo ciclo infernale. Il programma da assumere non va inventato, è già stato tracciato dalla Terza Internazionale, ed è quello della repubblica sovietica federativa danubiana-balcanica. Poiché è solo insorgendo unitariamente contro l’Occidente schiavista ed i suoi manutengoli locali che i popoli balcanici e i proletari balcanici potranno davvero riscattarsi, andando oltre la loro epopea nazional-popolare, e conquistare "eguali diritti ed eguali possibilità di sviluppo" nel quadro dello sbaraccamento rivoluzionario mondiale del sistema capitalistico. Se invece resteranno divisi tra loro ed inquadrati nei micro-capitalismi dipendenti di oggi, così come se il proletariato europeo e internazionale si lascerà balcanizzare dai propri sfruttatori, quello che ci attende tutti è un orrore senza fine.

Questa tesi comunista, che i reazionari giudicano improponibile (per la semplice ragione che decreterebbe la fine del loro potere e dei loro privilegi) e che i più tra gli elementi anti-guerra ritengono astratta, è riproposta con forza esponenzialmente accresciuta dai fatti, dal corso stesso del capitalismo e dai suoi effetti. Già in questa guerra si è realizzata una importantissima dislocazione in avanti della situazione. Masse, e da contare a milioni e milioni, di sfruttati jugoslavi, russi, cinesi hanno realizzato d’un tratto la identità di natura di classe del nazi-fascismo capitalistico e della democrazia capitalistica-imperialista, imparando a maledire questa, che magari fino a ieri sognavano e idolatravano, al pari di quello. È poco? L’amaro destino toccato ai serbi e ai kosovari, nonostante i rancori dell’ora, unisce nel lutto e nella rovina tutti i popoli dei Balcani. Anche gli sloveni e i croati che lavorano, e che molto si illusero sul loro ingresso in Europa, stanno sprofondando decenni all’indietro. Ed un sentimento di comune frustrazione e rabbia verso i presunti "liberatori" interni-esterni si va diffondendo e radicando. È poco? Si osservi, allora, quello che è capitato ai tanti jugoslavi per il mondo che dalla necessità di rispondere alla NATO, sono stati letteralmente catapultati dalla vita privata direttamente nell’agone politico mondiale. Essi hanno imparato sul mondo, e soprattutto su chi è il nemico giurato dei lavoratori di tutto il mondo, più in questi 78 giorni che in tutto il resto della loro vita. E, paradosso nel paradosso, per difendere il loro paese, la loro nazione, han dovuto stabilire contatti internazionali, organizzarsi internazionalmente e aprirsi, là dove hanno trovato un’autentica solidarietà militante, alla interazione ed all’integrazione con lavoratori e compagni di altre nazioni. Vediamo i loro ritardi politici ed ideologici, che sono, però, parte del "ritardo" complessivo del movimento operaio internazionale la cui rinascita a sé stesso, la cui riorganizzazione in Partito, dovrà non poco, vedrete, al grande sommovimento dell’Est e dell’Oriente impulsato da questa guerra, e quindi anche alla generosa disposizione alla battaglia (dote così rara in quest’Occidente di m…) di questi "confusionari" e "romantici" militanti jugoslavi.

Ma si osservi anche la risposta effettiva alla guerra in giro per il mondo, per insufficiente che essa sia stata. Ne diamo parzialmente conto in questo numero per quello che abbiamo potuto constatare direttamente, oltrepassando la rigidissima censura militare imposta sulle informazioni. Stati Uniti anzitutto, per ordine d’importanza, Russia, Cina, Croazia, Germania, Italia, Grecia, e finanche, è tutto dire, la Cechia dalle violente dimostrazioni giovanili anti-NATO, per non dire di Cuba, col suo immenso corteo del 1° maggio al fianco del popolo jugoslavo... Non c’è ancora la tessitura necessaria, non c’è il programma adeguato, non c’è la strategia, non c’è il partito della rivoluzione, d’accordo. Tutto ciò deve ancora venire, e verrà. Ma li vedete, almeno, i fiumi di lava incandescente che scorrono dentro il vulcano sottostante all’ordine capitalistico mondiale ed ai suoi nient’affatto invincibili eserciti?

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