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I COMUNISTI E I PROLETARI LEGHISTI

 

Lo scemare della combattività da parte dei lavoratori leghisti non è senza conseguenza anche per il resto della classe. Al contrario più si ritraggono dall’azione anche gli operai leghisti, più l’intera classe, già per suo conto confusa e sbandata, si astiene dal dare qualunque battaglia.

La crisi della Lega ha, così, un’inevitabile ricaduta sull’insieme del proletariato. Sappiamo che quest’affermazione farà sobbalzare alcuni nostri "cugini", ma non la facciamo certo per mettere alla prova le loro coronarie. Alcuni di quelli, più o meno "vicini" a noi, hanno affettato di credere che per noi la Lega sarebbe il movimento attraverso cui si sta realizzando (o si possa realizzare) la ripresa di lotta e di organizzazione antagonista da parte del proletariato, considerazione che ci avrebbe portato a orientare il nostro intervento quasi esclusivamente verso i proletari leghisti (lasciamo perdere coloro che, in perfetta malafede, nelle nostre posizioni hanno voluto vedere, addirittura, che proponevamo "fronti comuni" con il partito-Lega). Al proposito siamo stati sempre più che chiari (sarebbe sufficiente rileggere senza paraocchi il che fare e il nostro materiale di iniziativa politica), ma, forse, è utile ritornarci brevemente a uso di chi voglia davvero confrontarsi con noi.

La Lega non è, né potrà mai essere, il contenitore con il quale il proletariato possa ridare avvio al suo antagonismo di classe. Tanto meno l’adesione proletaria alla Lega dimostra che una tale ripresa sia già in atto. Nulla di tutto ciò è stato -ed è- alla base della nostra attenzione verso i lavoratori che aderiscono alla Lega.

La vulgata della "sinistra" (anche dell’"estrema") cataloga, per lo più, questo movimento tra i fenomeni di "egoismo" prodotti dalla globalizzazione: la Padania vorrebbe, insomma, secedere dall’Italia per conservare egoisticamente il suo "benessere", come la Slovenia o la Croazia dalla Jugoslavia, e condirebbe questo programma con gli ingredienti del razzismo, della xenofobia, dell’estremo liberismo, ecc. Questa superficiale lettura, appiattita sulla comoda versione fornita dal dominio politico-mediatico, si evita programmaticamente di spiegare perché l’adesione proletaria alla Lega sia notevole, o se la spiega, con immarcescibile ingenuità (per non dire altro), come un semplice "inganno" politico-ideologico. Non è così. I legami materiali tra esigenze proletarie e programma leghista, che ci sono, non sono pochi, e non sono semplici "inganni".

La simpatia operaia per la Lega trae il suo terreno di coltura nella coscienza riformista della classe operaia. Il proletariato è costretto a lottare per difendere le sue condizioni immediate, e lo fa senza determinarsi a una lotta totale contro il capitalismo, anzi esso è portato naturalmente (diceva Lenin) a una coscienza riformista della sua lotta, cioè all’idea di poter difendere se stesso non "contro", ma "dentro" il sistema vigente; riformandolo, appunto. Nei lunghi decenni in cui la "sinistra" dava un’applicazione più o meno coerente a questa necessità e a questa coscienza, il proletariato non ha esitato a riconoscersi in massa e militare nei suoi partiti. Oggi la "sinistra" veleggia su una linea "contro-riformista", determinando un palese disagio nei settori proletari a lei vicini. Il riformismo di "sinistra" tende a espungere sempre di più dai suoi programmi la "contraddizione operaia", ma questa lungi dallo scomparire, si acutizza. Di conseguenza, deve, per forza di cose, cercare altri contenitori per esprimersi, e li cerca, pur sempre, sulla base della sua precedente coscienza, quella riformista. Puntualmente, in questa fase dello scontro di classe, non può che trovarli in movimenti diversi dalla vecchia "sinistra", ma sempre "interni" al sistema capitalista. Bossi o Haider, Le Pen o il separatismo fiammingo, sono, a un tempo, prodotti della crisi del riformismo di "sinistra" e contenitori della necessità operaia di non cedere alle forze che vogliono sottometterli a uno sfruttamento sempre maggiore.

La Padania rappresenta il desiderio di difendere la propria identità e le proprie origini contro la macchina tritatutto e omologante della globalizzazione, e per sentirsi in fratellanza con chi -in modo analogo- cerca di rimanere ancorato alle radici della propria terra e delle proprie tradizioni, in quella che appare come l’unica protesta possibile, dopo che sono state completamente ammainate le bandiere del riformismo di "sinistra". È appena il caso di chiosare che le origini e tradizioni da difendere, anche quando sono presentate con improbabile (per i tempi moderni) linguaggio mitologico, rimandano proprio a quegli assetti sociali (e, di conseguenza, culturali, relazionali, affettivi, ecc.) che il proletariato s’era conquistato nell’epoca del riformismo e che oggi la globalizzazione vuole azzerare. La Padania sognata dall’operaio leghista ha gli stessi connotati riformisti dell’Italia sognata da quello piciista, anche quando non è transitato personalmente nel contenitore-Pci, solo in una dimensione geograficamente più ridotta (e, perciò, magari anche più "realistica").

È un primo punto, ma non è il solo. Se l’adesione proletaria al leghismo segnala la crisi del contenitore-riformista, essa segnala anche l’incedere della crisi del riformismo come programma politico di risoluzione della "contraddizione operaia". Dove il vecchio riformismo vedeva nello stato un semplice mediatore, se non proprio uno strumento per imporre al capitalismo le riforme "operaie", oggi appare sempre più chiaramente che esso è un puro oppressore al servizio del potere economico e politico del capitalismo, padre e difensore d’ogni parassitismo sociale ("Roma ladrona", per l’operaio leghista, non è solo la capitale geografica di un determinato paese, è l’espressione figurata del parassitismo che grava sul lavoro di chi veramente produce, sia esso operaio o artigiano, o piccolo imprenditore impegnato nel lavoro produttivo e non solo nella speculazione ai danni altrui). Dove il vecchio riformismo incensava i santuari e i riti della democrazia, oggi appare sempre più evidente che sono i postriboli dell’inganno, della chiacchiera e dell’interesse personale e di classe. Dove il vecchio riformismo coltivava, sia pur con "moderazione", l’ideologia del successo individuale, oggi appare sempre più come quest’ideologia sia devastante per la vita degli uomini.

Tanti altri sono i temi che si potrebbero citare, ma chiunque abbia voglia non avrà difficoltà a vederli.

Danno la Lega, Haider, ecc. una soluzione vera a tutti questi problemi? No, per niente. La loro soluzione è del tutto interna a questo sistema capitalista, cioè al sistema che non può di sicuro risolverli, e che deve, altrettanto sicuramente, accentuarli. Non solo, i loro programmi portano inevitabilmente a una deriva sciovinista (né più, né meno, di dove portino, peraltro, i programmi del riformismo di "sinistra", vedere, tanto per iniziare, la vicenda-Kosovo), ossia a una sottomissione del proletariato agli interessi nazional-padani, austriaci, o mitteleuropei, ecc. Ma, detto ciò, rimane la domanda di come debbano i comunisti affrontare il problema.

Non prendiamo, naturalmente, in considerazione quelli che collocano i leghisti, lavoratori o no, tra i nemici, da contrastare radicalmente, magari… invocando l’intervento dello stato (e che non hanno, quindi, nessun legame con il comunismo). Le risposte alla domanda sono sostanzialmente due. La prima si fonda su una pura lotta ideologico-propagandista verso i proletari leghisti. Una lotta che lascia il tempo che trova; contrapporre unicamente il programma comunista a quello leghista, serve senz’altro a confermare il lavoratore leghista nelle sue convinzioni, che gli appaiono tanto più concrete se rapportate a un’alternativa che non può che essere per lui, nella migliore delle ipotesi, utopica. La seconda li invita a ritornare nei contenitori riformisti tradizionali, dai quali i rivoluzionari saprebbero bene (?!) come farli transitare verso una coscienza rivoluzionaria. Se possibile, è una risposta peggiore della prima, in quanto vorrebbe annullare esattamente quell’elemento positivo che l’adesione alla Lega comporta, cioè la ricerca di una politica che esprima una maggiore combattività (anche volendo prescindere da tutto il resto) "contro il sistema".

Per noi la risposta al quesito è scritta in tutta la storia del comunismo autentico: consiste in un lavoro costante dei comunisti dall’"interno", non della Lega, ma dall’interno dei problemi che l’adesione operaia alla Lega segnala (per tutto il proletariato, e non solo per quello leghista) con un lavoro volto a disaggregarla e a conquistare forze "sue" a noi. Quest’evenienza, all’immediato, è più che difficile, ma ciò non cambia nulla nella prospettiva di lungo periodo, di cui misuriamo bene le difficoltà e i passaggi necessari.

Non abbiamo dubbi in proposito, il nostro lavoro si rivolge agli operai leghisti (ci torniamo su anche in altra parte di questo numero), a quelli riformisti, e a qualunque altra tendenza vada raccogliendo l’attuale (e futura) diaspora proletaria. A tutti ci rivolgiamo con lo stesso identico e non modificabile programma comunista, a tutti proponiamo di dare battaglia comune su tutti i piani a difesa delle condizioni di classe, di dare battaglia per costituire organizzazioni autonome della nostra classe, con tutti cerchiamo di dimostrare come ogni programma riformista sia suicida per il proletariato, e cerchiamo di farlo non come battaglia puramente ideologica, ma legata saldamente all’esperienza di lotta e di organizzazione (o di stasi e disorganizzazione) su cui i vari settori di classe sono impegnati (o disimpegnati).

Nessuna ripresa di antagonismo operaio sta, dunque, avvenendo intorno alla Lega e a movimenti similari. Non è la "ripresa operaia" già in atto, ma è certamente un segnale (uno dei tanti) del groviglio di problemi con cui il proletariato deve fare i conti per una vera ripresa del suo antagonismo di classe. Ed è, anche, in via del tutto sussidiaria, un segnale di come fior di "rivoluzionari" non riescano a rivoluzionare neanche le immaginette stampate nella propria testa dove l’operaio con cui confrontarsi è sempre e soltanto l’oleografico operaio riformista-di-sinistra.

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