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Assemblea operaia alla Zastava di Kragujevac

IL PROLETARIATO JUGOSLAVO,

NON PIEGATO,
BATTE ALLA PORTA

DI QUELLO OCCIDENTALE.

Indice
 
Cronaca dell'assemblea
Documento finale dell’assemblea sindacale "ZASTAVA"
Un nostro compagno, al rientro da Kragujevac
La nostra sottoscrizione per i lavoratori della Zastava

 

Gli operai della Zastava avevano già dato prova di non essere tra chi si piega facilmente. La loro è una storia di lotte e d’organizzazione sindacale.

Durante l’aggressione Nato hanno presidiato la fabbrica, per difendere il loro posto di lavoro, il loro futuro. A bombardamenti in corso una loro delegazione è venuta in Italia per denunciare la vigliacca aggressione e cercare solidarietà tra i lavoratori d’Occidente. Insomma il loro istinto di classe non è andato disperso.

Terminati i bombardamenti, e nonostante l’indifferenza e l’isolamento in cui li ha lasciati la classe operaia occidentale (per non dire dei sindacati e dei partiti che hanno sostenuto l’aggressione), hanno cercato un reale sostegno internazionale per ricostruire quelle condizioni d’esistenza distrutte dall’aggressione imperialista. Non hanno perso tempo e hanno organizzato un’assemblea (a Kragujevac) il 28 luglio con le rappresentanze sindacali dei paesi della ex Jugoslavia, e con i sindacati dei paesi occidentali. Alcuni nostri compagni, operai e delegati, vi hanno preso parte.

Avevamo conosciuto i sindacalisti della Zastava durante il loro giro di assemblee in Italia a giugno. L’accoglienza da parte loro è stata cordialissima e sincera. Erano presenti operai dello stabilimento distrutto e delle altre fabbriche Zastava della Serbia, Macedonia, Montenegro, Kosovo, della Repubblica Serba di Bosnia. Non erano presenti "per ragioni tecniche" una delegazione dell’IG-Metal per la Germania, dei sindacati danesi e norvegesi, del sindacato francese Sud e delle Comisiones obreras spagnole. Vi erano invece una delegazione di sindacalisti del Belgio (del Coordinamento contro la guerra, oppositori della linea ufficiale), sindacalisti della Cgil Lombardia, alcuni delegati del Coordinamento nazionale RSU e alcuni esponenti dello Slai-Cobas, che hanno portato una tranche degli aiuti raccolti.

All’assemblea, di circa tre ore, hanno partecipato 100-120 delegati e sindacalisti. Il clima era d’estrema attenzione e tensione per le difficoltà presenti e future. Tutti gli interventi degli jugoslavi si sono aperti con una denuncia dell’aggressione Nato (mai chiamata "guerra") marchiata con parole di fuoco.

Già nella conferenza stampa del mattino la presidente del sindacato (è impressionante la presenza di donne a ogni livello di responsabilità della struttura sindacale, e non per questione di "quote") aveva richiamato l’importanza dell’assemblea, che vedeva i sindacati delle repubbliche della ex Jugoslavia, riuniti insieme dopo anni, discutere con alcuni rappresentanti di sindacati europei, visti non tanto per le posizioni che esprimono, ma come rappresentanti della classe operaia europea. Il messaggio è stato chiaro: per l’esistenza della Zastava e dei suoi 36 mila operai (oltre quelli dell’indotto) è indispensabile l’aiuto da parte dei lavoratori d’Occidente. Ai problemi già gravi sorti con la disgregazione della Jugoslavia (la Zastava aveva fornitori e mercato in tutte le repubbliche) si sono aggiunti l’embargo e l’aggressione Nato che ha posto termine al processo produttivo. I lavoratori hanno continuato a lavorare anche durante i bombardamenti fin quando è stato possibile, poi hanno iniziato lo sgombero delle macerie dalla fabbrica bombardata. I danni ammontano a 2 miliardi di dollari, senza contare le ripercussioni della disoccupazione forzata per i lavoratori dell’indotto (226 aziende non solo in Serbia, 1 milione di persone complessivamente coinvolte). Importanti dunque gli aiuti in vista di un inverno che sarà durissimo, importanti gli aiuti già arrivati (con pubblici ringranziamenti allo Slai Cobas) e quelli che arriveranno grazie alla solidarietà dei lavoratori d’Europa. "Ma è necessario - ha spiegato - fare un passo oltre gli aiuti umanitari, mettendo insieme tutti i sindacati europei per porre le basi di una collaborazione a difesa degli interessi comuni dei lavoratori non solo della Zastava, ma di tutta Europa. È la parte più difficile da realizzare, ci vogliono pazienza e tempo, ma i lavoratori hanno interesse ad agire insieme". Un richiamo non formale, che pone un problema oggettivo, e per noi essenziale, se si vuole rispondere all’aggressione imperialista, così come battersi contro gli sfruttatori e i profittatori locali, contro la borghesia nazionale.

Ha aperto l’assemblea vera e propria il segretario del sindacato del settore auto della Zastava, chiarendo subito che lo scopo dell’iniziativa era di fare un primo passo di apertura verso "i sindacati europei rappresentativi e in particolare verso quello italiano". L’obiettivo dichiarato è di costruire -tramite questi rapporti- una strategia comune per la difesa degli interessi dei lavoratori, un movimento internazionale di solidarietà e sostegno ai lavoratori jugoslavi. Ma -lo diciamo subito- non per questo i lavoratori della Zastava si sono mostrati disponibili a subire ricatti da chicchessia, anzi, anche in quest’occasione, hanno dato prova di voler decidere del loro destino senza delegare a nessuno la loro sorte. Una classe operaia nient’affatto piegata dall’aggressione, non sconfitta, non prona ai diktat dei governi e… dei sindacati occidentali.

Perché, allora, nonostante ciò e la conoscenza delle posizioni filogovernative e guerrafondaie dei sindacati europei, è stato rivolto proprio a questi ultimi l’invito a sostenere i lavoratori jugoslavi? Le motivazioni di tale atteggiamento vanno ricercate nella sostanziale sordità del proletariato europeo di fronte all’aggressione occidentale. In questa situazione è "naturale" che i lavoratori e i sindacati jugoslavi cerchino di superare l’isolamento e le durissime condizioni di vita in cui è stato ricacciato il proletariato, cercando il coinvolgimento dei sindacati europei che "contano", "rappresentativi". Ciò non porterà da nessuna parte? Certo, ma come non vedere che è dai lavoratori di qui che è mancato e continua a mancare il vero aiuto per superare i limiti e le illusioni di lì?

Il sindacato jugoslavo ha di conseguenza mirato a un duplice e, in sostanza, divergente obiettivo: un invito all’azione concreta per costruire una reale solidarietà tra lavoratori e, al tempo stesso, la ricerca di un canale per far pressione su governi e aziende (in special modo sulla Fiat) occidentali. È evidente il valore del primo elemento, quello che preannuncia il futuro, mentre dobbiamo senza esitazioni far riflettere sull’inadeguatezza del secondo. È ciò che abbiamo cercato di fare intervenendo all’assemblea nella consapevolezza che lì si preparano i coefficienti di una battaglia che non potrà limitarsi ai vecchi ambiti, geografici e politici. L’azione riparte dal terreno immediato, ma si trova subito ad affrontare tutte le questioni politiche sul tappeto: lotta all’imperialismo, costruzione di una vera unità con tutti i proletari dei Balcani e tra questi e i proletari europei, lotta contro la propria borghesia. Il dibattito dell’assemblea e la mozione conclusiva (v.) lo confermano in pieno ed è importantissimo che, dopo anni di distanza, divisione, se non contrapposizione tra le singole sezioni del proletariato jugoslavo, si sia fatto un primo, reale passo nella direzione della sua ricomposizione.

Altri interventi significativi dei delegati jugoslavi. Quello della Zastava di Macedonia ha parlato delle proteste anti-Nato che lì si son date, e dell’esigenza di organizzarsi unitariamente contro l’attacco ai diritti dei lavoratori in tutti i paesi, esprimendo la speranza che i colleghi europei lottino per la ripresa della Zastava e dei suoi operai.

Il delegato di Nis ha denunciato i bombardamenti Nato in maniera lapidaria: "si è tornati indietro a quando i tedeschi ci fucilavano".

Significativa l’osservazione di un delegato di una fabbrica dell’indotto, con 3.200 operai rimasti a casa, della repubblica Serba di Bosnia: "Di questi eventi non si vede ancora la fine".

Il segretario sindacale della città di Kragujevac ha rivolto agli europei presenti un chiaro appello: "portate a casa quello che avete visto, denunciate la situazione presente, perché ci aspettano mesi ancora più difficili. Quest’iniziativa deve essere il punto di partenza per un’azione complessiva del sindacato in tutta la Repubblica Jugoslava."

Durante la conferenza stampa del mattino, inoltre, un delegato della Zastava di Pec (Kosovo) ha denunciato che i militari italiani, appena entrati in città, hanno sgombrato i due capannoni della fabbrica ancora funzionante, con i 200 operai, serbi e albanesi, che vi avevano lavorato assieme anche durante i bombardamenti. Gli operai serbi sono poi dovuti fuggire; gli albanesi sono rimasti senza lavoro.

Il rappresentante belga, in un discorso conciso ma combattivo, ha detto di essere lì non a nome dei sindacati ufficiali, che hanno appoggiato l’aggressione, ma di quei lavoratori che si sono mobilitati contro. È fondamentale, per creare una vera solidarietà operaia, che da qui (dai paesi imperialisti) si contribuisca alla ricostruzione materiale e si restituisca la verità su quanto è successo. Ha concluso con la necessità della ripresa della solidarietà internazionale dei lavoratori.

Di tutt’altro tenore e spirito gli interventi dei sindacalisti italiani.

Il rappresentante della Cgil-Lombardia, a parte le promesse di aiuti e un modesto distinguo dalle posizioni ufficiali del sindacato italiano ("una scelta non condivisa"), non ha mai denunciato come criminale l’aggressione italiana e Nato né tantomeno il ruolo svolto da Cgil-Cisl-Uil. Ha continuato spiegando che "la ricchezza di un paese non è patrimonio dei governanti e dei regimi di turno, ma del popolo, dei cittadini. Per questo era sbagliata la scelta dell’Italia, della Nato di risolvere con la guerra i problemi" (c’erano evidentemente altri mezzi per piegare i popoli della Jugoslavia! n.).

In sostanza il ruolo che vuol giocare il sindacato italiano è di smuovere la "sensibilità del governo e di chi ha l’interesse economico, innanzitutto la Fiat, a investire per la ricostruzione". Neppure un richiamo formale all’unità tra lavoratori o all’azione comune. È stato l’intervento di chi si propone come intermediario del governo e delle aziende italiane. Di più. Il "prezzo" per l’intermediazione richiesto agli operai della Jugoslavia è quanto mai salato: la pretesa (non ottenuta!) della dichiarazione, da poter spendere in Occidente, che "anche i lavoratori jugoslavi sono contro Milosevic".

I lavoratori jugoslavi hanno delle buone e sane ragioni di critica e di dissenso nei confronti di un Milosevic, di una politica fallimentare proprio per quel che riguarda la tutela degli interessi proletari di fronte ai banditi delle centrali del capitale internazionale, e anche contro gli sfruttatori e i profittatori locali. Ma, queste ragioni e questi interessi sono diametralmente opposti a quelli portati avanti dai governi e dai sindacati d’Occidente. Infatti, la richiesta di una maggiore "autonomia dai partiti e dai governi" rivolta agli jugoslavi da questa genia di sindacalisti nostrani non è finalizzata a rafforzare un movimento di classe internazionale, antimperialista e anticapitalista, pronto a battersi contro i diktat del FMI e dei governi imperialisti, né a dare più forza alla lotta di classe, da parte del proletariato jugoslavo. Nulla di ciò vi è nelle loro intenzioni! La presenza Cgil, anche quella d’opposizione interna (che non ha mai denunciato la criminale azione del governo D’Alema), era lì a portare un vero e proprio ricatto: "la possibilità di ottenere un sostanzioso ‘aiuto’ dipende dal vostro impegno per la democratizzazione". Una operazione finalizzata a costruire un’"opposizione democratica", sponsorizzata dall’Italia e dai paesi aggressori, per metter su un governo-fantoccio che si pieghi ai voleri del "civile e democratico" Occidente.

Noi siamo intervenuti all’assemblea con un volantino in serbo distribuito a tutti (più di un operaio jugoslavo ce ne ha richiesto copie da distribuire in seguito) e dal palco. Il passaggio più appaludito è stato: "Senza l’Italia questa guerra non sarebbe stata possibile", con effetto liberatorio per gli jugoslavi nel sentirlo dire da uno di qui. Dal palco abbiamo, nella sostanza, ripreso quanto scritto nel volantino, che riproduciamo in parte:

"Operai della Zastava, lavoratori jugoslavi, voi che avete visto gli aerei assassini e vigliacchi della Nato distruggere fabbriche, strade e centrali, colpire ospedali e scuole, avvelenare terra e aria... voi che vi siete visti togliere la semplice possibilità di lavorare a causa della guerra... voi che avete sofferto per le vite distrutte e ferite e per le famiglie costrette a oltre due mesi di terrore ed estrema difficoltà, voi ora cercate di ricostruire le condizioni di vita, di lavoro e ambientali distrutte dall’aggressione imperialista e, per questo, cercate giustamente di dare corpo con la vostra iniziativa a un più forte movimento operaio.

Noi siamo solidali con questa rivendicazione sollevata con la stessa fierezza con cui avete resistito ai bombardamenti assassini, siamo solidali con la vostra ricerca di un reale sostegno internazionale. Nello stesso tempo siamo qui anche per discutere con voi fraternamente una questione fondamentale: quali sono le condizioni che possono offrire un reale aiuto? Quali sono le forze che possono farlo?

Due soggetti si fanno avanti per promettervi aiuto: i governi occidentali e i sindacati governativi europei. Sono i soggetti più affidabili? Basta guardare in quale baratro paesi a voi vicini sono stati portati da un certo "aiuto", quello dei governi occidentali (europei in testa) e delle istituzioni finanziarie internazionali.

La Croazia, lo stato che più si è venduto e inginocchiato di fronte ai paesi "benefattori", ne ha ricevuto in cambio "benevolenza" da parte dei nuovi padrini. Con quali risultati per la popolazione lavoratrice? Gli "aiuti" hanno portato esclusivamente allo smantellamento dell’industria locale, alla privatizzazione e all’accaparramento da parte dei pescecani occidentali di quanto è profittevole, all’aumento dei prezzi, alla disoccupazione e all’impoverimento di massa della popolazione che oggi si trova ai limiti di sussistenza. Non è un caso che i lavoratori croati siano ridiscesi in lotta anche con scioperi proprio in questi ultimi mesi contro questi drastici peggioramenti, dimostrando che il credito di Tudjman (e dei suoi padrini-padroni occidentali) è in via di esaurimento.

E che dire della Bosnia? Anch’essa "beneficiata" dall’intervento di Usa e Europa, ne è ora sotto la diretta amministrazione politica e militare (con un occupazione in piena regola). Lì i salari sono precipitati al livello più basso dell’area; imperversano mafia, traffico di droga e di armi, prostituzione, esplosa proprio con gli "aiuti" e attraverso di essi. È diventata insomma un vero e proprio protettorato suddiviso tra le potenze occidentali.

Cosa insegnano queste esperienze? Che nessun vero aiuto per il proletariato può venire dai governi occidentali. Il loro unico obiettivo è di impadronirsi delle risorse dell’area e di impoverire le popolazioni. A questo ha puntato l’opera sistematica finalizzata a disgregare la Jugoslavia con tutti i mezzi possibili. Quando poi i lavoratori non si rendono disponibili a sottomettersi ai diktat dei capitali occidentali, la guerra ha mostrato quale sorte riservano loro i governi imperialisti: quella riservata ieri al Vietnam, poi all’Irak, oggi ai popoli dei Balcani, domani... a chiunque non si pieghi ai suoi voleri.

(...) Se i governi occidentali preparano solo bocconi avvelenati, nessun vero aiuto può venirvi neanche dai sindacati ufficiali d’Occidente… Cgil-Cisl-Uil hanno appoggiato, per esempio, l’aggressione contro di voi, alla coda del governo, hanno giustificato la guerra come "contingente necessità", come "intervento umanitario per il Kosovo", chiamando i lavoratori a sostenere l’aggressione contro la Jugoslavia. Ma anche chi dall’interno di questi sindacati si è opposto alla posizione guerrafondaia delle proprie direzioni e dei governi, nei fatti non ha alzato un dito per organizzare una vera mobilitazione dei lavoratori contro la guerra, né espresso mai sostegno alla resistenza dei popoli jugoslavi, né ha mai organizzato una vera contro-propaganda sulle reali ragioni della guerra per contrastare il sentimento antiserbo diffuso da una propaganda di regime peggiore di quella fascista, mai hanno cercato di coinvolgere i lavoratori jugoslavi immigrati."

L’intervento è proseguito con la denuncia che l’aggressione occidentale ha ricacciato il proletariato jugoslavo nella miseria e, ora, con la "pace" lo ricatta con l’arma degli aiuti vincolati alla "democratizzazione" e con l’indicazione dell’unica via d’uscita possibile.

Comprendimao la forza del ricatto e che il desiderio dei lavoratori di uscire dalla situazione pesantissima possa portare a dare un sia pur minimo credito a tal genere di "aiuti". Ma la loro "ricostruzione" è solo maggiore distruzione della forza del proletariato, al quale toglie tanto i luoghi di più importante aggregazione fisica (le grandi e medie industrie) quanto tutti gli elementi di aggregazione sindacale (rendendo precari e individuali contratti, pensioni, sanità, ecc.) e politica (sopra tutto i legami "jugoslavisti").

La ricostruzione cui aspirano le masse lavoratrici va, invece, nel senso di riconquistare condizioni dignitose di lavoro e di vita. Va, dunque, nel senso opposto. Può essere perseguita all’unica condizione che esse si dotino di un’adeguata forza organizzata.

Un primo indispensabile obiettivo è di riunificare le forze del proletariato a scala jugoslava, riaffratellare tutti i proletari dei Balcani nella lotta unitaria contro l’aggressione, armata o "di pace", dell’imperialismo.

In secondo luogo, questa lotta non può essere sostenuta dalle sole masse lavoratrici jugoslave. L’avversario imperialista è molto potente, il nostro schieramento deve eguagliarlo in potenza, diffusione e organizzazione. Le masse oppresse dall’imperialismo sono sempre più poste di fronte alla necessità di insorgere contro di lui, in tutto il mondo, dal Medio Oriente alla Cina, dall’Africa all’America Latina. Ovunque c’è una "ricostruzione" da realizzare, ovunque può essere realizzata solo sulla base degli interessi specifici della classe degli sfruttati, del proletariato internazionale, in una lotta a morte contro l’imperialismo e i suoi manutengoli locali. Unificare questo fronte è, dunque, il secondo indispensabile obiettivo da perseguire, non "dopo" ma in contemporanea al primo.

Un altro decisivo elemento abbisogna per condurre contro l’imperialismo una lotta che sia all’altezza della sua forza: il proletariato occidentale. Oggi è stupidamente passivo o indifferente alle guerre del "proprio" imperialismo, ma è inesorabilmente destinato a rimettersi, a sua volta, in movimento sotto i colpi sempre più pesanti dell’offensiva capitalista, che non lo risparmia già oggi, e meno ancora lo risparmierà domani.

Tocca innanzitutto ai militanti di classe di qui, dell’Occidente, dare attuazione a un vero e costante lavoro per orientare il proletariato metropolitano verso i primi fondamentali legami di solidarietà, sostegno e di organizzazione comune con il proletariato balcanico, e non solo.

A questo i comunisti internazionalisti dedicano tutte le loro energie. Un lavoro nel quale è compresa anche la raccolta di aiuti materiali e finanziari, ma non perché si possa, con questa, arrivare a costruire uno sviluppo "indipendente" della Jugoslavia, ma solo come concreto primo passo di solidarietà, importante a condizione che sia esplicitamente rivolto ad aiutare il proletariato balcanico nella difesa della sua indipendenza di classe, politica e organizzativa. Un aiuto, quindi, che possiamo dare, come proletariato occidentale, innanzitutto lottando contro i "nostri" governi, i "nostri" stati, le "nostre" istituzioni finanziarie e militari, nazionali e sovra-nazionali, assumendo dinanzi a loro la difesa dei lavoratori e dei popoli balcanici. Una parte decisiva di questa lavoro è quella di difendere e organizzare nelle nostre strutture quei lavoratori balcanici costretti dall’imperialismo a emigrare in Occidente. (Un compagno dei Cobas segnalava, di recente, che i lavoratori serbi nel triestino, per mandare soldi nella Serbia distrutta dalla guerra, hanno iniziato a sottoporsi a ritmi e orari di lavoro tali da poter creare problemi di "concorrenza" con i lavoratori italiani. Ecco un esempio di come l’aggressione imperialista alla Jugoslavia si scarica anche contro i lavoratori occidentali, ed ecco un terreno su cui si può misurare, fin da subito, come sia di vitale interesse per il proletariato occidentale difendere le condizioni dei lavoratori dei Balcani, sia quando emigrano qui, sia contrastando il dominio imperialistico nei Balcani.)

Al di fuori di questa complessiva strada, le altre sono solo strade di umiliazione, per i popoli della ex-Jugoslavia e per i proletari d’Occidente: loro destinati alla schiavizzazione, noi chiamati a sostenere i governi schiavisti.

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Documento finale dell’assemblea sindacale "ZASTAVA"

I delegati dell’Assemblea "Zastava" (a cui hanno partecipato anche rappresentanti sindacali Italiani, Belgi, della Macedonia, della Repubblica Serbia di Bosnia, e delegati delle più importanti aziende della Jugoslavia) messi di fronte ad una situazione molto complessa inerente alle fabbriche distrutte, all’economia provata dalle sanzioni economiche pluriennali, alla disoccupazione altissima, all’insicurezza sociale ed alle condizioni difficilissime della protezione sanitaria, giudicano come condizione primaria che i sindacati, con le forze unite e con la solidarietà, costruiscano la strategia e l’azione per la realizzazione dei diritti e degli interessi dei lavoratori.

In base al dibattito, i delegati all’assemblea traggono le seguenti conclusioni:

  1. A causa della situazione complessa del paese e possibili ulteriori complicazioni con effetti indesiderati per via dell’economia in difficoltà soprattutto nelle fabbriche distrutte, a causa delle difficili condizioni sociali e materiali in cui versano i lavoratori e del malcontento crescente, l’Assemblea delle rappresentanze sindacali "Zastava" giudica indispensabile collegare la loro azione ad una maggiore collaborazione con i sindacati confederali Europei, forti e rappresentativi.
  2. A causa delle barriere e limitazioni nei necessari collegamenti a livello nazionale, l’assemblea giudica indispensabile una collaborazione più stretta tra le rappresentanze sindacali aziendali ed i sindacati confederali europei. Collaborazione che può aiutare le condizioni necessarie per rafforzare la possibilità della nostra azione sindacale per la tutela dei diritti e degli interessi dei lavoratori.
  3. Le rappresentanze sindacali della "Zastava", riunite in assemblea ritengono che il sindacato debba mantenere le proprie caratteristiche confederali e pluraliste, e che debba rappresentare gli interessi dei lavoratori di tutte le fabbriche presenti su tutto il territorio jugoslavo e delle loro famiglie, indipendentemente dall’appartenenza etnica, religiosa e politica.
  4. L’assemblea dei delegati "Zastava" fa appello ai sindacati confederali europei perché prendano posizione riguardo alla situazione nel Kosovo con lo scopo di riattivare le aziende, le fabbriche ed i posti di lavoro, di garantire la protezione economica, sociale e legale di tutti i lavoratori indipendentemente dall’appartenenza etnica, religiosa e nazionale, aiutando la ripresa di una agibilità sindacale unitaria, pluralista e confederale, di un coordinamento e di un collegamento tra i sindacati.
  5. I delegati dell’assemblea "Zastava" invitano i sindacati ed i lavoratori del Montenegro, della Serbia e del Kosovo ad unirsi in un forte blocco sindacale che faccia perno sull’organizzazione presente nei luoghi di lavoro, che si occupi esclusivamente degli interessi dei lavoratori, rifiutando ogni immischiamento politico e dei politici. Immischiamento che oggi produce solo divisioni in seno alla classe operaia ed al movimento sindacale Jugoslavo, cosa che la storia non potrebbe mai perdonarci.
  6. L’assemblea delle rappresentanze sindacali "Zastava", invita i sindacati ed i lavoratori di tutte le ex repubbliche Jugoslave ad indirizzare la nostra attività verso il collegamento economico e sociale indipendentemente dall’appartenenza etnica, religiosa e nazionale, per rafforzare così le fondamenta di una più estesa collaborazione tra tutti i sindacati e tutti i lavoratori.
  7. I delegati dell’assemblea "Zastava" fanno appello ai sindacati confederali europei per il loro pieno contributo nell’organizzazione e nella raccolta di aiuti di ogni tipo a favore dei lavoratori della "Zastava" e delle altre aziende colpite dai bombardamenti e dall’embargo economico, per sostenerli nell’affrontare una situazione sociale e lavorativa estremamente difficile in cui attualmente versano e per aiutarli così a difendere la centralità ed il bisogno di un soggetto sindacale forte, pluralista, autonomo e rappresentativo.

Kragujevac 28.7.1999
Il presidente dell’assemblea delle rappresentanze sindacali "Zastava"
Obradovic Sekula

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Un nostro compagno, al rientro da Kragujevac

Come sapete, per varie questioni tecniche, il rientro dall’assemblea del Sindacato Zastava l’ho fatto con i tre compagni dei Cobas.
Il viaggio è andato bene (…).
A parte la prolungata "fermata" alla frontiera italiana durante il rientro (più di due ore con perquisizione totale dell’auto e dei bagagli), la cosa più interessante sul piano delle nostre valutazioni politiche è quanto accaduto tra la frontiera serba e quella croata.
Passata la frontiera serba, ci siamo avviati al controllo dei passaporti da parte della polizia croata, per poi avviarci all’ispezione doganale.
Si è avvicinato un giovane doganiere croato sui 25 anni che ci ha fatto aprire il bagagliaio, e tra borse e valige si è ritrovato in mano un pacco di giornali vari, con all’interno una ventina dei volantini in serbo croato che avevamo fatto per l’assemblea e qualche nostro adesivo contro la guerra.
Il doganiere prende in mano un volantino ed inizia a leggerlo incuriosito, girandolo e rigirandolo più volte. Noi tutti ci siamo allarmati per qualche possibile complicazione che avrebbe potuto sorgere.
Ma con nostro immenso stupore, più lo leggeva e lo rigirava, più sorrideva ed accennava consensi con il capo. Tanto che un compagno dei Cobas, mentre il doganiere leggeva sempre più interessato, ha esclamato sbalordito : "Ma questo è d’accordo con quello che sta leggendo!"
Il doganiere ha riposto i volantini e ci è sembrato essersi trattenuto un adesivo, visto che si è infilato qualcosa nel taschino della divisa.
Ci ha fatto un ampio sorriso, ha allungato una amichevole pacca sulla spalla all’autista e ci ha salutati con un forte "Ciao!"
Questo episodio, per quanto minimo, sta ad indicare la validità delle nostre positive valutazioni seguite alle partecipatissime manifestazioni del 1° maggio in tutta la Croazia, ovviamente ignorate da tutta la stampa occidentale.
In queste avevamo colto tre elementi importanti nello sviluppo della dinamica dello scontro di classe: un malumore in forte espansione contro il governo di Zagabria, il farsi strada dell’idea che "prima si stava meglio "(riaffiora quello jugoslavismo di cui parliamo), e l’associazione di essa a una certa simpatia verso la "povera gente" serba aggredita. Ed è ancora più positivo che si sia trattato di un giovane, e non di un "vecchio nostalgico" (un doganiere poi!), segno della crescente disillusione verso l’Occidente che si sta diffondendo anche tra le nuove generazioni.
Per questo mi sembra valido segnalare l’episodio ai compagni, che, per quanto minimo, può essere inquadrato in questo senso.

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LA NOSTRA CAMPAGNA DI SOTTOSCRIZIONI
PER I LAVORATORI DELLA ZASTAVA

La raccolta di fondi per il sostegno ai lavoratori jugoslavi è un terreno d’iniziativa che va al di là del mero dato finanziario. Anche attraverso di essa si ha la possibilità di porre ai lavoratori la concreta necessità di una scelta di campo tra l’imperialismo e le masse lavoratrici jugoslave. Per lo meno, tale è per noi, che l’abbiamo portata avanti come parte integrante della nostra attività contro l’aggressione occidentale nei luoghi di lavoro che raggiungiamo, nelle iniziative a cui abbiamo partecipato o che sono state da noi promosse. Diamo di seguito un elenco dei momenti più significativi, informando che la somma raccolta finora è di oltre 20 milioni di lire.

Roma: Ufficio Italiano Cambi, Iccrea, Bnl, Banca di Roma, Ministero dell’Industria, Fonspa, tre scuole della capitale, concerto contro la guerra in p.zza Vittorio del 10.5, nostra pubblica assemblea del 28.5; Napoli: manifestazioni di Bari contro la guerra, 2 nostre assemblee pubbliche; Torino: Fiat Mirafiori, Università e Policlinico, Anas, Uffici Finanziari, diffusioni del nostro materiale al mercato di c.so Racconigi; Milano: Itcs "P.Levi" di Bollate, sciopero e manifestazione del 13.5, manifestazione delle Rsu del 22.5 , corteo sul Kurdistan del 3.7, 3 diffusioni dei nostri materiali al mercato di v. Papiniano, 2 nostre assemblee pubbliche contro la guerra; Venezia: fabbrica Lofra (PD), Casa di riposo "Riviera del Brenta" a Dolo, Università "Ca’ Foscari", assemblea dibattito indetta dalla Cgil al capannone del Petrolchimico il 22.5, assemblea-proiezione video "Sindrome del Golfo" il 24.5, assemblea a Vicenza indetto da "Un ponte per…" l’1.6, manifestazione ad Aviano del 6.6.; Como: Mantero, Carcano, Dana, Gasfire, Cosmit, Ratti, Artsana, Uffici Finanziari, Comune, Casa di Riposo di Erba, manifestazione "Cittadini del mondo per la pace" (maggio ’99). Segnaliamo inoltre che i nostri compagni hanno proposto al direttivo della Filtea di Como di contribuire alla raccolta di fondi e che il direttivo ha inviato 5 milioni.

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