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CONTRO LA CRESCENTE OFFENSIVA PADRONALE, COSTRUIAMO UNA COERENTE RISPOSTA PROLETARIA.

Indice

Fine della concertazione c’è scritto nel programma confindustriale, e i suoi punti sono: superamento del contratto unico nazionale; fine del doppio livello di contrattazione; abbandono di qualsiasi velleità di riduzione dell’orario di lavoro e sanzione della sua flessibilità e prolungabilità; completamento la liberalizzazione del mercato del lavoro e fine degli ostacoli al licenziamento; definitivo abbandono delle pensioni di anzianità e sistema contributivo per tutti. Insomma, sanzione giuridica di quanto già conquistato sul campo e ulteriore sfondamento d’ogni residuo vincolo unitario per avere mano libera verso i lavoratori.

La realizzazione di questo programma ha necessariamente i suoi risvolti sul piano politico e istituzionale.
Il governo D’Alema, infatti, nonostante gli sforzi per proporsi quale conseguente rappresentante degli interessi della borghesia italiana, sul piano interno e internazionale (v. Jugoslavia e Timor Est), non sembra in grado di gestire un tale accelerazione dell’attacco antiproletario. Già sono evidenti le grandi manovre di accerchiamento per favorirne la caduta, o almeno uno spostamento ancor più a destra dell’asse politico.

Al sindacato non è riservata sorte diversa. Nonostante le prove di affidabilità e di sensibilità alle compatibilità, esso viene considerato comunque un ostacolo da rimuovere, o quantomeno da ridimensionare ulteriormente, sulla strada di un acuito attacco ai lavoratori.

I referendum dei panzer pannelliani sono la dichiarazione esplicita di questo attacco (ne trattiamo alle pp. 26-27). Le pressioni per la legge antisciopero e la fronda sulla nuova legge sulla rappresentanza sindacale sono ulteriori passaggi di questa manovra di accerchiamento.

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La marcia del gambero del sindacato

All’interno della Cgil non manca la percezione di cosa si va preparando. Alle richieste a tutto campo del padronato, la Cgil risponde con delle concessioni sulle pensioni, pensando così di creare uno sbarramento contro le rivendicazioni confindustriali di eliminare il contratto nazionale. L’intenzione sarebbe di cedere su questioni "accessorie" per mantenere la sostanza di quegli elementi che danno unità alle condizioni dei lavoratori.

Ma l’esperienza di questi anni dimostra che pensare di mantenere la forza e l’unità dei lavoratori arretrando progressivamente, innanzitutto proprio sui principio, crea proprio le condizioni più favorevoli per nuovi e più profondi affondi da parte del padronato.

Che senso ha attestarsi sulla difesa di principio dell’unità di trattamento contrattuale, quando poi si lasciano passare accordi locali e aziendali che ne sono la pratica negazione? Sotto tantissimi accordi degli ultimi anni che vanno in questa direzione c’è la firma della Cgil. Quando vi è un soprassalto di orgoglio che spinge a non firmare, come a Milano, messa a posto la coscienza, si passa alla "gestione" dell’accordo.

La sinistra sindacale esprime sicuramente una denuncia più puntuale dei livelli di arretramento subiti dalla classe operaia e dei veri obiettivi padronali, ma, quando deve prospettare risposte per organizzare una difesa conseguente, non fa altro che aprire il libro dei sogni. Coerentemente con l’impostazione cossuttiana e bertinottiana, da una parte denuncia l’irriformabilità del sistema capitalistico e dall’altra propone misure per limitare gli eccessi del liberismo imperante, senza andare oltre l’orizzonte di un "capitalismo dal volto umano" e un neo-keynesismo impotente. L’aggravante è che non solo si vende fumo sul piano delle prospettive, ma si pensa di affidare l’eventuale controllo del capitalismo selvaggio a istituzioni quali il Fmi o la Banca Mondiale (ovviamente riformati), cioè esattamente a quegli organismi che sono ancor più determinati della Confindustria nella volontà di condurre a fondo l’attacco al proletariato in Italia.

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Come conquistare l’autonomia dal governo?

Con queste premesse politico-sindacali è veramente difficile immaginare che una difesa efficace possa essere abbozzata dalle organizzazioni riformiste. Questo non significa escludere del tutto l’eventualità del ricorso alla mobilitazione, anche generale, da parte loro di fronte alle crescenti rivendicazioni padronali. Vogliamo solo sostenere l’impossibilità per questo sindacato del ricorso a una battaglia che attacchi alla radice la forza dell’offensiva padronale: in primo luogo gli effetti della crescente disoccupazione, provocata dalle difficoltà del meccanismo d’accumulazione a scala mondiale e dalle continue ristrutturazioni; in secondo luogo le differenze di trattamento che via via si sono accettate in nome della competitività e della "creazione di nuovi posti di lavoro"; ultimo, ma non per importanza, il vantaggio derivante ai padroni dall’aver realizzato una quasi completa mondializzazione del capitale, delle merci e dei loro movimenti, mentre la classe operaia resta di fatto ancorata a una difesa -quando va bene- nazionale del prezzo e dell’utilizzo della propria forza lavoro.

Mettersi allora su un terreno di reale difesa implica il rifiuto di subordinare la difesa della condizione operaia all’andamento dei profitti, disconoscere e combattere le priorità dettate dalle leggi del mercato, e soprattutto implica l’impostazione di un’azione internazionalista che punti a organizzare la classe operaia mondiale unitariamente contro l’intera classe dei capitalisti.

In pratica implica un sindacato non sottomesso alla difesa dell’ordine borghese, ma espressione degli autonomi e antagonistici interessi del proletariato. Ecco qual è l’unico modo per conquistare l’autonomia sindacale dal governo: conquistandola dal capitalismo come sistema sociale, di cui il governo è il "comitato d’affari". La progressiva integrazione degli attuali apparati sindacali alle esigenze di sopravvivenza del capitalismo hanno però reso queste organizzazioni geneticamente incapaci di mettere al primo posto la difesa conseguente degli interessi di classe, e nessuna operazione di bio-ingegneria ne potrà trasformare DNA; tantomeno se il tessuto che si vuole innestare è segnato dalle stesse tare cromosomiche, come nel caso della sinistra sindacale.

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Che fare, dunque?

Il primo dato da cui partire, per un serio lavoro per uscire dal pantano in cui si trova il proletariato, è la "banale" consapevolezza che le condizioni per la ripresa della lotta proletaria, anche per le responsabilità storiche e contingenti del riformismo, sono difficili.

È puro illusionismo teorizzare che basti costruire nuovi contenitori organizzativi per superare di getto tutti gli ostacoli. I tentativi sin qui realizzati dimostrano quanto questa strada sia una pericolosa semplificazione, spesso con conseguenze demoralizzanti e disorganizzanti non minori di quelle prodotte dal riformismo che si intendeva combattere. E la ragione di ciò è che anche le esperienze più avanzate di neosindacalismo, pur esprimendo forme di lotta più radicali, non sono riuscite a superare una logica "aziendalista" che ne ha minato le possibilità di estensione e le potenzialità delle stesse vertenze sostenute. Una simile dinamica non è dipesa solo dai limiti di partenza su cui nascevano tali esperienze, ma anche da una situazione economica e politica generarale che rende i padroni oggettivamente più forti. Al di là delle buone intenzioni, quando bisogna reagire al tentativo di chiusura della fabbrica, di consistenti licenziamenti, di allungamento degli orari o affrontare qualsiasi altra contrattazione aziendale, la solitudine in cui è condotta la lotta e la sproporzione dei rapporti di forza, spingono ineluttabilmente gli stessi lavoratori mobilitati a cercare soluzioni "specifiche", compatibili con le esigenze aziendali, quando non addirittura in competizione con altri stabilimenti.

È una pressione oggettivamente talmente forte che non riescono a sottrarsi ad essa nemmeno le avanguardie più combattive e coscienti, con effetti negativi cumulativi circa le possibilità di estendere la lotta, di trasferirla su un piano più generale. Da qui la dinamica perversa che fa spesso assistere a mobilitazioni locali molto combattive accompagnate da una proposizione ossessiva di obbiettivi "credibili" e "praticabili", il che significa sempre inevitabilmente "compatibili" con le esigenze aziendali, la ricerca di possibili alleati nelle istituzioni nazionali e soprattutto locali invece che tra i lavoratori soggetti allo stesso tipo di attacco.

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Il principale ritardo è sul piano politico…

Non diciamo ciò per disprezzare tanti generosi tentativi di reazione classista all’offensiva padronale, ma per invitare a un serio bilancio di tali esperienze e indirizzare in modo più proficuo le energie utilizzabili in questa direzione.

Di lotte, nonostante la quasi totale mancanza di mobilitazioni generali, ve ne sono state anche in questi ultimi due o tre anni, e ve ne saranno in futuro, perché la lotta di classe non può essere esorcizzata da nessun artificio borghese né dalla disponibilità dei sindacati confederali, tantomeno quando i padroni devono spingere ancora più in profondità l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro proletarie.

La questione decisiva è capire perché tali lotte restano isolate tra loro, perché sono continuamente risospinte nell’ambito delle logiche delle compatibilità, perché non riescono a trovare uno sbocco unitario e generale.

Si ritorna quindi alle difficoltà oggettive della fase, a quei nodi da aggredire per porre le basi di una reale ripresa proletaria. Nodi che non è possibile affrontare subendo passivamente i valori dell’ideologia borghese, restando ancorati a una impostazione solo "sindacale", o peggio ancora aziendalista dello scontro. Essi rimandano alla questione dei rapporti dell’intero proletariato nei confronti della borghesia e non solo sul piano nazionale; rimandano alle condizioni politiche ed economiche che oggi rendono più forte la borghesia. In breve rimandano alla necessità del recupero di una posizione indipendente del proletariato su tutti gli aspetti della società, di una ricostituzione del proletariato in quanto classe con interessi autonomi e antagonistici a quelli della borghesia, e quindi in partito politico.

Non è una formuletta magica ma l’estrema sintesi dei compiti che debbono, oggi, affrontare i proletari più coscienti per mettere l’intera classe in condizione di reagire alle estreme difficoltà della fase, a cominciare da quelle relative alla difesa conseguente delle proprie condizioni immediate. Né è un compito agevole, visti i guasti prodotti dall’attacco capitalistico e dalla lunga opera di traviamento del riformismo. Ma da qui occorre ripartire per non condannarsci a un inconcludente lavoro di Sisifo.

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…e da qui bisogna ripartire

Un grande passo in avanti sarebbe rappresentato dal delinearsi di una tendenza tra i lavoratori a far convergere le tante energie oggi disperse verso un unico piano programmatico e per ridare vita a una tendenza realmente classista nelle file del proletariato. Una tendenza certamente caratterizzata dall’essere schierata in prima linea nelle singole battaglie che la classe operaia deve continuamente ingaggiare, ma anche in grado di portare avanti quotidianamente, e a prescindere dall’esistenza di mobilitazioni, il punto di vista generale degli interessi del proletariato su tutte le questioni della società capitalistica.

Solo il delinearsi di una spinta in tale direzione può consentire di condurre una battaglia, almeno nelle principali sezioni del proletariato, per fargli recuperare fiducia nelle proprie forze, per dare credibilità a obiettivi generali capaci di affasciarne le energie in uno sforzo unitario contro l’offensiva borghese, per incardinare le battaglie quotidiane e riaffermare una prospettiva di superamento della società divisa in classi e fondata sullo sfruttamento.

È la dimensione stessa dello scontro in atto a imporre, persino per difendere le condizioni immediate di vita e lavoro, la necessità di una risposta unitaria della classe, di una reazione che non può limitarsi al solo piano sindacale, sia perché l’attacco è oggi su tutti i fronti sia perché la realizzazione di un movimento generale con rivendicazioni unitarie, è di per sé un fatto eminentemente politico.

Certo gli obiettivi che discendono da una simile impostazione saranno inevitabilmente di scontro con le esigenze della borghesia, ma rappresentano l’unica strada percorribile se si vuole mettere al primo posto la ricomposizione unitaria della classe operaia. Solo la consapevolezza che la difesa dallo sfruttamento crescente e la tutela della integrità fisica della classe nel suo insieme viene prima e sopra qualsiasi esigenza di competitività aziendale e nazionale può determinare le condizioni di una seria resistenza all’offensiva padronale.

Non intendiamo sostenere che una tale battaglia sia destinata a immediato successo, che vorrebbe dire negare le difficoltà oggettive prima richiamate, ma di sicuro questo è l’unico terreno che può portare ad una inversione di rotta di fronte all’attuale divisione e frantumazione delle forze proletarie.

Naturalmente questo impegno deve qualificarsi da subito per una impostazione internazionale ed internazionalista. Le esperienze storiche del proletariato hanno già abbondantemente dimostrato come sia improponibile e fallimentare la realizzazione del socialismo in un solo paese, ma oggi, di fronte alla globalizzazione crescente del capitalismo, diventa impraticabile sul piano nazionale anche la semplice difesa immediata paese per paese. Gli stessi padroni e la stampa borghese ce ne spiegano (pro domo loro) di continuo le ragioni. Per quanto sembri compito difficile da assolvere, vanno ricercate tutte le occasioni per realizzare un collegamento internazionale stabile tra proletari impegnati nella identica battaglia. Senza contare che oggi in tutti i principali paesi capitalistici va crescendo la presenza di un proletariato multi-etnico e multi-nazionale, che dà la possibilità e impone la necessità di un lavoro per l’immediato coinvolgimento nella lotta contro il comune nemico e l’immediata integrazione nelle nostre organizzazioni.

Come si vede c’è tanto da fare. La difesa delle pensioni e della sanità dagli interminati attacchi, la lotta alla diffusione della precarietà e flessibilità, la resistenza alla destrutturazione di ogni organizzazione operaia, sono terreni su cui dare avvio, in concreto, al rilancio dell’iniziativa proletaria. Un’iniziativa che può essere efficace solo se si rivolge a tutto il fronte dei lavoratori, indipendentemente dalla loro provvisoria collocazione politica, solo se tende a riunificare ciò che l’azione borghese e governativa sta dividendo: i giovani con sempre meno tutele e gli immigrati che non le hanno mai avute, dagli operai che tuttora godono di residue "garanzie", e tutti costoro dai lavoratori degli altri paesi, a cominciare dalle masse super-sfruttate dei paesi oppressi, tenute sotto catene dalla violenza armata dell’imperialismo. Un’unità del fronte di lotta, interno ed internazionale, che, indispensabile per ogni singola battaglia, è perseguibile solo rifiutando, fin nei dettagli, l’accondiscenza del riformismo verso le esigenze nazionali e, in ultima istanza, verso le esigenze capitaliste.

A questo lavoro, che non identifichiamo con quello della nostra organizzazione, ma di cui ci sentiamo parte, come OCI intendiamo dare tutto il nostro militante sostegno, per contribuire da comunisti alla battaglia che porta alla soppressione del capitalismo e ad una società senza classi.

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