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Referendum radicali:
PERICOLO SCAMPATO?

Tutta la sinistra ha tirato un sospiro di sollievo: "metà dell’opera" è fatta grazie al "serio colpo di freno dato dalla Corte Costituzionale" ai referendum antisociali. Così sintetizza la Rossanda sul manifesto il sentire comune di tutta un’area politico-sindacale e sicuramente di una parte degli stessi lavoratori. L’altra metà, è dato capire, la farà il cittadino-lavoratore deponendo da bravo la scheda nell’urna il 16 aprile. Tutto bene allora? No, decisamente, su tutti i fronti!

La sentenza della Corte Costituzionale ha sicuramente ridotto l’impatto immediato dell’iniziativa della banda Pannella-Bonino. Ma il senso complessivo di un attacco in cui i radicali rappresentano solo la testa d’ariete di un fronte ben più ampio e consistente, resta. Così come restano e si approfondiscono la precarizzazione del lavoro e la frattura fra lavoratori, che rappresentano il vero obiettivo della campagna radicale, con o senza referendum. Altro che scampato pericolo! Il pericolo c’è e diventa sempre più grosso. Aggravato, diciamo noi, proprio dall’appello alla calma che, nei fatti, e complici le rassicurazioni che si spandono a "sinistra" (tanto costano poco), risulta rafforzato dal pronunciamento dei giudici: esso serve solo ad addormentare ulteriormente i lavoratori e a congelare anche quel minimo di risposta che alcuni settori avevano abbozzato. Un altro capolavoro del governo "amico"!

Già ci fischiano le orecchie: "Ecco, i soliti duri e puri! Nelle condizioni date abbiamo perlomeno limitato i danni". Non è così. E lo diciamo con estremo senso della realtà. Andiamo a vedere i fatti.

1) L’iniziativa referendaria è in gran parte svuotata, ma non perché l’abbiamo stoppata noi lavoratori con la mobilitazione, con la lotta, con l’indispensabile ritessitura di legami tra lavoratori anziani e giovani, "fissi" e precari, occupati e disoccupati, italiani e immigrati. No, è successo invece che abbiamo perso un’altra occasione per batterci sul terreno decisivo della difesa delle condizioni di lavoro e di vita per tutti, ricostruendo le basi per un’organizzazione unitaria dei lavoratori contro le divisioni e contrapposizioni al nostro interno che invece stanno crescendo e delle quali si fa forte la propaganda radicale e confindustriale.

2) I contenuti, se non i modi, dell’offensiva radicale sono stati assunti in pieno dal governo e dai Ds (essendo nella sostanza già loro proponimenti). Questi ultimi hanno preso spunto dall’iniziativa pannelliana, elogiandola esplicitamente per questo, per "porre il problema sul tappeto e farne un punto dell’agenda del governo". Di cosa parlano? Esattamente di quello che vuole la Confindustria: ulteriore flessibilizzazione del lavoro e "allentamento" dei vincoli alla licenziabilità, oltre che di totale (contro-)"riforma" dello stato sociale. Solo Cofferati può dare a intendere (agli allocchi) di credere a D’Alema quando questi dice che il famigerato documento scritto a quattro mani con Blair non è posizione ufficiale del governo. Aprire finalmente gli occhi e spalancare le orecchie: lì si parla financo, esplicitamente, di gabbie salariali regionali (e di altre chicche di questo tipo)! Il nodo del contendere con i radicali verte esclusivamente sulle modalità e sui tempi con cui far ingoiare le medicine amare già messe in cantiere. Ma continuare a non reagire con l’autogiustificazione che è meno peggio l’attacco soft di quello hard equivale ad aprire la strada proprio a quest’ultimo.

3) Il massacro sociale che ci vogliono riservare i pannelliani è già in buona misura operante. Qui il campanello d’allarme dovrebbe suonare fortissimo, e invece ci si para gli occhi. La frattura tra "garantiti" e precari, tra operai e giovani, ecc. è evidente, ampia, crescente. Chiunque può vedere cosa sta succedendo sul mercato del lavoro se solo ha un figlio o parenti e conoscenti più giovani o, per altra qualunque ragione, svantaggiati rispetto al lavoro. (In Lombardia, per fare uno tra mille esempi possibili, sei-sette assunzioni su dieci sono oramai a tempo determinato.) Nessun referendum cassato o addirittura "vinto" ci salverà da questa massiccia e gravida di conseguenze divisione all’interno della nostra classe. Divisione che inizia a far sentire i suoi effetti anche su quelli che fino a poco tempo fa si sentivano al sicuro. E ancor più sarà così in un futuro nel quale -continua a dirci il capitale (solo che vogliamo sentirlo)- nulla più deve essere garantito. Il perché di questa crescente e inesorabile (se non la stoppiamo) precarizzazione è presto detto: i lavoratori sono anelli di una medesima catena, per cui o utilizzano ciò per rafforzarsi tutti e ciascuno, oppure questo dato viene sfruttato dalla borghesia per peggiorare con la condizione degli uni quella degli altri. Soluzioni di mezzo sono sempre meno fattibili.

Se le cose stanno così -e stanno realmente così- allora risulta a dir poco complice di questo peggioramento chi dice ai lavoratori: scampato pericolo, fiducia nel parlamento e nel responso delle urne, e per il futuro flessibilità selvaggia no, flessibilità contrattata sì. La responsabilità del sindacato "ufficiale" è enorme perché non fa nulla per sanare la frattura del mondo del lavoro, non organizza i precari, non si rivolge ai giovani, non spiega agli anziani che è essenziale ricucire con i meno "garantiti" per salvare quello che rimane di queste "garanzie". Non lo fa perché porta avanti una politica di sottomissione degli interessi dei lavoratori a quelle esigenze di competitività delle aziende e della nazione che è proprio il fattore scatenante la flessibilizzazione del lavoro. Di qui il suo silenzio e, peggio, il suo avallo alle politiche di precarizzazione. Di qui il suo convogliare le esigenze di difesa dei lavoratori verso il governo "amico" e il parlamento con effetti micidiali di smobilitazione, disorganizzazione, demoralizzazione.

Noi al contrario diciamo che contro i veleni che ci vogliono propinare sono utili solo antidoti forti.

Un antidoto consiste nel guardare in faccia la realtà. Perciò -una volta denunciata la complicità sindacale- ci rivolgiamo da un lato agli operai meno giovani, agli occupati "fissi" dicendo loro con franchezza: oggi giustamente siete preoccupati per quello che l’iniziativa radicale preannuncia, per il rischio reale di estensione della precarizzazione anche al vostro lavoro, alla vostra vita; ma dove eravate quando sono state introdotte le prime forme di flessibilità ai danni dei giovani, dei vostri figli? Dove siete quando D’Alema le estende e potenzia? Dove siete quando si ricattano in tutti i modi gli immigrati? Questo "silenzio" si sta ritorcendo contro di voi sia perché lascia mano libera alle misure di governo e padroni, sia perché offre "buoni" argomenti agli sponsor della precarizzazione pronti ad additare nei vostri "privilegi" la causa della disoccupazione dei giovani. Non c’è scampo al peggioramento delle vostre condizioni dentro e fuori il posto di lavoro senza una battaglia comune per la difesa delle "rigidità" e tutele collettive laddove ancora resistono, e nello stesso tempo per la loro riconquista ed estensione a chi non ne è coperto. L’alternativa, secca, inesorabile, è tra questa battaglia e la crescente concorrenza tra lavoratori con la perdita anche di quel poco che si è conservato.

Per mettersi sulla prima strada è inoltre indispensabile maturare e consolidare altri due elementi di battaglia sindacale e politica. Primo: si tratta di mobilitarsi realmente, in prima persona per chi è oggi "precario", e non rivolgergli semplicemente un appello aspettando una sua scesa in campo, e per poi magari rimanere "delusi" dell’esito; si tratta di iniziare la lotta anche sapendo che in un primo momento essa non vedrà coinvolti i soggetti invitati a scendere al proprio fianco. Non si possono porre condizioni a chi finora è stato escluso da tutele e da un minimo di organizzazione sindacale e lavora in condizioni di maggiore ricattabilità. Piuttosto diventa urgente iniziare a rivolgersi a questi "nuovi" lavoratori per organizzarsi unitariamente rompendo le barriere "spontanee" o tirate su ad arte.

Secondo: è fondamentale dotarsi di una politica contrapposta a quella che ha portato a chiudere gli occhi quando si bastonavano e bastonano giovani, precari, immigrati, donne, lavoratori di altri paesi aggrediti dal "nostro" governo e supersfruttati dai "nostri" padroni (e costretti per questo a emigrare vendendo per quattro soldi il proprio lavoro). Si tratta di buttare al macero la politica di rispetto delle compatibilità e sottomissione ai dettami del mercato -raccomandata dal governo e accettata nella sostanza dai sindacati- che inducono concorrenza e divisione tra i lavoratori. Bisogna rompere con la linea delle direzioni sindacali sempre prone alla nazione sull’arena della "pacifica" competizione economica come sui teatri (sempre più numerosi) di guerra aperta ai popoli oppressi. Questa linea non può che portare i lavoratori allo sbaraglio, come li sta già portando alla disorganizzazione e all’arretramento continuo dalle postazioni conquistate con anni di lotte.

Vuol significare il nostro ragionamento che la battaglia per il NO già oggi non può interessare i giovani e i precari? Al contrario. Essa (e tutti le altre questioni sul tappeto) può e deve interessarli, non perché si voglia chiedere loro di difendere le garanzie degli "altri", ma perché si tratta di difendere se stessi da una liberalizzazione che li vuole completamente esposti allo strapotere del mercato. Chi li invita alla passiva fiducia in questo strapotere o alla attivizzazione contro gli altri settori di lavoratori, presunti colpevoli della loro situazione disagiata, in realtà vuole condannarli ad una sudditanza completa, ciascun singolo isolato e possibilmente contrapposto agli altri singoli, e tutti proni al dio profitto. Ma questa situazione non è necessariamente definitiva. Segnali di un possibile processo nella direzione opposta già ci sono (soprattutto se si guarda al quadro internazionale). Il disagio, il malessere, l’estremo senso di precarietà del futuro da cui questi lavoratori sono gravati non può allora essere lasciato alla propaganda reazionaria e antiproletaria di radicali e soci, ma deve diventare un elemento cui i militanti di classe e i lavoratori più coscienti devono aggrapparsi per gettare un ponte verso un settore che, non solo quantitativamente, rappresenta una buona fetta del futuro della nostra classe.

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