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Caso Haider

AUSTRIA, GERMANIA, TEDESCHI… RAZZISMO INNATO?

Finis austriae, superimperialismo all’attacco
Il "nuovo" di Haider: il vecchio arsenale del capitalismo demo-fascista

Quello dell’Austria sotto la minaccia fascista è uno spot propagandistico che non riguarda affatto Haider ed il suo abominevole movimento, ma è volto a preparare gli animi degli imbecilli pronti a muoversi a comando della propaganda borghese più bieca contro il "tedesco" razzista per natura. La Germania è una malattia dello Spirito, scriveva Croce. Il blocco capitalista tedesco è una malattia concorrenziale per il grande capitale Usa e perciò va curata a tempo imbastendo una propaganda da lupi (non contro agnelli, beninteso, ma contro altri lupi) per stroncare l’avversario e, con esso, quel tanto di Europa capitalistica in grado di infastidire il business globale americano che, per forza di cose, ha nel blocco tedesco il suo asse portante. Niente di meglio se, in quest’operazione, che comincia dall’Austria per portarsi poi più in là, si può trovare all’immediato la solidarietà attiva di forze europee disposte a far le bucce a questo blocco per sordidi motivi di bottega "nazionale" senza accorgersi di minare, con ciò, la stessa Europa. E meglio ancora se uno Schroeder, in fregola di legittimazione da parte degli Usa, vi si accoda vigliaccamente.

Ma il fatto più grave, in tutto questo, è proprio il motivo strisciante dell’equazione tedesco = pericolo fascista, il cui scopo è di dividere e contrapporre tra loro le varie frazioni del proletariato europeo inchiodandole ad una prospettiva "antifascista" interclassista alla coda delle rispettive borghesie e, in buona sostanza, strumentalizzandole alle finalità Usa. I soli tedeschi buoni sono, per l’imperialismo Usa, quelli disposti a fare atto di pentimento eterno per le colpe (borghesi) passate, e qui ben soccorre la propaganda israeliana col suo ricorrente uso ricattatorio dell’Olocausto: non per "ricordare" e prevenire, ma per prostituire le vittime del passato ad un immondo interesse di bottega attuale dell’imperialismo.

Ed allora alcune cosucce vanno propedeuticamente rimesse in ordine subito.

Non si può parlare dei casi attuali dell’Austria senza ricordare in primo luogo come qui, ed ancor più in Germania, abbiamo avuto in passato la presenza di fortissimi movimenti di classe spintisi sino a tentativi di conquista del potere rosso e protagonisti, anche dopo la sconfitta di tali tentativi, di un’eroica (e dimenticata, e vilipesa) resistenza di classe al fascismo; e come questa resistenza sia stata prima fiaccata e poi prostituita dallo stalinismo a servizio dell’imperialismo per gli interessi esclusivi dello stato russo. All’indomani della seconda guerra mondiale ciò che comunque sopravviveva di questi movimenti nella forma sfigurata del "comunismo" stalinizzato è andato rapidamente dissolvendosi di fronte alla realtà della nuova sistemazione imperialistica mondiale, contrassegnata dalla divisione dell’Europa in due "blocchi" di potenze capitalistiche contrapposte sulla base di puri interessi statali. Il proletariato di Austria e Germania, posto come estraneo e nemico da papà Stalin, non è stato in grado di resistere ulteriormente nel solo modo possibile, cioè rilanciando il messaggio internazionalista oltre e contro i confini bloccardi (e nessun’altra sezione del proletariato europeo ed internazionale è stata in grado di venirgli in soccorso, a cominciare dall’Italia del "più grande –ed antitedesco per antonomasia- partito comunista europeo occidentale"). Esso si è trovato, perciò, nella condizione di essere risucchiato dalla ricostruzione capitalistica nell’area e dai suoi evidenti vantaggi comparativi rispetto alle condizioni dell’Est europeo sotto dominazione moscovita. L’ultima, definitiva mazzata alle residue possibilità di una ripresa di classe si consumò con lo schiacciamento da parte di Mosca della "Comune di Berlino" del ’53, dimostrazione palmare che il "comunismo" si schierava contro i proletari e contro i tedeschi e conveniva tagliare definitivamente i ponti con esso. Ricordiamo di sfuggita che ancora nel ’48 il PC austriaco, ad esempio, poteva contare su 150.000 militanti, rapidamente volatilizzatisi negli anni successivi proprio grazie allo stalinismo. E non sarebbe stato questo un bell’antidoto contro tutti gli haiderismi a venire se non fosse stato scientemente distrutto?

Finis austriae, superimperialismo all’attacco

Gli anni della ricostruzione e del successivo boom hanno trovato l’Austria nella condizione capitalisticamente favorevolissima di fungere da paese ponte tra l’Occidente e l’Est europeo come intermediario di traffici mai arrestatisi tra i due "sistemi", alla faccia di tutte le cortine di ferro, e, per il "popolo" austriaco, ne è venuto un ulteriore vantaggio in termini di affari e benessere. Piccola, ma felix Austria, capitalisticamente operosa, con un proletariato trainato dalla locale socialdemocrazia a godere delle briciole dei vantaggi dello sviluppo dopo opportuna castrazione di ogni velleità classista. E, nella divisione dei compiti europei, essa poteva, nel contempo, allargare il suo raggio d’azione ad Est e a Sud proponendosi come partner "indipendente" per gli uni e gli altri, solleticando le spinte delle, pur compresse da Mosca, borghesie di paesi quali la Cecoslovacchia, l’Ungheria e, più giù, Slovenia e Croazia "schiacciate" da Belgrado a rendersi esse stesse "indipendenti" e stringendo, assieme alla Baviera, con le regioni orientali d’Italia un fruttuoso rapporto "interregionale" (la tanto decantata Alpe Adria).

Con la caduta del muro di Berlino questa funzione-ponte è venuta decisamente meno ed, anzi, la sua sopravvivenza fa da ostacolo alla marcia di un capitale europeo che non trova più ad Est ostacoli diretti (perlomeno sino a Mosca). Quell’Austria non serve più. Al contrario: la marcia delle grosse concentrazioni imperialiste vero l’Est e i Balcani tende a sbarazzarsi dell’"intermediazione" austriaca, per non parlare poi di suoi sogni di micro-potenza regionale. Né ad Est né nei Balcani Vienna ha più da giocare un suo ruolo da "protagonista"; resterebbe ora solo da tagliarle le ali Alpe Adria per rimetterla in riga (e rimettere in riga anche i nostrani regional-indipendentisti del Nord-Est). Questa situazione, di cui stiamo appena appena assaggiando i primi frutti, tende naturalmente a provocare delle reazioni nelle aree destinate all’esproprio. Non è un caso che questo si chiami Haider in Austria o Bossi in Nord Italia: entrambi i movimenti sono naturalmente portati ad insorgere, in nome dei propri interessi capitalistici, contro la compressione e lo schiacciamento determinati dalla logica imperialista sino ad evocare espressamente (lo vediamo qui da noi con Bossi), in modo del tutto demagogico, la necessità di lottare contro le corporations, cioè… contro l’imperialismo. Il problema, naturalmente, è vero ed interessa, o dovrebbe interessare, dal suo punto di vista, anche, ed in primo luogo, il proletariato, ma è altrettanto ovvio che, nelle mani dei micro-capitalisti nazionali o regionali, l’appello "anti-imperialista" va in controsenso rispetto al nostro ed è destinato a scarse fortune e pessime manifestazioni di sé. Tanto Haider che Bossi mirano a difendere ciò che, stando alle leggi del capitalismo, è indifendibile come sanno e possono: realizzando attorno a sé un blocco "popolare" omogeneo, entro il quale il proletariato sia compreso come parte del popolo, ed anzi come la sua parte più attiva, se del caso, per la difesa del capitalismo "patrio" minacciato dallo strangolamento "esterno".

Di qui, per "ritrovarsi come popolo" e "nazione indipendente", tutta una serie di operazioni demagogiche e reazionarie: la limitazione dei diritti civili nella loro pienezza per gli immigrati ("accolti" sì, com’è necessario all’economia "patria", per quanto riguarda il lavoro, ma secondo "regole" rigidamente corrispondenti alle sole proprie necessità e sottoposti al proprio "ordine"), lo sciovinismo antixenofobo, anche se non necessariamente portato agli estremi della contrapposizione violenta e, va da sé, una cortina di ferro innalzata contro l’autonomia di classe. Il che può benissimo fare il paio con l’esibizione di una politica estera pro domo sua di contrapposizione a determinati atti imperialistici altrui, come si è verificato da noi con la scesa in campo della Lega contro la guerra alla Jugoslavia, spinta sino all’aperta solidarietà con Belgrado in quanto emblema di un attacco delle grandi centrali imperialistiche alla "comune (e separatissima) indipendenza delle piccole nazioni", non senza echi in Austria. (Una contrapposizione, giova ripeterlo, che a noi interessa molto a misura che essa sollecita, in senso deviato, interessi ed istinti, anti-imperialisti sul serio, che permeano i settori di classe provvisoriamente legati a simili movimenti e che spetta ai comunisti setacciare e far crescere nella propria direzione mettendoli in contraddizione con le direttrici di questi movimenti. I comunisti, evidentemente estranei sul piano ideologico a questo tipo di anti-imperialismo, in qualsiasi modo esso si manifesti, intervengono però su di esso per strapparlo alla mortifera presa degli avversari; più che mai quando esso si esprime in movimenti reali a forte caratterizzazione proletaria che, per loro natura, entrano in contraddizione con gli indirizzi dei capi di destra).

Il "nuovo" di Haider: il vecchio arsenale del capitalismo demo-fascista

Dovrebbe risultare superfluo sottolineare che movimenti come quello di Haider non inventano nulla sotto questo punto di vista rispetto alle democrazie che gli fan la vista delle armi. Conosciamo fin troppo bene cosa si nasconde sotto lo "spirito di accoglienza" ed il conclamato "solidarismo" rispetto ai "diversi" da parte delle democrazie anti-haideriane. Qui da noi, tanto per fare un esempio, nulla di diverso si promette agli immigrati: contingentamento, lager di "accoglienza" in attesa dell’espulsione, caccia al clandestino infiltrato, con tanto di morti, speronamenti ad hoc di gommoni, ghetti sub-umani per gli ammessi a far parte della tavolata (sotto il tavolo) e via dicendo. Nei giorni in cui scoppiava il caso Haider non a caso ne abbiamo qui visto delle belle coi nostri lager ed in Iberia abbiamo assistito alla vera e propria rivolta di 10.000 lavoratori marocchini super-sfruttati e completamente esclusi dai diritti civili, con aggressioni fisiche e incendio delle abitazioni per sovrappiù. Eppure anche da qui si inveisce, con bella faccia tosta, contro lo xenofobo Haider, neppur calcolando che in Austria vi è un milione di immigrati contro otto milioni di popolazione locale e che, sino a prova contraria, cose simili non si sono mai registrate. Ed è sommamente istruttiva la risposta data da uno dei capi della rivolta marocchina al manifesto che lo invitava ad esprimere il proprio sdegno contro la "gente razzista" del luogo: la colpa non è della gente, egli ha replicato, ma dei governi e del sistema del capitalismo globalizzato, imperialista; gli sfruttati locali portati ad accanirsi contro di noi sono dei fratelli di classe che vanno conquistati alla nostra causa comune.

Quanto alla xenofobia interna, dovrebbe saperne qualcosa l’Italia al Nord-Est per quel che concerne gli sloveni o per il modo in cui, in passato, si trattò la questione dei tedeschi dell’Alto Adige; oppure Spagna e Francia per quel che riguarda la questione basca o l’Inghilterra rispetto all’Irlanda. Ché se poi volessimo andare agli Stati Uniti coi suoi muri spinati e le sue truppe armate anti-immigrazioni e colla sua politica verso i neri….

Ed è anche interessante vedere come un Haider non inventi nulla neppure quanto alla parte "positiva". Qualche esempio: la difesa culturale dell’"austriacità" rispetto al pericolo di "snaturalizzazione" o la promozione di un incremento delle nascite "autoctone" a suon di sovvenzioni. Quanto al primo caso, insegna qualcosa la Francia chauvine sotto tutte le bandiere, di destra e sinistra, insorgente contro la "contaminazione" straniera; la difesa haideriana della "cultura austriaca" basata sulla tanz musik e i costumi tipici locali è certamente più ridicola, ma solo a misura che sono ridicole le misure di riferimento della borghesia austriaca; di certo meno "aperta e cosmopolita", ma proprio in quanto meno imperialisticamente forte. Quanto al secondo, si veda la "politica familiare" che anche da noi si sta facendo strada, magari più per appelli a far figli che per concreti aiuti all’incosciente che ne volesse sfornare stando ad essi. Tutte cose ereditate dal bagaglio del Duce, sino ad ieri irriso per questo, dalla lingua nazionale alle campagne demografiche alle opportune misure sociali (queste ultime un po’ meno…).

È chiaro, dunque, che nessun tipo di preoccupazione umanitaria ha spinto "l’Europa democratica" ad insorgere contro Haider, il quale potrebbe ben raccomandare ai suoi critici di esaminare prima le travi nei loro occhi e poi invitare chi è senza peccato a scagliare la prima pietra. Ciò che di Haider dà fastidio è, assai più modestamente, la pretesa di voler fare da sé i propri affari, magari spingendosi sin fuori casa, come nel caso della "macroregione" Alpe-Adria e delle propaggini raggiungibili nei Balcani o ad Est. L’indipendenza degli stati, abbiamo appreso per bocca di D’Alema, non è più un dogma; è legittimo infischiarsene quando lo impongano le ragioni economiche e politiche "globali", per le quali, in seguito, si potrà sempre trovare una buona copertura d’"ingerenza umanitaria". Quest’ultima, da parte sua, è molto elastica: non ci si è ingeriti in Croazia quando c’era Tudjman e la xenofobia parlava il linguaggio dei mortai messi a disposizione dall’Occidente; non ci si ingerisce con la Turchia ("Non so dove sia Ocalan, e francamente non mi interessa": ve la ricordate?); non si mandano né osservatori né truppe nei paesi baschi o in Irlanda: le si mandano, eccome!, dove serve per far nascere gli… arcobaleni.

Quello che, in tutta questa vicenda, può stupire è che un paese come la Germania si presti a giocare contro sé stessa. L’autentica vocazione imperialista della Germania imporrebbe, infatti, che la sua riunificazione –non diciamo come paese, ma come asse- si completasse con l’inserzione dell’Austria nel proprio giro attraverso una propria politica pan-tedesca pesante. Ciò che accade oggi va in controsenso rispetto a questo suo imperativo, scavando un fossato tra Germania ed Austria, e non solo, ma rimettendo in moto tutte le contraddizioni ancora non del tutto risolte, e in grado di riesplodere, inerenti alla propria riunificazione con l’Est del paese ed il rapporto con una Baviera vitalmente gravitante sull’area in cui opera l’Austria.

Ci voleva, probabilmente, un governo socialdemocratico come quello del socialdemocratico Schroeder per andare indietro nei confronti della linea di un Kohl e sottomettersi ai ricatti degli altri partner europei avversi all’"egemonia teutonica" e, più ancora, a quelli degli USA che manovrano questi ultimi a costo zero per evitare che una vera Europa concorrenziale si faccia sul serio, e cioè sulle basi di una Germania forte attorno cui saldarsi e crescere. Come in Italia con D’Alema o in Gran Bretagna con Blair, gli Usa hanno trovato in Germania dei capi di stato pronti a mettersi al guinzaglio. Non ci stupisce, a questo punto, neppure lo "strano" caso di un Kohl scoperto a nascondere fondi neri per il partito. Abbiamo visto in Italia che quando un Craxi ed un Andreotti hanno dato un sia pur timido segno di indipendenza da Washington si sono improvvisamente e miracolosamente sguinzagliati tutti i cani da caccia della magistratura, dei giornali e delle tv etc. etc. per "far pulizia". Dietro di essi, "La Voce del Padrone".

Da un punto di vista capitalistico-imperialista europeo -e, quindi, ripetiamolo per i duri d’orecchio!, diametralmente opposto al nostro- hanno perfettamente ragione quei gruppi di estrema destra, oggi sparuti, ma lucidamente proiettati verso il futuro che hanno sparato a zero contro la manovra anti-Haider denunciandola per quello che essa è: una manovra antitedesca, cioè antieuropea, che ubbidisce agli interessi ed ai voleri degli Usa attraverso i "collaborazionisti" interni, compresi quelli dei grossi paesi che s’immaginano di fare una "propria" politica indipendentemente ed alle spalle della Germania ed al traino di Washington. Il giornale di ultra-destra (intelligente) Rinascita ha buon gioco nel denunciare in proposito il ruolo evidente degli USA che "ormai è evidente, hanno tutto l’interesse a tenere in uno stato di perenne agitazione l’Unione europea, per impedirne l’eventuale, difficile ma sempre possibile, decollo economico e, più ancora, una ancor più difficile, ma per loro certamente pericolosa, unità politica" (3 febbraio), e si può prendere il lusso, ciò detto, di prendere le distanze da "alcuni programmi di politica economica" dell’haiderismo che "li avvicina largamente" a quelli dei suoi critici di "sinistra", ovvero un pieno "liberalismo" (selvaggio, direbbe Fausto).

Noi riconosciamo francamente a questi nostri nemici tale merito, aggiungendo immediatamente: l’Europa indipendente ed anti-USA che voi volete merita egualmente il nostro schifo; noi intendiamo sotterrarla assieme agli USA attraverso un’azione di classe, e tanto basti a stabilire i confini tra noi! Ma va da sé che non si combatte davvero né Haider né tantomeno chi sta al di sopra di lui, l’imperialismo occidentale, USA od "europeista" che sia, con programmi collaborazionisti di classe.

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