A CHI E QUALE RUSSIA FA PAURA?

Parleremo più a fondo nei prossimi numeri, se possibile, sulla base di dati materiali più certi, della situazione economico-sociale e politica in Russia, a partire soprattutto dai visibili segnali di riorganizzazione del movimento antagonista di classe che vi si sta manifestando.

Qui solo poche parole di anticipo.

Le prime per segnalare l’esattezza della nostra analisi sul decorso economico. Ricordate? Non è passato molto tempo da quando giornali e TV di qui "registravano" l’inarrestabile tracollo economico russo e si lanciava l’allarme sull’"emergenza alimentare" del paese, senza latte, senza pane ("di qui a una settimana"), nella speranza di lanciare dei nuovi piani Marshall per comprarsi a vile prezzo -pardon, per soccorrere- l’intero paese disfatto. Ora, improvvisamente, si scopre che gli indici economici russi stanno volgendo al meglio, con tassi di incremento produttivo superiori alle medie europee. Con squilibri sociali? Questo è innegabile, dato che la "liberalizzazione" capitalista che ha fatto seguito -necessariamente- allo stalinismo questo comporta, come in ogni altro paese da essa deliziato. Ma questa è certamente l’ultima preoccupazione dei nostri commentatori. Quel che preoccupa non è il tasso crescente di diseguaglianza sociale, di espropriazione dei proletari, ovviamente, ma la ritrovata capacità competitiva del capitalismo russo con le sue inevitabili ricadute politiche. Ed è cosa che, paradossalmente, spaventa tanto i grandi borghesi d’Europa, quanto certi "sinistrissimi" nostrani. I primi sono incapaci di cogliere l’occasione russa per ritrovare un proprio ruolo competitivo contro gli USA. I secondi sono spaventati a morte dalla ripresa di un protagonismo russo cui tanto erano affezionati al massimo del fulgore stalinista, quanto ne sono spaventati, oggi, dopo la caduta dei muri, non sapendo che farsene di questo ingombro estraneo (considerato che l’ingombro è quello di un potente proletariato con cui si dovrà fare i conti).

È interessante notare come proprio costoro lancino gridolini di spavento per il duplice tentativo di ristabilimento della potenza russa impersonato da Putin: quello sul piano interno, con lo sforzo di ricentralizzare le forze economiche (capitalistiche) "liberatesi" in seguito alla perestrojka attorno ad una politica autorevole ed autoritaria di stato contro le tendenze "autonome" di regioni, città-trainanti, camarille politiche ed affaristiche; quello sul piano esterno, col regolamento di conti con movimenti disgregatori del tipo ceceno (di cui, formalmente a ragione, si condanna l’aspetto nazional-borghese di oppressione, ma solo per veicolare al meglio gli interessi imperialisti che stanno dietro ai vari "indipendentismi"). Agli "anti-leghisti" in Italia, in buona sostanza, starebbe bene un trionfo del leghismo più spinto e più distruttivo in Russia. Ai fautori dei "sacri confini" nazionali, pronti ad indignarsi anche solo per qualche moderata pulsione autonomista sud-tirolese o slovena sul nostro suolo, starebbe bene che ogni pezzo dello stato pluri-nazionale russo andasse per suo conto, o meglio: per conto dell’imperialismo pronto a raccoglierlo!

Guai, poi, a ventilare una permanenza del ruolo militare russo, e ben venga la catastrofe, non troppo chiara, di un sottomarino nucleare per "dimostrare" che la Russia deve disarmare -tanto c’è la NATO, da qui ai suoi confini, possibilmente, domani, dentro di essi!

Guai, ancora, se i "nuovi zar" russi cominciano ad imporre dei limiti alla rapina del paese da parte delle multinazionali avide di profitti a costo zero! E se il nuovo governo pretende addirittura un controllo su certe operazioni di rapina economica ivi in atto si può addirittura scoprire, nel caso che sotto il mirino cada un qualche esponente della finanza ebraica legata a filo doppio con quella imperialista internazionale, che "c’è un pericolo antisemita"!

Di fronte a questa melma, noi dichiariamo il nostro interessamento e la nostra viva soddisfazione per una possibile ripresa russa, che vediamo in atto. Noi non la misuriamo, naturalmente, sul metro dei borghesi di là, ma su quello del proletariato russo, del proletariato internazionale.

La riduzione della Russia ad una colonia dell’Occidente da saccheggiare impunemente non avrebbe certamente aiutato il proletariato di questo paese a tornare ad essere il protagonista storico che fu nel ’17. Si deve, invece, alla sua resistenza a questo disegno ed alla sua forza di pressione riguardo alle forze economico-politiche nazional-borghesi se questo disegno si è (parzialmente) infranto. Il neo-protagonismo di un Putin che, ancorché tra mille titubanze, risolleva con successo la bandiera dell’indipendenza e della forza russa è il frutto di questa resistenza ancor prima di una autonoma "decisione" delle forze borghesi interne. Questo fatto nuovo riveste, naturalmente, un pericolo: ed è che la classe operaia russa, tuttora priva di un proprio programma e di una propria organizzazione politica di classe, si faccia trascinare provvisoriamente nella deriva del ricompattamento inter-classista, nazionalista, attorno al "proprio" governo, al "proprio" stato. È a questo che Putin cerca ora di chiamarla con il suo appello, susseguente al disastro del Kursk e al rogo di Ostankino, a unire le forze della nazione russa per riportarla stabilmente sulla strada dello sviluppo economico e della definitiva uscita dall’emergenza post-1989.

Ciò non toglie che gli insegnamenti derivati dalle battaglie sin qui condotte con successo per riaffermare i suoi bisogni elementari possano portare, in seguito, ad un rafforzamento delle proprie posizioni di classe, permettendo di colpire non solo l’intromissione imperialista straniera, ma la stessa borghesia nazionale, incapace di per sé di aprirsi una sua strada realmente indipendente. Di questo parleremo prossimamente in maniera ampia, sulla base di dati di fatto che già ci permettono di vedere un risveglio in atto del gigante assopito.