USA

STUDENTI E GIOVANI IN MOVIMENTO

Indice


 

A più riprese abbiamo segnalato come negli Usa, si stiano manifestando elementi di potenziale ripresa del movimento anticapitalista. Il che fare si è occupato della "Marcia di 1 milione di uomini" e della grande manifestazione delle afro-americane alla riscoperta del proprio orgoglio, della significativa ripresa del movimento operaio e sindacale e, più recentemente, della manifestazione di Washington contro l’aggressione alla Jugoslavia del 1999 e delle giornate di Seattle contro la globalizzazione capitalistica in occasione del meeting del WTO. Differenti prodotti ed espressioni oggettive che provengono dal centro dell’impero, e che fanno emergere come lì si vada facendo strada la consapevolezza che per risolvere ogni singolo problema "proprio" si debba aggredire l’insieme dei problemi , che traggono origine da un sistema mondiale unico, che unitariamente deve essere affrontato , e che per dare alle proprie forze il massimo di efficacia occore che siano coerentemente organizzate.

Alcuni articoli di Z Magazine (il cui contenuto è sintetizzato ed in parte riprodotto in quel che segue), mensile americano diretto da Noam Chomsky, ci danno ora l’occasione di occuparci di settori di studenti americani che, a trent’anni dal movimento contro la guerra in Vietnam, si riaffacciano sulla scena politica con lotte il cui potenziale contenuto anticapitalista è evidente, aggiungendo ulteriori piccoli tasselli al mosaico che si va componendo e che conferma il coagularsi dell’idea di lotta collettiva e di organizzazione anche in settori sociali che sembravano essere stati risucchiati completamente dal mito, rigorosamente individualista, della "new economy".

Antirazzismo e diritti delle minoranze per cominciare…

Nel 1996 nelle università californiane di Riverside e di Berkeley sono state organizzate dal MECHA (Movimiento Estudiantil Chicano de Aztlan) dure proteste, con scontri e arresti, contro la Proposta Legislativa 209, la cosiddetta "iniziativa sui diritti civili" tesa a smantellare i programmi di sostegno (affirmative action programs) accordati alle donne ed alle minoranze etniche, e ciò dopo che, nell’ottobre dello stesso anno, 50.000 giovani Latino-Americani avevano partecipato ad una manifestazione a Washington contro le legislazioni anti-immigrati approvate in tutti gli stati dell’unione.

Nel gennaio del 1997 all’Università del Massachusset-Amherst, l’Unione degli Studenti Neri e altre organizzazioni dell’ALANA (coordinamento delle organizzazioni Africane, Latino-Americane, Asiatiche e dei Nativi-Americani) ha guidato l’occupazione, durata un’intera settimana degli uffici amministrativi dell’università, per sostenere una piattaforma di lotta che chiedeva più investimenti e diritti per i lavoratori e per gli studenti appartenenti alle minoranze etniche.

L’Università del Wisconsin-Madison, è stata teatro nell’estate del 1997, di dure dispute contro il provvedimento della Corte d’Appello Federale che escludeva le associazioni studentesche "politicizzate" dalla possibilità di effettuare raccolta di fondi per finanziare la propria attività.

contro gli sweatshops per continuare

Dal 1998 in diverse università americane come la Georgetown di Washington (cattolica-conservatrice), del Wisconsin-Madison, dell’Illinois del Nord e altre del Michigan e della Pennsylvania si è sviluppato un forte movimento contro gli sweatshops (letteralmente: laboratori del sudore) dislocati prevalentemente nei paesi del Centro-Sud America e in Asia dove, attraverso le Collegiate Licensing Company (CLC) tra cui Nike, Champion e Fruit of the Loom, i College americani fanno realizzare gli abbigliamenti col proprio marchio, per un giro d’affari di oltre 2.5 miliardi di $, ottenendo dalle multinazionali la corresponsione dei diritti di licenza. Negli sweatshops le condizioni di lavoro in termini di durata e di ambiente sono pesantissime e il salario corrisposto ai lavoratori è in genere inferiore al minimo livello di sopravvivenza necessario. Lo sfruttamento riguarda anche manodopera femminile e infantile a cui vengono corrisposti salari inferiori a quelli dei lavoratori adulti di sesso maschile.

Il movimento degli studenti, diffusosi in una ventina di stati dell’unione, ha contestato in modo deciso sia le modalità di assegnazione delle licenze alle CLC da parte delle amministrazioni universitarie sia i codici di autocomportamento stilati dalle CLC sia, infine, l’inefficacia del preposto ente Federale di controllo delle condizioni di lavoro negli sweatshops -la Fair Labor Association (FLA)- sulle CLC che, anzi, designano la maggioranza dei membri della stessa FLA.

Gli studenti hanno rivendicato un controllo indipendente sia dal governo che dalle multinazionali mediante organismi con la presenza dei sindacati e degli studenti, la corresponsione di un salario minimo di sussistenza ai lavoratori degli sweatshops, il controllo sulle discriminazioni razziali, sessuali e antisindacali e sullo sfruttamento minorile.

Le lotte, con momenti anche duri come, ad esempio, l’occupazione per 97 ore degli uffici amministrativi dell’Università del Wisconsin (durante la quale gli studenti hanno tessuto significativi legami con i sindacalisti della South Center Federation of Labor, organismo regionale dell’AFL-CIO), hanno imposto ad almeno 18 riluttanti istituzioni accademiche, in altrettanti stati, di aderire al Worker Rights Consortium (Consorzio per i Diritti dei Lavoratori), un’istituzione indipendente, alternativa alla governativa FLA, che vede la partecipazione di rappresentanti dei sindacati americani e degli studenti, con il compito di autorizzare le licenze alle multinazionali dell’abbigliamento sportivo a condizione della verifica diretta, da parte del WRC, del rispetto dei minimi diritti dei lavoratori impiegati negli sweatshops.

Uno studente di marketing dell’Università del Nord Illinois, intervistato da Z Magazine, ha così motivato la propria partecipazione al movimento: "... gli economisti dicono che il motivo del coinvolgimento degli Stati Uniti negli accordi [NAFTA] è semplicemente di capitalizzare lavoro sulla base delle basse condizioni di protezione del lavoro stesso e dell’ambiente… Secondo i miei libri di testo è ‘strategico’ capitalizzare sul lavoro soft (nuovo, debole, senza protezioni sindacali)… Essi vogliono efficienza non diritti… e quando efficienza significa bassi costi del lavoro e dell’ambiente (ovvero bassi costi in generale), i diritti umani sono, per definizione intrinseca al sistema, una barriera al commercio. Veramente, il sistema capitalistico merita di essere spazzato via... È questo il mondo in cui vogliamo vivere, dove le decisioni sono ‘determinate’ dalle forze di un dio-mercato che sappiamo non esistere?".

Posizioni che hanno trovato eco nella lotta di nove mesi, con occupazione dell’Università Autonoma di Città del Messico (260.000 studenti), contro l’aumento delle tasse scolastiche, le privatizzazioni e i diktat di FMI e BM sulla riduzione delle spese sociali, e nella manifestazione di Washington del giugno 1999 sotto le bandiere della "Campagna per i Diritti dei Lavoratori" di cui abbiamo riferito nel n. 50 di che fare.

In lotta contro la corporativization

Nel 1999, coast to coast, un’onda crescente di attivismo ha interessato i Campus contro la corporativization (un miscuglio di liberalismo, autoritarismo e razzismo) che si cerca di introdurre nelle università. Un articolo di Z Magazine del luglio-agosto ‘99 così descrive il motivo delle lotte: "...gli assunti fondamentali del mondo degli affari stanno per essere acriticamente applicati nei Campus universitari in tutto il paese col risultato di instaurare un trend di perturbazioni: rimpiazzo degli istruttori a tempo pieno con istruttori part-time e itineranti; centralizzazione delle funzioni amministrative ed educative e rafforzamento del controllo gerarchico su tali funzioni; taglio dei programmi umanistici ed artistici; crescita esorbitante delle tasse scolastiche; attacco alle affirmative actions e agli studi etnici."

All’Università di Pennsylvania-Cornell, come in altre università, tale attivismo si è concretizzato in piattaforme di lotta con richieste che spaziavano dall’adeguamento dei salari dei lavoratori delle università ai livelli minimi vitali, all’aumento degli investimenti per iniziative sociali, all’implementazione delle affermative actions contro le discriminazioni razziali e sessuali, fino alla rivendicazione del controllo sugli interessi delle Corporations e la proibizione che le risorse dell’università siano sfruttate dalle stesse senza alcun costo.

Prove di movimento e organizzazione…

Particolarmente significativa è stata la nascita del "Nuovo Movimento Giovanile in California", come lo battezza un articolo di Z Magazine del maggio 2000, contro la Proposta Legislativa 21 denominata "Iniziativa contro il crimine giovanile", tendente a operare un giro di vite contro le "bande" giovanili in California e finanziare la ristrutturazione del sistema carcerario, a scapito degli investimenti sociali e per l’istruzione pubblica. Nota l’articolo che "la California vorrebbe così aggiungersi agli altri 40 Stati che hanno approvato gravi leggi per criminalizzare i giovani, specialmente quelli di colore", e non a caso la lotta -che ha coinvolto scuole di vario ordine e grado in tutto lo stato- è stata diretta da studenti di colore, anche giovanissimi di 14-16 anni, con un significativo peso assunto dalle ragazze, prevalentemente di origine Latino-Americana.

Il movimento degli studenti dello stato più popoloso degli USA (con un pil pari a quello dell’Italia) è cresciuto in oltre 2.000 conferenze organizzate e coordinate in tutta la California e con lotte e manifestazioni nelle principali città, anche con migliaia di partecipanti che, oltre a prendere di mira il sistema razzista e poliziesco, ha individuato nelle Corporations, tra cui la Chevron, la Hilton e la Pacific Gas & Electricity -sponsors della Proposta 21- gli obiettivi principali della loro azione.

… e primi elementi di coscienza

L’approvazione della Proposta 21 non ha però smorzato la carica degli attivisti che, immediatamente, si sono chiesti: come proseguire la lotta, e: quali sono i nostri veri nemici?

Ecco le risposte raccolte da Z Magazine. "Ora siamo in una posizione più forte," ha detto un militante del Third Eye Movement di Oakland "siamo in grado di organizzare gente non solo per sconfiggere la Proposta 21, ma per scopi più grandi, per educare i giovani a costruire un più largo movimento a lungo termine per cambiare la realtà politica ed economica in California." Un attivista di Concord-and Beyond della Contea di Contra Costa sottolinea che "la Proposta 21 ha radicalizzato molti giovani nella disillusione verso le politiche elettoralistiche." Una militante delle Youth Organizing Communities enfatizza i progressi del movimento in cui i giovani "hanno cominciato ad affrontare il significato economico del fatto di avere prigioni al posto di scuole, del complesso industriale legato alle carceri che dice che i giovani sono sacrificabili e il denaro è tutto ciò che conta. Essi hanno potuto vedere come tutto il sistema educativo sia fallito."

Per quel che concerne l’orientamento politico delle organizzazioni attive nel movimento, l’articolo nota infine che "nel Nord della California molte delle più seguite organizzazioni di giovani si considerano marxiste o filo-socialiste ed hanno, per un certo tempo, studiato la teoria marxista. Altri, specialmente tra i Latinos, combinano le convinzioni anti-razziste e anti-capitaliste con i valori e la spiritualità indigeni."

Alcuni punti da sottolineare

Contro queste lotte la polizia americana non ha lesinato mezzi, uomini e durezza, così come nei recenti episodi delle contestazioni alle Conventions repubblicana e democratica. Botte vere, non come quelle da teatrino di recenti episodi tra centri sociali e italica polizia.

Cosa, dell’attivismo dei giovani americani, spaventa le autorità? "Fanno paura perché non ce l’hanno con Gore" dice un articolo su la Repubblica del 18 agosto, a proposito del "popolo di Seattle" che ha manifestato contro la Convention democratica, "ma con qualcosa che sta ben sopra Gore. Sono lì a dire che l’esercizio della democrazia può diventare una forma di tirannide… Quelli là fuori sentono puzza di tirannide…" e, aggiungiamo noi, cercano prime forme di organizzazione e di lotta contro questa tirannide, non accontentandosi della facciata.

Per carità, nulla più che piccoli segnali, ma segnali che si accumulano in direzioni non facilmente riducibili alla logica della democrazia borghese, non più ghettizzabili e catalogabili nelle categorie di devianza da "banda giovanile", certo coi propri riti e i propri linguaggi come l’hip-hop per i giovani militanti del movimento californiano, ma certamente non condannati all’autoemarginazione e al nichilismo.

Questi giovani e giovanissimi, in gran parte di colore e in buona parte ragazze, hanno iniziato, nelle lotte, a maturare elementi di consapevolezza su alcune cose fondamentali ("importanti lezioni imparate" le ha definite un articolo di Z Magazine): primo, che non possono aspettarsi nulla dallo stato e dalle istituzioni di ogni ordine e grado; secondo, che per ottenere qualcosa bisogna essere protagonisti e lo si può essere solo con movimenti collettivi di lotta e, una volta ottenuto l’obiettivo, occorre esercitare un continuo controllo senza demandare ad alcun parlamento, istituzione statale o para-statale tale compito; di conseguenza, terzo, che occorre organizzarsi in modo stabile e continuo per estendere il fronte di lotta; infine, quarto, che anche le questioni che riguardano comunità relativamente piccole, hanno un legame inestricabile con tutto il resto e che chi immediatamente li opprime risponde a un potere più grande che sfrutta e opprime a livello planetario con riflessi su ogni singolo aspetto della vita sociale. Questi giovani sentono che i relativi vantaggi concessi da quel potere nelle metropoli puzza, appunto, di tirannide che non darà scampo né al centro né alla periferia, e va affrontata con una "nuova socialità". Non siamo certo alla coscienza di classe, ma tutto ciò va capito e sostenuto perché è lontano le mille miglia dallo statalismo e dall’istituzionalismo "alternativi" di certi contestatori nostrani, il cui destino (e la cui pratica) è di reggere la coda delle istituzioni che dicono di combattere.