ITALIA, ...PAESE "NORMALE"

Dire qualcosa di veramente nuovo sulla situazione italiana è davvero difficile, salvo registrare gli ulteriori passi avanti di tendenze di cui abbiamo in più occasioni trattato su queste pagine negli anni scorsi, e a cui rimandiamo i lettori per un quadro d’insieme, limitandoci, in questa sede, a un breve e -gioco forza- limitato aggiornamento.


Una nuova tornata elettorale si annuncia all’orizzonte dell’interminabile saga italiana del voto continuo. I contendenti sono già da mesi schierati in campo scambiandosi accuse e attacchi che sembrano prefigurare un crescendo rossiniano fino alla data del voto. Eppure si faticherebbe non poco a trovare delle differenze sostanziali nei programmi agitati dai rispettivi schieramenti. Le accuse reciproche di sottrazione e scopiazzamento di pezzi di programma non sono solo boutade propagandistiche, ma fotografano la reale sovrapponibilità di buona parte delle proposte di entrambi i poli. Non si tratta di pura finzione, di slogan lanciati solo per allettare l’elettorato, ma di una effettiva convergenza verso un programma di massima che accomuna le varie fazioni borghesi.

L’insieme del proletariato, nelle sue collocazioni politiche -divenute sempre più varie-, vive le elezioni alle porte con una sostanziale indifferenza. Non perché ci sia meno illusione sul ruolo della democrazia e meno aspettative sulla funzione che le sue istituzioni possano svolgere per garantirgli condizioni di vita decenti. Ma perché a questa illusione e a queste aspettative non consegue alcuna preoccupazione di pesare in quanto classe, di svolgere, cioè, un proprio ruolo sia pure di semplice "condizionamento" come entità politica collettiva (come avveniva con il Pci). L’accantonamento di questo residuo aspetto di classe è un risultato che la "sinistra" può legittimamente portare in dote alla borghesia nazionale e internazionale. L’Italia è divenuta davvero il "paese normale" agognato da D’Alema, in cui gli schieramenti politico-elettorali si scontrino sulle modalità di gestire la "cosa pubblica" in modo "civile", dopo aver, cioè, depurato lo scontro da tutti gli ammennicoli di classe. Ovvero di classe proletaria, mentre quelli di classe borghese prevalgono su tutto e su tutti con il generale riconoscimento, però, di essere "interessi comuni a tutta la società".

Sulla base di questo tangibile risultato la "sinistra" pensa di aver dato prova di sufficiente affidabilità nel portare avanti una politica liberista, e di aver rimosso dalla strada dei padroni le residue resistenze e rigidità nelle fila dei lavoratori, soprattutto per le giovani generazioni che si affacciano sul mercato del lavoro; il tutto ottenuto con un livello di pace sociale sconosciuto a questo paese. Sul piano internazionale vanta con orgoglio di aver portato il paese in Europa contro tutte le previsioni e di aver consentito la partecipazione in prima fila dell’Italia all’aggressione militare della Jugoslavia senza sostanziali dissensi interni.

In virtù di questi meriti acquisiti sul campo, l’Ulivo ritiene che gli spetti di diritto di continuare a governare e di svolgere un ruolo "insostituibile" nella tutela degli interessi capitalistici, conciliandoli con la disorganizzazione e la passivizzazione dei proletari. Ma questo diritto non gli viene riconosciuto da alcuno. Non dai lavoratori, che, avendo ben compreso la lezione, si sentono sciolti da qualsiasi appartenenza "di classe" e distribuiscono ovunque le proprie preferenze elettorali, compreso verso la crescente astensione. E fin qui niente male, era nel conto. Quel che brucia di più è l’irriconoscenza dei tanti imprenditori, e persino grand commis di stato, che si orientano verso la coalizione berlusconiana. Questo, con buona pace degli esterrefatti ulivisti, è esattamente il frutto del lavoro sporco fatto per conto dei padroni. La "sinistra" è, ormai, meno indispensabile per lo svolgimento degli ulteriori passaggi verso un più dispiegato liberismo e verso una maggiore aggressività "esterna". Quanto più si è dimostrata diligente apprendista delle leggi del mercato e delle esigenze di affermare all’esterno gli interessi nazionali, tanto più ha sciupato nel giro di breve tempo le proprie migliori riserve di capitale, che sono proprio il controllo e la capacità di mobilitazione della parte più significativa del proletariato.

È possibile che, dinanzi a questo palese fallimento, si determini un tentativo di recuperare il patrimonio disperso, rilanciando una sinistra che prenda l’esplicita difesa degli interessi dei lavoratori? Un ritorno al passato è, ormai, impossibile. Anche la riedizione del più morbido dei Pci contrasterebbe duramente con il quadro attuale degli interessi borghesi nazionali e internazionali. Può essere che in futuro un qualche ritorno di accenti operai faccia capolino da questo pantano, ma la sottomissione al quadro borghese è, ormai, divenuta così "naturale" per questa sinistra da rendere impossibile alcuna seria consequenzialità su questo terreno. Per adesso la via è obbligata e per cercare di recuperare il consenso dei poteri forti non può che proseguire nell’opera di inseguimento dei loro interessi, e di conseguente allontanamento persino da ogni appello ai lavoratori in quanto tali. La scelta di Rutelli rappresenta appieno l’una e l’altra esigenza. Cosa c’è di più lontano dal mondo del lavoro di un damerino incipriato che nella sua vita non ha mai conosciuto cosa sia il lavoro ed è sempre sopravvissuto barcamenandosi nella "politica", saltellando di qua e di là? L’unica cosa di cui può dare prova è proprio che la "politica" può essere un buon mestiere per vivere, e anche arricchirsi, per chi ne sappia indovinare i percorsi, insomma per i furbacchioni come lui. Al confronto persino Berlusconi sembra un mostro di operosità "concreta"!

E Rifondazione? Potrebbe fare lei quel che non può più fare la sinistra diessina? Non vorremmo, anche qui, ripetere cose già dette e ridette. Prendiamo solo nota di come quello stesso interesse di strati operai che, pure all’inizio della sua esistenza s’era manifestato attorno al Prc, sia stato dilapidato dalla direzione bertinottiana attraverso le sue scorribande dentro e fuori i governi, assieme e "contro" l’Ulivo (oggi siamo alla "non belligeranza", ma quando mai c’è stata vera belligeranza?), senza mai offrire un piano reale di rilancio, di programma e di mobilitazione, di una ri-organizzazione davvero autonoma degli interessi di classe. Dilapidato da Bertinotti e mai intercettato da un’opposizione interna incapace, a sua volta, di rappresentare una vera e coerente alternativa di classe.

Null’altro, d’altronde, ci si poteva ragionevolmente aspettare da tutte queste formazioni politiche nate sul ceppo del riformismo, ossia infettate fin dalla nascita dall’assunto di dover conciliare interessi di classi antagoniste nell’ambito di un ordinamento sociale dato per scontato, e, tuttalpiù, solo da "correggere": il capitalismo.

In più si può ancora registrare come vadano perdendo presa anche quei temi che la "sinistra", pur nel suo processo di auto-riforma, giurava di voler conservare. È la sorte che riguarda, per esempio, gli appelli all’antifascismo, di cui la bomba a il manifesto ha dimostrato tutta la decrescente popolarità. Perché mai dovrebbe il "popolo di sinistra" sentire come urgente la mobilitazione di massa contro il fascismo mentre ne viene messa in discussione la stessa esistenza in quanto "popolo di sinistra"?

La melassa in cui la "sinistra" ha affogato ogni istanza di classe ha avuto come controaltare una identica melassa anche nello schieramento avverso.

La Casa delle Libertà (Polo più Lega), rinfoderati i furori neo-liberisti delle precedenti campagne elettorali, si presenta con un programma molto più "attento al sociale", ben sintetizzato dagli interventi e dai manifesti berlusconiani. Oggi propone un liberismo molto più temperato sul piano economico, mentre su quello politico si esprime chiaramente a favore di una riforma fortemente proporzionalista e decisamente sensibile al federalismo. Insomma la "conquista del centro" moderato è diventato uno sport più praticato dell’epoca democristiana (di cui il duo D’Antoni-Andreotti si rivendica, a questo punto, erede più legittimo rispetto agli attuali resuscitatori di destra e di sinistra). Epoca della quale si ritiene di poter rieditare anche il rapporto con i proletari attraverso un uso "caritatevole" delle istituzioni statali.

Allo stato attuale questo programma di massima sembra il più conveniente e il più praticabile per la tutela degli interessi borghesi considerando la situazione anche nelle file del proletariato. La scomparsa di ogni illusione riformista, la disorganizzazione subìta a causa degli attacchi capitalistici e della politica praticata dalle direzioni del movimento operaio, ma anche la constatazione che -nonostante i paurosi arretramenti che si son dovuti accettare- tutto ciò non si è trasformato in una catastrofe generalizzata, sono tutti elementi che hanno agito e agiscono come un soporifero tra i lavoratori.

Di conseguenza, il centro-destra pensa che sia sufficiente proseguire la politica degli avversari di iniezione morbida di ulteriori elementi di liberismo, di smantellamento progressivo degli ultimi residui unificanti delle condizioni dei lavoratori (portando, per esempio, l’attacco alla contrattazione nazionale per via del federalismo) senza temere, e senza rischiare di suscitare, reazioni significative, di massa, da parte del proletariato. Si prepara a far ciò con uno schieramento che, a sua volta, non è meno composito di quello avversario. Liberisti puri convivono con sostenitori degli interessi dei lavoratori (sia pure solo su basi nordiste), anti-statalisti giurati convivono con difensori delle corporazioni dei pubblici dipendenti, laici liberali con integralisti della prima ora, e così via in un pout pourrì dai più vari e contrastanti aromi, convinto di poter contenere l’esplosione delle sue contraddizioni grazie a un andamento perennemente "tranquillo" della situazione economica e politica internazionale.

Convinzione del tutto infondata. Strappi violenti delle contraddizioni capitalistiche sono all’ordine del giorno.

Essi metteranno a dura prova la tenuta del centro-destra, ma per il proletariato, non ci sarà da gioire perché lui ci arriverebbe in condizioni di debolezza molto più gravi. La trama degli interessi borghesi ritroverà immediatamente la strada per riorganizzarsi con la forza necessaria. Quella proletaria avrà molte più difficoltà, se non inizia già da ora a ritessere i suoi fili, chiudendo definitivamente i conti con questa "sinistra", con suoi programmi, con la sua sottomissione alle esigenze capitalistiche e nazionali, chiudendo i conti con le illusioni di rieditare un capitalismo "più controllato" in una qualche "piccola patria" o nella "grande patria europea", e dandosi con coerenza e totale impegno a una battaglia che riconosca solo i suoi interessi di classe