Romania

Fare i conti con l' Occidente,
svincolarsi dalle soluzioni borghesi interne.


Qualche parola su talune vicende elettorali, ma non solo o principalmente elettorali, ad Est.

L'ultima vicenda da segnalare è quella relativa alle elezioni in Romania, dove venivano a scontrarsi il partito neo-socialdemocratico di Iliescu, vecchia volpe ceauceschiana, ed il partito ferocemente nazionalista di Tudor, con una larga vittoria assegnata al primo.

Abbiamo letto i commenti della nostra "sinistra": ha vinto il migliore, il più democratico, quello che promette riforme "compatibili" contro le cure da cavallo imposte dal colonizzatore Fmi; per fortuna ha perso quello che voleva far fuori ungheresi e zingari, che ci avrebbe riportato indietro di secoli nella storia.

Noi non crediamo che le cose stiano precisamente in questi termini, per quanto i programmi di Tudor ci facciano letteralmente drizzare i peli sulla schiena. Noi la leggiamo in questo modo: il voto maggioritario ad Iliescu ha espresso, da parte delle masse sfruttate rumene (mai così sfruttate da quando nel paese ha vinto la "democrazia" anti-Ceaucescu), una protesta contro la cura occidentale, imperialista, che, in mancanza di un adeguato orientamento ed un'adeguata organizzazione di classe da parte del proletariato rumeno, si affida provvisoriamente al "meno peggio", ma cominciando a far sentire la propria voce. Iliescu ha raccolto questa petizione, ma, ne siamo certi, non potrà dare ad essa alcuna valida risposta, al di là di certi ritocchi di facciata, perché una vera decolonizzazione" del paese non può immaginarsi senza infrangere il cappio stretto attorno ad esso dai poteri imperialisti mondiali dominanti, con cui Iliescu si immagina di poter tranquillamente convivere dando un colpo al cerchio ed uno alla botte. Come riassume il manifesto (10 dicembre 2000): "Sul piano economico Iliescu propone un percorso meno traumatico" e su quello di politica internazionale "non prevede rotture sul versante della collaborazione della Romania dentro la Nato e verso l'Europa".

La soluzione socialdemocratica non potrà essere una soluzione ed i fatti s'incaricheranno di mostrarlo. Sarà più chiaro allora per gli sfruttati rumeni che ci vuole ben altro per uscire dal tunnel in cui sono stati cacciati. La sudditanza verso l'Occidente, pur tra qualche mugugno, ha già mostrato ad essi che c'è un nesso evidente tra guerra alla Jugoslavia e spoliazione interna, tra Nato e i suoi sudditi e, quanto ai traumi, non si affrontano coi cerotti i diktat del Fmi e soci!

A questa stregua (non paia paradossale!) il voto comunque largo dato alla destra nazionalista, anche da parte di strati non indifferenti di proletari, disegna gli stessi scenari a venire. Questa sorta di "fascismo nazionale" ha espresso sintomi di una insofferenza crescente da parte di masse oppresse di fronte al peggioramento delle proprie condizioni di vita in seguito alla caduta di prestigio del "proprio paese". L'insofferenza nasce dalle stesse ragioni di coloro che hanno votato per Iliescu ed anche qui l'Occidente entra nel mirino della coscienza della gente come Grande Fratello Ladro, così come vi entrano gli interessi dei suoi lacchè locali. Tanto che Tudor proclama: "Vi prometto che nazionalizzerò tutto con un decreto, dalle fabbriche agli alberghi, e confischerò tutti i beni" di questi profittatori nazional-traditori. Una frase "esagerata" che ha indignato il manifesto e che indigna anche no, ma per opposte ragioni: perché la sappiamo, purtroppo, destinata a rimanere solo una frase. Lo stesso diciamo per un'altra sua frase, rivolta al leader storico dei minatori, Miron Colma, in galera da due anni: "Non ti preoccupare, Miron, se vincerò io insieme alla grazia ti darò anche il potere". Il manifesto se ne indigna, pensate!, perché ricorda "il blitz di Cosma e dei suoi minatori su Bucarest dopo 1'89 e gli studenti bastonati a sangue"...

Diverso è l'orizzonte nazionalista (tutt'altro che assente anche dall'altro versante) nel senso di un'accentuazione pan-rumena che va a prendersela con gli etero-etnici di casa propria. Cosa, evidentemente, sgradevolissima e da respingere in toto col massimo della determinazione: solo che, per far questo, non bisogna dimenticarsi che, per una buona quota, si tratta di un "razzismo degli oppressi" cui poco gioverebbe la cura di un "educazione democratica" che li lasci tali ed a cui può rimediare, invece, solo un orientamento di classe nettamente antagonista rispetto alla petizione -socialdemocratica" di Iliescu in grado di indicare a tale oppressione una concreta via d'uscita che rompa ogni steccato nazionalista e razzista.

Anche quando i serbi di Bosnia andarono dietro a Karadzic e Mladic, personaggi assai poco raccomandabili, noi siamo partiti da questa considerazione di fondo: I "'illuminismo antirazzista" di coloro che, qui, condannavano tale deriva dimenticando da dove essa nasceva si rivelava funzionale unicamente all'opera "educatrice", apertamente sollecitata, di un super-fascista Occidente "«arante dei diritti rimani" a suon di uranio e plutonio... Noi non "scegliamo" mai tra due derive antiproletarie quella "migliore", ma ci curiamo dell'oppressione che esse coprono e lottiamo per la nostra soluzione. Criterio sempre valido.

In generale, tra l'altro, constatiamo che, dopo degli esordi di fiamma, le soluzioni ultranazionaliste ad Est sono destinate di per sé ad afflosciarsi di fronte all'emergere sempre più evidente della vera sostanza dello scontro e delle risorse che essa richiede. In Russia, l'astro di Zirinovskij, che aveva attirato attorno a sé frotte di proletari, è ben presto tramontato a misura che questi ultimi si sono dovuti materialmente far carico delle proprie questioni senza trovare alcun soccorso ad esse da parte dei super-"patrioti", ed anche il partito "comunista" di Zjuganov (non meno nostalgico delle "tradizioni" grandi-russe imperiali ed ortodosse) vede lacerarsi il proprio tessuto proletario, bisognoso di una lotta di classe vera e non di vuote declamazioni "patriottiche". E, a proposito, quando dei minatori sono scesi in lotta rivendicando il proprio potere sulle miniere, evocando soviet, Lenin e Luxemburg, proprio la locale dirigenza del partito di Zjuganov ha fatto intervenire l'esercito...

Se per tutte queste masse di super-sfruttati si fa sempre più evidente il ruolo dell'Occidente imperialista, deve anche farsi evidente che il nemico principale da cui svincolarsi sta in casa propria, nella rete di rappresentanze borghesi e sotto-borghesi legate ad esso per mille vincoli materiali e, quindi, incapaci di dare ad esso battaglia. Siamo ai prodromi di tutto ciò, ed il proletariato locale ancora si affida alla "delega" al meno peggio (secondo i gusti) di ciò che passa un convento ad esso estraneo, ma sarebbe utile vedere, intanto, come, anche in questo passaggio inevitabile, esso non cominci a far sentire la sua voce, a "vincolare", in qualche modo, i "propri" rappresentanti alle proprie richieste. A noi pare di avvertire che questo sta già avvenendo in Romania, in Polonia, in Cechia, in Bulgaria, in Russia etc. etc. e in subordine a ciò misuriamo il carattere positivo di determinati risultati elettorali, sempre schifandoli come orizzonte. (Per la nostra stessa Italietta, ad esempio, faremmo una differenza tra una vittoria della "sinistra" col fiato di una lotta proletaria sul suo collo -ipotesi ormai deperita- ed una sua vittoria nella passività delle masse, come 1' ultima: con la prima non sarebbe dato di per sé, masi avrebbero le premesse migliori di un ricollocamento di classe sul proprio terreno, sempre contro la "soluzione" riformista; quello che mai ci è indifferente è questo grado di ebollizione suscettibile di essere travasato da quantità a qualità.)

La globalizzazione imperialista non dà più spazio, specie in questi paesi neo-dominati, al classico riformismo del passato, capace di far quadrare conservazione borghese e attivizzazione delle masse proletarie, governo e lotta vecchio slogan picista!-. Una lotta vera, quale crescentemente s'impone, passa per una riorganizzazione molecolare della classe al di fuori di questo quadro, con tutte le difficoltà del caso (frammentazione organizzativa e politica, tendenze anarco-sindacaliste di ogni genere e sempre nuove pulsioni riformiste, ineliminabili sino all'ultimo), ma anche con vitali risorse a propria disposizione. Lo abbiamo visto nell'ondata di scioperi duri in Polonia ed Ucraina: un fatto saliente inficiato, ma non vanificato dalla considerazione che poi gli stessi scioperanti, scontratisi col potere sui propri interessi immediati, vadano al voto per "scegliere" il cane da guardia che li azzannerà di meno. Lo abbiamo visto nelle manifestazioni di Praga, a prevalente coloritura ideologica extra od anticomunista e che, nondimeno, attraverso l'individuazione di obiettivi reali pesanti da colpire ed una crescita "spontanea" di auto-attivazione, di movimento, contribuiscono a concimare il terreno su cui potrà giocarsi la nostra battaglia. Come sempre, il movimento non è tutto, perché si tratta di accompagnarlo, introdurvi la coscienza e dirigerlo, ma ove non ci fosse un fulcro non potrebbe mai esserci la leva. E su questo punto davvero non siamo all'anno zero.